Giro da Melting Pot
Migranti e migrazioni dentro la crisi globale - Il nuovo scenario dell'immigrazione
Intervista
a Sandro Mezzadra, docente presso la Facoltà di Scienze Politiche
dell'Università di Bologna, autore di innumerevoli saggi, tra i quali
"Diritto di Fuga" e promotore della rete UniNomade
Lo scenario di crisi globale che stiamo attraversando non manca e non
mancherà in futuro di avere pesanti ripercussioni anche per quanto
riguarda la vita dei migranti e più in generale sui fenomeni migratori.
Per cercare di approfondire le striature di questo scenario inedito abbiamo intervistato Sandro
Mezzadra, esperto in studi post-coloniali, docente presso la Facoltà di
Scienze Politiche dell'Università di Bologna e promotore della rete
UniNomade.
D: Si discute di crisi
economica ed a catena emergono nuovi ed inediti scenari anche per
quanto riguarda l'immigrazione. Intanto, possiamo dire che quello della
crisi è uno scenario di grande riscrittura delle regole, non solo
quelle della finanza? E che proprio questo è anche uno scenario
estremamente aperto e potenzialmente molto ricco?
R: E' senz'altro così. Il
fatto che la crisi abbia una profondità e un'intensità tali da
investire il sistema economico nel suo insieme è ormai ampiamente
riconosciuto. Chi si era illuso che la crisi potesse essere
circoscritta ai mercati finanziari ha dovuto ricredersi.
Come
abbiamo sostenuto fin dall'inizio del resto, la stessa distinzione tra
finanza ed "economia reale" è ormai insostenibile, considerato che i
processi di finanziarizzazione sono assolutamente pervasivi nel
capitalismo contemporaneo, ridisegnano completamente i rapporti tra
profitti, rendita e salari, esercitano il comando sull'economia nel suo
complesso. Il che significa lo esercitano sulla vita delle donne e
degli uomini che abitano il pianeta.
Che si sia di fronte a uno scenario dominato da un'esigenza di
"riscrittura delle regole" è evidente. E queste regole non
riguarderanno soltanto la finanza: il vertice G20 di Washington dello
scorso fine settimana lo ha in qualche modo chiarito, nonostante il suo
sostanziale fallimento. Non è stata una nuova Bretton Woods,
certo. Nei fatti però, come molti hanno notato, ha sancito la fine del
ruolo del G7-G8 che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni: una
trasformazione gigantesca, imposta dalla crisi e consumatasi nel giro
di pochi giorni.
Le "nuove regole" che verranno scritte nei prossimi mesi,
evidentemente, non riguarderanno soltanto i mercati finanziari e non
potranno che avere un impatto anche sui regimi di controllo delle
migrazioni. E' difficile fare ipotesi precise, soprattutto nel breve
spazio di un'intervista, sulla natura di questo impatto. Ma è certo che
la fase che si apre, oltre a presentare grandi rischi, è come tu dici
una fase aperta e ricca di opportunità. Sarà senz'altro una fase
duramente (e noi auspichiamo positivamente) conflittuale: molto
dipenderà, per quel che riguarda gli esiti, dallo sviluppo, dalla
direzione e dalla maturità di questi conflitti.
D: Nell'ambito della discussione sul'approvazione del Ddl n.733,
l'ultimo tassello del pacchetto sicurezza, la lega Nord ha proposto, lo
stop degli ingressi autorizzati (i flussi) per i prossimi due anni. Noi
sappiamo che ciò significa lo stop della regolarizzazione di chi già è
qui, ed in ogni caso che mai le migrazioni hanno avuto una speculare
corrispondenza alle domande del mercato del lavoro.
Non sarà lo stop al decreto flussi a determinare lo stop della libera
circolazione. Ma in che modo seondo te questo scenario di crisi globale
interverrà sui grandi processi migratori che abbiamo sempre definito
inarrestabili?
R: Intendiamoci: la crisi
tende sempre ad avere un impatto violentemente negativo sui migranti.
Dopo la crisi del '29, parallelamente all'avvio del New Deal,
circa mezzo milione di messicani furono deportati dagli Stati uniti,
insieme a molti dei loro figli nati in territorio statunitense. La
crisi dei primi anni Settanta fu affrontata dal governo
tedesco-federale, presto seguito da altri governi europei, con il
cosiddetto Anwerbestopp: il blocco del
reclutamento di forza lavoro migrante e la predisposizione di programmi
per il rimpatrio di quei lavoratori stranieri che, dopo aver svolto un
ruolo essenziale negli anni della grande crescita post-bellica,
risultavano improvvisamente "in esubero".
Segnali analoghi sono presenti in abbondanza oggi, anche al di là
dell'Italia. Il governo Zapatero ha tentato di rimpatriare migliaia di
migranti nel momento in cui i primi segnali della crisi si sono
manifestati nell'edilizia, che aveva assorbito una quota enorme di
lavoro migrante negli ultimi anni. E anche qui in Australia, dove mi
trovo attualmente, il governo laburista ha annunciato l'intenzione di
ridimensionare drasticamente quello che qui, pur funzionando sulla base
di una logica completamente diversa, è l'equivalente del decreto flussi.
D'altro canto i flussi migratori non si arresteranno (così come non si
sono arrestati neppure nei due esempi storico che ho richiamato in
precedenza). E inoltre il funzionamento del sistema economico è oggi
molto diverso rispetto a quello degli Stati Uniti del New Deal
o del fordismo europeo-occidentale del secondo dopo-guerra: è
ragionevole pensare che, sia pure in condizioni di accentuata
precarizzazione, continui a esserci una domanda significativa di lavoro
migrante all'interno di diversi settori economici.
D: In questo processo di
riscrittura normativa, compare anche questo
nuovo pezzo del pacchetto sicurezza, per la verità già annunciato in
campagna elettorale, ci sono moltissime norme che vanno a restringere
il campo dei diritti dei migranti. Soprattutto per quelli che già sono
qui. Pesanti restrizioni per i ricongiungimenti, tasse di 200 euro per
tutte le pratiche, permesso di soggiorno per contrarre il matrimonio,
nuovi criteri per l'iscrizione anagrafica (anche per gli italiani),
trattenimento nei cpt per 18 mesi, permesso di soggiorno a punti ed
anche il tanto acclamato reato di ingresso e soggiorno illegale
(punibile però solo con una multa). Come possiamo leggere queste nuove
norme dentro lo scenario della crisi?
R: Sinceramente, temo che
la risposta a questa domanda sia molto semplice. L'insieme di queste
misure, partendo dal riconoscimento del fatto che, al di là di ogni
retorica, la presenza migrante è ormai una presenza strutturale dal
punto di vista sociale, economico, demografico, culturale etc, punta a
rendere ancora più marcata la condizione di violenta subordinazione dei
migranti all'interno dello spazio della cittadinanza e del mercato del
lavoro.
Quella che sembra la misura più bizzarra, il cosiddetto
"permesso di soggiorno a punti" esprime nel modo più preciso la
filosofia d'insieme del provvedimento: stabilisce il principio per cui
il migrante è un soggetto sotto speciale osservazione, la cui stessa
possibilità di rimanere sul suolo italiano dipende da un insieme di
condizioni (di comportamenti, di "abilità", di prestazioni
economico-sociali) da confermare quotidianamente. E rafforza
simbolicamente e materialmente la condizione di subordinazione di cui
parlavo.
Attenzione: stiamo parlando di misure che si inseriscono
in un percorso di lungo periodo, in una continuità che i governi di
centro-sinistra si sono ben guardati dall'interrompere. Ma determinano
anche un salto di qualità nell'irrigidimento del quadro normativo, a
cui corrisponde un innalzamento del grado di ricattabilità della forza
lavoro migrante: come tutto questo si inserisca nel contesto della
crisi è facile capirlo...
D: Infine l'ultima questione, che per la verità diventerà probabilmente
la più pregnante. Se sempre l'immigrazione è stata considerata "utile",
oggi la crisi e la conseguente chiusura di aziende, fabbriche, cooperative,
industrie, pone un problema nuovo: migliaia di persone verranno
licenziate e per gli immigrati ci sarà anche la perdita del titolo di
soggiorno.
Quel nesso che innumerevoli volte abbiamo denunciato, tra diritto di
soggiorno e contratto di lavoro, che sempre è stato utile al ricatto,
oggi pone problemi nuovi. Che ne sarà di questi lavoratori, in larga
parte già formati e professionalizzati, che dovranno essere espulsi
per poi riassumerne altri quando ci saranno fasi di ripresa?
Lo
stesso sindacato confederale pone questo nodo, altri parlano di
prolungamento del permesso per attesa occupazione e di nuovi
ammortizzatori sociali, anche gli industriali paiono porsi questo
problema. Forse quella della sospensione della Bossi Fini può diventare
il terreno sul quale anche i movimenti, i migranti stessi, possono
riuscire a costruire la loro presa di parola dentro la crisi, un pò
come il no alla riforma è stato per il mondo della formazione?
R: Onestamente, mi pare
che la proposta di sospensione per due anni della legge Bossi-Fini,
formulata da Epifani, sia semplicemente dettata dal buon senso. E
certo, un movimento di massa di migranti che si appropriasse di questa
richiesta potrebbe utilizzarla per cominciare a dire "Noi la crisi non la paghiamo"!
Il nesso tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro mostra
comunque, proprio dentro la crisi, la sua natura di dispositivo che
punta a disciplinare violentemente la mobilità dei migranti,
introducendo al tempo stesso una spaccatura e una divisione all'interno
della composizione del lavoro. La lotta contro questo nesso, che può
anche assumere in prima battuta la forma di una battaglia per la
sospensione della legge Bossi-Fini, acquista oggi una nuova urgenza:
spezzarlo, assicurare il diritto di permanenza in Italia per quei
lavoratori e quelle lavoratrici migranti che perderanno il lavoro nei
prossimi mesi, è la condizione fondamentale perché i migranti possano
essere parte dei grandi movimenti che già oggi, dentro e contro la
crisi, si battono per la conquista di reddito, di nuova libertà e di
nuova uguaglianza. Perché la "riscrittura delle
regole" di cui si parlava all'inzio divenga un esercizio collettivo,
nella cooperazione e nelle lotte, di invenzione di un altro ordine
della vita comune.
Intervista a cura di Nicola Grigion, Progetto Melting Pot Europa
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