Szerző: carlo Dátum: Címzett: forumgenova Tárgy: [NuovoLab] A Bolzaneto colpo grave alla credibilità della Polizia»
IL SECOLO XIX
A Bolzaneto colpo grave alla credibilità della Polizia»
Processo G8
Le motivazioni della sentenza: «Il processo è stato tecnico, non politico.
Provate condotte inumane
e degradanti»
Genova. La sentenza su quanto avvenne a Bolzaneto nel G8 ha ora le sue
motivazioni. I giudici esprimono amarezza per l'omertà, ma i fatti accaduti
e provati «hanno inferto un colpo gravissimo non solo alle vittime, ma anche
alla dignità della Polizia».
G8, LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA PER LE VIOLENZE A BOLZANETO
«Colpo alla dignità della polizia»
I giudici: «Condotte inumane e degradanti».Ma il reato di tortura non si può
provare
GENOVA. «Condotte inumane e degradanti, pienamente provate, che avrebbero
potuto senza dubbio ricomprendersi nella nozione di "tortura" adottata nelle
convenzioni internazionali», scrive il giudice Renato Delucchi.
Di tortura però «non si può parlare» per i fatti di Bolzaneto, «non solo
perché nel nostro ordinamento tale reato non è previsto», ma soprattutto
perché l'escamotage dell'abuso di ufficio, adottato dai due pubblici
ministeri Vittorio Ranieri Miniati e Patrizia Petruzziello, non ha convinto.
Sono motivi tecnici. Ma in diritto è necessario dimostrare «la volontà dell'imputato
nel procurare un danno ingiusto» e questo perché non sempre «non impedire un
evento, che si ha l'obbligo di impedire, equivale a causarlo».
Non ci fu tortura, anche se nessuno potrà mai negare i crimini compiuti in
quella caserma. E che, come scrive il giudice, «quantunque commessi da un
numero limitato di autori, che hanno tradito il giuramento di fedeltà alle
leggi della Repubblica italiana, e in una particolare (e si spera
irripetibile) situazione ambientale, hanno comunque inferto un colpo
gravissimo» non solo alle vittime ma «anche alla dignità delle forze della
polizia di Stato e della polizia penitenziaria e alla fiducia di cui questi
corpi devono godere».
Sono i cardini delle motivazioni (rese pubbliche ieri) della sentenza per
quanto accaduto nella caserma di Bolzaneto, dove venivano trattenuti i
noglobal arrestati per gli scontri in
strada durante il G8 del luglio 2001. Il 14 luglio scorso, al termine di un
processo durato anni, 15 condanne e 30 assoluzioni con pene variabili fra i
5 mesi e i 5 anni. I reati contestati agli imputati (tutti appartenenti alle
forze dell'ordine più un medico) a vario titolo erano abuso d'ufficio,
violenza privata, falso ideologico, abuso di autorità
nei confronti di detenuti o arrestati, violazione dell'ordinamento
penitenziario e della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
e delle libertà fondamentali.
Il processo «si è attenuto al principio costituzionale della responsabilità
personale» dei diversi reati: «Sebbene sia stato celebrato in un'atmosfera
caratterizzata da forti contrapposizioni politiche, sono stati portati a
giudizio non situazioni ambientali o orientamenti ideologici, bensì singoli
imputati per specifiche condotte criminose». Se ci sono state «pratiche
inumane e degradanti»perché non è stato possibile attribuirle ad alcuno?
Risponde il giudice. Da una parte «questo tribunale ha ritenuto non
sufficientemente dimostrata l'esistenza degli episodi riferiti» da parti
offese «comunque attendibili».Dall'altra «la maggior parte di chi si è reso
direttamente responsabile delle vessazioni provate in dibattimento, è
rimasta ignota» per «la scarsa collaborazione delle forze di polizia,
originata, forse, da un malinteso "spirito di corpo"».
GLI EPISODI PROVATI.
Nel corso del processo fu provato un elenco di vessazioni, alle quali sono
stati sottoposti gli arrestati, che ha dell'incredibile. «Insulti e
percosse» inflitti da gruppi di agenti che via via si formavano all'arrivo
di nuovi arrestati «feriti»,«menomati»,«obbligati a stare in piedi, a gambe
divaricate e braccia alzate diritte sopra la testa, nel cortile, contro il
muro della palazzina, nelle celle».Costrizione sostenuta dagli imputati con
«motivazioni infondate» e «risibili, se l'argomento di questo procedimento
non fosse terribilmente serio e grave». Le percosse, anche nei genitali,
erano la reazione alla richiesta di conferire con un magistrato o un
avvocato, o di andare in bagno. Il tutto veniva condito da «insulti di ogni
tipo, a sfondo sessuale, razzista, di contenuto politico, minacce di morte e
di stupro», con «l'obbligodi ingiuriare se stessi e pronunciare inni al
fascismo e al nazismo». Insiste il giudice: «Queste ultime espressioni di
carattere politico, già di per sé intollerabili sulla bocca di appartenenti
a forze di polizia di uno stato democratico, che pone il ripudio del
nazifascismo tra i valori della propria Costituzione, sono risultate tanto
più ripugnanti e vessatorie in quanto dirette contro persone appartenenti a
un'area politico sociale antifascista e antirazzista». Gli arrestati alla
scuola Diaz furono «marchiati con il pennarello come se non di persone si
trattasse, bensì di capi di bestiame o di imballaggi di merci».
LA CRUDELTA' ESCLUSA.
Nell'esame dei personaggi simbolo si ritrovano molte spiegazioni. L'ispettore
Antonio Biagio Gugliotta subisce la condanna più alta in assoluto (5 anni e
2 mesi) poiché avendo un compito di coordinamento «sapeva cos'avveniva nella
struttura e relative adiacenze, ed è da ritenerlo responsabile e consapevole
anche per fatti accaduti in sua assenza». Antonello Gaetano, poliziotto
condannato per lesioni, non può beneficiare delle testimonianze dei
colleghi, che pure aveva citato, poiché «irrilevanti». Ma non gli vengono
contestati i «motivi abietti» per una questione tecnica: occorre che il
movente del reato, per quanto ravvisato, sia identificato con certezza.
Importante il caso di Massimo Pigozzi, l'agente che lacerò una mano
divaricando le dita a Giuseppe Azzolina. Su quel fatto la vittima «ha dato
dichiarazioni coerenti e non inficiate da motivi di vendetta». Non è
tuttavia riconosciuta l'aggravante della crudeltà: «Può essere ravvisata
soltanto se il soggetto inserisce un surplus di efferatezza, che in questo
caso non si ravvisa».
FALSI A CAUSA DEL CAOS.
Un passaggio chiave è quello sui documenti precompilati che furono fatti
firmare a molti detenuti, a loro insaputa.
I giudici confermano in qualche modo quello che d'acchito sembra un inganno,
ma escludono il reato. «È stata accertata la parziale precompilazione dei
moduli utilizzati per raccogliere le dichiarazioni di primo ingresso».Però:
«Il collegio ritiene che la mera predisposizione dei moduli con una parte
compilata in anticipo non configuri una falsificazione,qualora vi sia
corrispondenza fra quanto verbalizzato in anticipo e la dichiarazione
raccolta in seguito». Non va dimenticato «il problema della mancata
comprensione della lingua italiana.
Questa circostanzapuò avere determinato un difetto di comprensione
reciproca, da parte dell'arrestato straniero, della domanda formulata dal
personale e, da parte del verbalizzante, del contenuto della risposta. La
difficoltà di comprensione non consente di ritenere raggiunta la prova del
contenuto stesso delle dichiarazioni, e della conseguente
falsità di quelle registrate».
OMERTA' ININFERMERIA.
Inequivocabile il giudizio complessivo sulla situazione in infermeria: «Il
trattamento degli arrestati non fu sempre rispondente alla tutela della
salute delle persone. Il clima complessivo conseguente non fu dei migliori
per il comportamento degli addetti, a volte violento e prevaricatore. La
visita medica è stata «occasione di ulteriore umiliazione e denigrazione o
violenza»,e non ha creato le condizioni per consentire a coloro che avevano
subito in precedenza ferite,dispiegare precisamente cosa avevano. La
responsabilità
più grave è del dirigente, il dottor Giacomo Toccafondi (un anno e due
mesi), che ha persino «precluso» di avviare indagini sull'utilizzo di gas
lacrimogeno in caserma, con
«un atteggiamento omertoso».
NESSUNADIFESA.
Anche se «insuperabili dubbi» hanno mitigato le condanne, l'incubo non finì
con la scarcerazione.
Le vittime hanno patito le conseguenze dei reati per lungo tempo, «per
arrivare alla guarigione e al recupero sul piano psicologico». I pestaggi
non furono «condotte isolate
bensì estese». E alla fine è innegabile «la soggezione estrema dei reclusi,
fra cui stranieri che per l'ignoranza della lingua italiana erano nell'impossibilità
di comunicare», oppure «la condivisa percezione di impotenza a reagire».
Perciò si delinea nel complesso «un contesto in cui, a fronte di
comportamenti violenti e inumani da parte di coloro che erano preposti alla
custodia o alla cura delle persone, le vittime non hanno potuto opporre
alcuna difesa nei confronti degli illeciti».
Il punto è che non era possibile individuare i colpevoli uno a uno.