[Forumumbri] c'è qualcosa che non mi torna

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Autore: elisabetta63\@libero\.it
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To: forum umbri
Oggetto: [Forumumbri] c'è qualcosa che non mi torna
Ciao a tutti, vi giro questa, da Bologna perchè, mi sembra chiaro, dai
discorsi che si fanno nelle liste a cui partecipo, nelle azioni di
strada, nelle riunioni, che l'iperindividualismo(di cui, ho paura,
nessuno di noi è immune), alter ego dell'iperliberismo, la fa da
padrone; seguendo i reportage del Bifo, che ultimamente è stato in
Argentina e in Giappone, mi pare che lui sia ben in grado di cogliere
l'atmosfera sociale del momento(in Argentina, era entusiasta dei
movimenti spontanei e solidali tra i lavoratori colpiti dal crack), nel
luogo in cui si trova. Buona serata, e buon lavoro a tutti, Filippo.

cè qualcosa che non mi torna

Ultima notizia cittadina: la polizia ha
cacciato i ragazzi del Crash
dall'edificio inutilizzato e cadente nel
quale avevano trovato rifugio. Una
ragazza ferita durante l'irruzione.
Continua la mattanza cofferatiana. Le vittime non si contano più.
Chi
ha perduto la casa, chi il lavoro, chi è stato cacciato di casa, chi è
stato cacciato dalla povera baracca in cui viveva, chi è stato
pubblicamente umiliato, chi insultato.
Tutti coloro che non hanno soldi
e potere sono nel mirino.

Il sindaco più odiato di tutti i tempi,
circondato da assessorucoli che
eseguono per paura le sue sentenze,
sta realizzando il suo disegno:
distruggere in questa città ogni
frammento di vita intelligente, spegnere
ogni speranza di civiltà,
consegnare una città morta a chi verrà dopo di lui.
Però c'è qualcosa
che non mi torna.

Ripercorriamo gli eventi di questi cupi anni
bolognesi: uno dopo l'altro
sono stati colpiti immigrati, lavavetri,
studenti che si radunano davanti a
un bar, cittadini che si siedono
per terra, insegnanti comunali. E poi
ancora studenti cacciati dalle
case in cui vivevano, osti obbligati a
chiudere i loro esercizi,
dipendenti dell'Azienda di trasporti licenziati.
Ciclisti costretti a
combattere con un piano del traffico che li ignora.
Praticamente ogni
strato sociale che non detenga potere è stato colpito dal
sindaco più
odiato di tutti i tempi. Ogni gruppo, associazione, collettivo,
centro
sociale, categoria professionale che sia distante dal potere
economico
ha subito offese, insulti, danni economici.

Eppure ciascuno ha
risposto da solo.
Gli studenti cacciati da casa hanno protestato da
soli.
Il barista di piazza Aldrovandi ha risposto da solo, con qualche
centinaio
di clienti affezionati.
Gli osti del Pratello hanno risposto
da soli, con qualche migliaio di
clienti affezionati.
Gli immigrati
hanno dovuto subire senza reagire perché nessuno si è
mobilitato in
loro difesa ad eccezione della Caritas e di qualche
consigliere
comunale volonteroso.
I dipendenti dell'ATC sono andati da soli a
protestare al consiglio
comunale. I ciclisti pedalano solitari nella
loro critical mass.
Quando qualcuno è colpito e si ribella, tutti gli
altri stanno a guardare,
tacciono, e sperano che la prossima non sia
per loro.

Chiunque organizzi qualcosa si protegge dal contatto con gli
altri, come se
incontrarsi con altri volesse dire farsi
strumentalizzare. Ciascuno per sé,
per mantenersi indipendenti
dallabbraccio strumentale della politica. Tutti
senza politica. Soli.

Forse questa è la più pesante eredità dell'epoca della competizione
iperliberista: gli altri non sono né amici né compagni, ma solamente
concorrenti. Il rapporto con l'altro suscita paura, aggressività,
competizione, o per lo meno sospetto, imbarazzo. La de-solidarizzazione
è
la chiave di volta del sistema sociale precarizzato. Ciascuno deve
condurre
la propria gara da solo, e uno su un milione (magari facendo
pompini al
presidente o leccando il culo al sindaco) ce la farà.

Il
cervello collettivo sembra esploso, incapace di ricomporsi, di
rimettersi a funzionare in maniera solidale. La parola stessa
solidarietà
significa ormai solo aiuto a chi ha perso tutto, ambulanza
che arriva a
salvare i moribondi. Non più unione sociale con chi vive
una condizione di
sfruttamento che è diversa dalla tua ma in fondo
uguale.
La paura dell'altro non è soltanto un fatto psicologico. Ha
radici
materiali molto solide. E' paura che qualcuno possa prendere il
tuo posto
di lavoro, che qualcuno possa occupare la casa cui tu pensi
di avere più
diritto, e così via. Ma se resta così siamo fottuti.

Qualche speranza di ottenere quello che ci spetta potremo averla solo
se
apriremo la porta, se affronteremo uniti il nemico comune, che a
Bologna ha
la faccia antipatica di un sindaco arrogante, in Italia ha
la faccia
clownesca di un presidente del consiglio truffatore, nel
mondo la faccia
multicolore del capitalismo liberista che ha distrutto
il futuro.
In questa città, tanto per cominciare, potremmo passarci la
voce, e uscire
di casa tutti insieme, gli osti del Pratello e i
baristi di piazza
Aldrovandi, gli studenti che si siedono per terra e
quelli cacciati dal
loro centro sociale, i ciclisti senza piste
ciclabili e i dipendenti
dell'ATC, gli operai in cassa integrazione e
quelli che ancora non sono in
cassa integrazione ma presto rischiano
di finirci.

Tutti insieme avremmo una forza che isolati non abbiamo.
Isolati abbiamo perso fino ad ora tutte le battaglie. Ma la guerra
potremmo
ancora vincerla, se isolati non fossimo più.





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