Autore: nana Data: To: nogelminispbo Oggetto: [Nogelminispbo] NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO NON E’ SUFFICIENTE: CHI PAGA QUESTA CRISI? from scipolmi
inoltro da indyer:
vi inoltriamo, come studenti/lavoratori dell'Assemblea di Scienze Politiche
di Milano, un contributo in vista dell'assemblea studentesca che si terrà
dopo la manifestazione del 14 a Roma.
NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO NON E’ SUFFICIENTE: CHI PAGA QUESTA CRISI?
Per il movimento studentesco che si oppone alla riforma della signora
Gelmini è giunto il momento d approfondire e radicalizzare la critica al
contesto economico e sociale nel quale l’università si trova inserita,
al fine di dare maggiore incisività alle nostre pratiche di opposizione.
La mobilitazione che ci ha fortunatamente travolto e le contingenze
quotidiane hanno necessariamente relegato sullo sfondo la questione
fondamentale, direttamente e paradossalmente connessa alle parole
d’ordine che guidano la protesta del movimento studentesco nazionale:
“noi la crisi non la paghiamo”.
La domanda cui siamo chiamati a rispondere e che ci permetterà di avanzare
efficacemente e di ottenere risultati concreti, quindi è: CHI paga questa
crisi finanziaria?
La pagheranno i soggetti che l’hanno provocata, ossia banche e
speculatori di ogni specie e colore? Oppure stavolta, diversamente dal
solito leitmotiv, le aziende saranno chiamate a sostenere i
“sacrifici”, dopo che per anni hanno macinato crescenti profitti mentre
i salari erano in caduta libera, assieme ai nostri diritti? Chi altro? I
politicanti di maggioranza e opposizione che, sebbene formalmente
avversari, fanno a gara a chi precarizza maggiormente i lavoratori e a chi
elargisce più soldi pubblici, pardon incentivi, alle imprese private? Chi
altro ancora? I baroni universitari ed i loro portaborse che, nonostante
l’avversione demagogica manifestata dagli esponenti di governo, non sono
altro che il frutto perverso del collegamento sempre più stretto tra
università (leggi fondi) pubblica ed interessi privati?
La realtà scritta negli ultimi provvedimenti della maggioranza (col
consenso dell’opposizione), purtroppo, va però in tutt’altra
direzione. Il governo, nell’ordine, ha:
•Predisposto un pacchetto di aiuti alle piccole e medie imprese per 650
milioni di euro.
•Secondo le indiscrezioni del quotidiano inglese "Financial Times"
starebbe predisponendo un pacchetto da 30 miliari di euro per il sostegno
alle banche italiane.
•Stanziato 16 miliardi di euro per le “grandi opere”, ossia prelibati
bocconcini per gli speculatori turno. La Tav ed il Ponte sullo Stretto di
Messina sono solo alcuni esempi di come i soldi pubblici, che dovrebbero
essere utilizzati per sostenere salari, sanità, istruzione e qualità
della nostra vita, saranno spesi per rimpinguare le tasche degli amici
degli amici.
•Incrementato le risorse destinate alla cassa integrazione, prevedendo un
impegno straordinario di 600 milioni di euro. In pratica, si sgravano gli
“imprenditori” nazionali dagli oneri dei licenziamenti, al fine di
permetter loro di per de-localizzare la produzione in zone a basso costo.
Alla faccia del “Sistema Italia” e dell’ “Interesse nazionale”
tanto sbandierate da maggioranza, opposizione e sindacati concertativi.
•Defiscalizzato le ore di straordinario dei lavoratori. In pratica, è un
regalone alle imprese che saranno ben liete di allungare a prezzi
decrescenti la giornata lavorativa, invece di assumere giovani. Forse è
stato fatto per risolvere il problema della disoccupazione giovanile che
sfiora il 30%, percentuale più elevata d’Europa?
Al contrario, il braccio armato di Confindustria – il governo italiano
– si è premunito di:
•Colpire pesantemente i lavoratori sempre mediante i provvedimenti
contenuti nella legge finanziaria 133, allungando la giornata lavorativa;
riducendo i riposi; indebolendo gli organi ispettivi, incentivando di fatto
il lavoro nero; precarizzando ulteriormente i rapporti di lavoro; colpendo
la tutela della salute e sicurezza del lavoro.
•Approvare la legge 137 attinente al mondo della scuola, licenziando di
fatto 87 mila tra maestri, professori, tecnici e personale Ata precari
(spesso da molti anni), che non si vedranno rinnovare il proprio contratto.
•Su suggerimento de Il Sole24Ore, organo ufficiale della Confindustria,
pensare seriamente di mettere mano alle pensioni per risolvere la crisi
finanziaria.
Appare chiaro che la crisi non colpisce tutti allo stesso modo. La prima
barca, opportunamente sostenuta da un governo e da un’ opposizione
criminale, procede a gonfie vele. L’altra barca, al contrario, viene
fatta affondare in nome dell’ “interesse nazionale” e del bene
comune.
Il nodo centrale è quindi il seguente: è corretto continuare questa
mobilitazione in una dimensione prettamente studentesca, se i fondi che
verranno provvisoriamente trovati per placare il malcontento degli
universitari saranno tagliati da altri (e altrettanto importanti) settori
sociali che ugualmente ci riguardano, assieme alle nostre famiglie, come
lavoratori e come cittadini?
No. E’ suicida.
L’essenza del nostro sistema economico e sociale si regge oggi sulla
terna: a) lavoratore ‘spaventato’, a causa della precarietà (leggi
ricattabilità) presente sul mercato del lavoro; b) risparmiatore
‘terrorizzato’ (per le modifiche nei sistemi pensionistici, e per
l’incertezza dell’investimento finanziario) e c) consumatore
‘indebitato’ (per la dipendenza della propria spesa dall’accesso
crescente al credito bancario).
In tal contesto caratterizzato da un’ oggettiva debolezza del mondo del
lavoro, rinchiuderci in un becero corporativismo studentesco garantirebbe
alle imprese private – coadiuvate dal potere dello stato – di
accrescere il loro potere politico all’interno di una società
ulteriormente mercificata e ricattabile.
Il risultato sarebbe un ulteriore indebolimento della classe lavoratrice,
condizione necessaria alla sostenibilità della (loro) profittabilità
privata.
La crescita di potere delle forze di mercato nella società va di pari
passo con l’imposizione ancora più veemente degli indirizzi di ricerca
universitari (a loro) più convenienti. In altri termini, si privilegeranno
i settori più profittevoli, aggravando ulteriormente il sistema vigente il
cui fine delle relazioni economiche non è il soddisfacimento dei nostri
bisogni, bensì quello della loro (s)vendita e mercificazione. D’ altra
parte, diritti che fino a pochi anni fa erano garantiti (poiché
conquistati con le lotte dei lavoratori) come casa, affitto ragionevole,
sanità, pensioni, istruzione, sono oggi in via di privatizzazione e
distruzione.
In definitiva, ogni concessione sul mondo del lavoro rappresenta
un’ulteriore erosione del diritto allo studio ed al diritto ad una
formazione pubblica che ci favorisca come parti integranti di una
collettività.
Ogni ulteriore mercificazione della società, che passa necessariamente per
i finanziamenti (pubblici) alle imprese e per i salvataggi degli istituti
bancari – maggiori responsabili dell’attuale tracollo finanziario –
rappresenta un ulteriore passo verso la via della privatizzazione e
demolizione dell’università e dell’istruzione pubblica. Infatti, se il
ruolo delle istituzioni statuali, seppur pubbliche, è sempre più
declinato al sostenimento delle imprese private a costo di ingenti costi
sociali, è sbagliato ritenere che l’università – un istituto che
riproduce il sistema generale di sfruttamento attraverso meccanismi
determinati di a) selezione e di b) manipolazione – sia un’ isola
felice slegata dalla struttura economica che la determina. Svilito il ruolo
dello stato - da mediatore dei conflitti sociali a puro ossigenatore dei
profitti privati – il destino dell’università e dell’istruzione
pubblica si trova perciò in balia delle forze di mercato (ma politicamente
guidate) che pretendono di sottomettere qualunque spiraglio delle nostre
vite alla sua valorizzazione.
Che fare? La soluzione, a nostro avviso, non può essere opera di cervelli
individuali. Al contrario, il compito di trovare nuove soluzione spetta ai
movimenti collettivi che saranno in grado di saldare assieme prassi e
teoria.
In tal senso, il piccolo contributo che ci sentiamo di dare è solamente
uno: non potrà esserci una lotta studentesca vincente se non sarà in
grado di allearsi con gli attori appartenenti allo stessi corpo sociale su
cui il governo sta ugualmente cercando di scaricare i costi della crisi al
fine di salvare banche, finanzieri, ed imprese private. E questi attori
sociali vanno ricercati nel mondo del lavoro e che condividono con noi la
medesima appartenenza sociale. I loro interessi materiali sono convergenti
a quelli di noi studenti. Se il loro antagonismo è nei confronti delle
forze di mercato, opportunamente coadiuvate e sorrette dai governi di ogni
colore, il nostro avversario è il potere baronale che, nell’attuale
modello di università mercificata, ha il compito di indirizzare ricerca e
didattica secondo gli interessi economici delle imprese che ha loro volta
esigono livelli di produttività sempre maggiori dai lavoratori.