Trash. La metropoli e i suoi rifiuti.
Una discussione su lotte territoriali e riorganizzazione capitalistica degli agglomerati urbani.
C’è un dato su cui forse non si è riflettuto abbastanza. Come registrano pure gli indicatori della Legambiente, a Roma è nettamente peggiorata la qualità della vita. Non è certo una cosa di cui ci si può stupire. Già con servizi sociali molto al di sotto della domanda (dagli asili nido alle strutture sanitarie) ed una mobilità allucinata e allucinante, con il nuovo Piano Regolatore targato Veltroni a questa situazione di degrado e disagio sociale si è aggiunta una aggressione cementificatrice d’inaudita portata.
Un’aggressione che con la Giunta Alemanno - precipitatasi a stringere rapporti con i vecchi e i nuovi palazzinari - prosegue con vigore: si pensi al progetto di housing sociale, che la stampa spaccia per edilizia popolare e che minaccia il residuo agro romano nel nome degli interessi dei costruttori.
Tanto per indicare qualche dato, occorre segnalare come nel 1962 Roma avesse 2.168.000 abitanti, con un suolo comunale cementificato pari a 11.000 ettari. Nel 2001 gli abitanti sono saliti a 2.546.000 ma il suolo cementificato è quasi quadruplicato passando a 47.720 ettari. Il nuovo Piano Regolatore, prevede per il 2011 un numero di abitanti pressoché simile a quello del 2001 ma con incremento di altri 7.000 ettari di cementificazione del suolo (che arriverà così a quasi 55.000 ettari cementificati).
E questi dati, viste le tendenze della Giunta Alemanno, andranno di sicuro aggiornati!
Ma c’è un altro indicatore che non può essere trascurato e che ha contribuito effettivamente al peggioramento della situazione romana: i rifiuti. A Roma abbiamo ancora Malagrotta, la più ampia discarica urbana d’Europa, prorogata lo scorso anno. Dato che è giunta al collasso, si era promesso agli abitanti della zona di chiuderla, ma la prospettiva è in realtà quella di creare una nuova discarica a breve distanza. Dunque, si dovrebbe parlare più propriamente di un raddoppio. Non solo, ma seguendo l’ottica per cui i rifiuti non vanno riciclati ma usati per produrre energia, a Malagrotta è già attivo da agosto, in via sperimentale, un gassificatore. Esso, per ordine della Procura di Roma, è stato sequestrato in via preventiva l’11 novembre, due giorni prima della sua prevista inaugurazione ufficiale. Gli mancano requisiti fondamentali come la certificazione di prevenzione incendi. Come si è giunti a questa situazione? Il punto è che
nella capitale la raccolta differenziata è rimasta al palo: secondo l’AMA essa è ferma al 17%, ma molti ritengono questo dato ottimistico. Ad un così magro risultato non è estranea la pressione che l’imprenditore Manlio Cerroni, da anni gestore del sito di Malagrotta, ha sempre esercitato sulla amministrazione capitolina affinché non procedesse risolutamente verso una gestione alternativa dei rifiuti. E a confermare la potenza di questo personaggio c’è pure il suo coinvolgimento in un progetto benedetto da Marrazzo ma osteggiato da una forte mobilitazione popolare: quello dell’inceneritore ad Albano Laziale, nella provincia di Roma. Ma come si possono far passare soluzioni così barbare al problema rifiuti? Per circoscrivere la protesta ai luoghi più direttamente interessati da discariche e inceneritori, evitando che essa dilaghi, è già pronta una campagna mediatica. Essa consisterà nella retorica sulla Città eterna altrimenti
sommersa dai rifiuti, nella prefigurazione del Colosseo circondato dall’immondizia.
In sostanza, qui basterà evocare lo shock per far passare quelle soluzioni che a Napoli hanno ricevuto vigore da mesi di roghi per le strade. Oggi l’hinterland del capoluogo campano è disseminato di discariche e di inceneritori, ma Berlusconi giubila: il problema è risolto (in realtà i cumuli di immondizia sono stati eliminati solo dal centro di quella martoriata metropoli ma restano in periferia e nell’area metropolitana).
E’ in ragione di questa situazione che abbiamo scelto di presentare e discutere il quaderno "Trash. La metropoli e i suoi rifiuti". Il volume in questione “è il frutto dell’elaborazione di varie realtà militanti, politiche e culturali che si sono confrontate, per motivi diversi o accomunati nella lotta, con il blocco sociale bassoliniano e la sua cupola del potere negli ultimi anni, partecipando anche attivamente alle lotte popolari degli ultimi anni cresciute qualitativamente e quantitativamente in Campania” . Vi sono, certo, differenze tra Napoli e Roma, qui la criminalità organizzata non ha lo stesso impatto e, soprattutto, non gioca lo stesso ruolo di agente di contenimento del conflitto sociale. Ma non mancano le analogie, soprattutto se l’analisi di singoli problemi ambientali non viene sganciata dal resto, ossia dal problema più generale della riorganizzazione capitalistica delle nostre metropoli.
Non è nostra intenzione, infatti, fare ecologismo alla maniera della Legambiente e di altre organizzazioni, che separano la questione ambientale da quella sociale, invocano il civismo dimenticando gli interessi capitalistici, si muovono come lobbies di pressione invece di promuovere e sostenere i movimenti dal basso. Finendo, quindi, per dire parole sante sul Piano Regolatore di Roma, salvo appoggiare i partiti che lo hanno approntato e votato.
Chiarito qual è il nostro approccio complessivo alla questione, vogliamo rivolgere 5 domande ai nostri interlocutori, che sono i comitati che si mobilitano contro la devastazione del territorio, contro le discariche e gli inceneritori, ma anche le realtà di lotta per il diritto alla casa, che si scontrano quotidianamente con gli interessi di quegli immobiliaristi che a Roma la fanno da padroni.
Sono domande che non intendono delimitare ma aprire il dibattito intorno alle questione sollevate da "Trash. La metropoli e i suoi rifiuti".
1) A Napoli, la spettacolare “risoluzione” del problema rifiuti, necessaria all’esordio del governo Berlusconi, ha portato con sé uno straordinario livello di militarizzazione del territorio e di repressione dell’insorgenza sociale. Questo passaggio è stato una premessa all’esperimento dei militari dispiegati nelle città. Stiamo forse arrivando allo stato d’eccezione come modo stabile di tenere a bada le banlieues nostrane ed i conflitti che vi si producono?
2) Sul terreno dei rifiuti, in Campania, è definitivamente naufragata la esperienza del “buongoverno” bassoliniano, che non ha più capacità di fare egemonia. A Roma la sconfitta del veltronismo, modello di gestione che si voleva estendere all’intero paese, è stata clamorosa e determinata dall’urto con i problemi reali. Bassolino e la Iervolino governano regione e città nel totale discredito e nella separazione netta dalla popolazione. A Roma, attorno ad Alemanno, si sta configurando un blocco di interessi imperniato sui costruttori, ma il nuovo sindaco finora è risultato incapace di suggerire una propria via per la gestione della città. Quali sono gli spazi per le forze antagoniste ora che sono saltati i tradizionali meccanismi di mediazione e di inglobamento e che i modelli di amministrazione più osannati dai media sono entrati in crisi?
3) Le lotte contro la devastazione del territorio sono da sempre etichettate come espressione del NIMBY (not in my backyard), ovvero dell’egoismo locale. Ciò vale per le rivolte napoletane come per le proteste degli abitanti di Malagrotta e di Albano Laziale. E’ chiaro che simili catalogazioni nascondono il fatto che le istituzioni rappresentative sono sempre meno permeabili dai bisogni sociali. In che misura le lotte nei territori possono rimandare all’idea ed alla prassi di una democrazia “altra”? E come possono collegarsi alle altre lotte – legate alla precarizzazione crescente della vita – che attraversano il territorio metropolitano?
4) “Far soldi con l’ambiente” è uno slogan molto in voga nella stampa più o meno progressista. Se nell’ottica di uno studioso come Guido Viale una diversa gestione dei rifiuti può rimandare, entro certi limiti, ad un diverso assetto socio-economico, per il grosso dei commentatori essa si lega, invece, alla presunta capacità del capitalismo di fare profitto difendendo, insieme, l’ambiente. Di fronte alla sempre maggiore diffusione di una simile illusione, non è giunto il momento che i comitati territoriali comincino a dotarsi di una prospettiva più ampia e di un punto di vista chiaramente anticapitalista?
5) Nelle nostre metropoli, in via di riorganizzazione, si diffonde sempre di più un tipo particolarissimo di rifiuti: i rifiuti umani. Roma in particolare, negli ultimi anni è stata oggetto di una trasformazione senza precedenti, con un nuovo Piano Regolatore in cui la tradizionale spinta a programmare delle sinistre è stata totalmente messa al servizio dell’interesse privato. In passato la programmazione dello sviluppo cittadino era un modo per superare condizioni abitative incivili (baraccopoli ecc.), anche se veniva portata avanti dall’alto e ha dato luogo a brutti quartieri popolari (vedi Tor Bella Monaca, Corviale, Laurentino 38). Con Veltroni essa si è trasformata in uno strumento di creazione di nuove situazioni di marginalità, in cui possono cadere tutti coloro che non riescono ad accedere al mercato della casa. Non si impone forse oggi – anche a partire dalla spinta dei comitati locali – la necessità di superare l’alternativa
storica tra la deregulation di tradizione democristiana e la programmazione dall’alto, sviluppando finalmente una pianificazione dal basso?
Come si vede, non si tratta di questioni irrilevanti. Affrontarle, può significare – per le realtà di lotta romane – cominciare a muoversi come quei compagni napoletani che, con il quaderno "Trash. La metropoli e i suoi rifiuti", hanno ridato vita alla vecchia tradizione di far sgorgare il sapere dal conflitto sociale.
Per questo motivo intendiamo presentare a Roma il volume "Trash. La metropoli e i suoi rifiuti". L’appuntamento è per il 4 dicembre, presso il Comitato di Quartiere Alberone (in via Appia Nuova 357), alle ore 18. Interverranno Biagio Borretti e Michele Franco.
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