Secolo xix
 
Gratteri: alla Diaz sospesa la Costituzione
processo g8
 
Genova. «Sono d'accordo con i pubblici ministeri: la notte della Diaz  
furono sospese le garanzie costituzionali». Al processo sull'irruzione  
della polizia nella scuola genovese che ospitava i no global durante il G8  
del 2001, la difesa gioca in contropiede. L'avvocato di Francesco  
Gratteri, oggi numero tre della polizia e allora capo del Servizio  
centrale operativo, ha ammesso che quella notte, a Genova, fu sospeso  
l'articolo 27 della Costituzione («la responsabilità penale è personale»).  
La sfida è aperta.
 
«Garanzie costituzionali sospese»
g8, l'irruzione alla diaz
 
L'avvocato dell'ex capo dello Sco Gratteri sferra un duro attacco nel  
corso dell'arringa
Genova. «Sono d'accordo con i pubblici ministeri: la notte della Diaz  
furono sospese le garanzie costituzionali». Il giorno della sfida è  
arrivato. Dopo le accuse, pesantissime e argomentate, costruite e  
sostenute di fronte al mondo dai due pubblici ministeri genovesi Francesco  
Albini Cardona ed Enrico Zucca, ieri la difesa ha giocato la carta  
dell'attacco. In contropiede. L'ha estratta l'avvocato Marco Corini,  
difensore di Francesco Gratteri, l'attuale capo della Direzione centrale  
anticrimine, in pratica il numero tre della polizia, ai tempi del G8 capo  
del Servizio centrale operativo: «Sono state sospese le garanzie  
costituzionali perché la Polizia è stata costretta a fuggire, perché una  
pattuglia è stata aggredita. Tutto questo in uno scenario di guerra e  
quindi in una sospensione di fatto dei diritti costituzionali».
Secondo l'avvocato Corini, questo contesto «deve valere per tutte le  
comparse in teatro». Per il difensore di Gratteri così come era falso dire  
che tutti i manifestanti facevano parte del blocco nero «non è possibile  
dire che tutta la polizia, tutti coloro che portavano la stessa divisa,  
abbiano avuto le stesse responsabilità di pochi esaltati». Questo clima,  
secondo il legale, ha di fatto portato a una «sospensione dell'articolo 27  
della Costituzione», l'articolo sulla responsabilità penale. «La  
responsabilità penale in questo processo non è più personale ma è per  
gruppi. Sta di fatto che l'articolo 27 è stato tradito e questo tradimento  
ha inquinato l'approccio all'inchiesta».
Una strategia difensiva durissima che non può che scontrarsi con una mole  
di accuse altrettanto granitiche, al centro del processo contro i 29  
poliziotti (agenti e funzionari) imputati per il blitz al quartier  
generale dei noglobal avvenuto la notte del 21 luglio 2001 (i reati  
contestati vanno dalle lesioni gravissime al falso, alla calunnia, al  
porto di armi da guerra). La polizia non scappò affatto, considerando che  
si fermò alla Diaz fino alle due. E di fronte all'assenza di feriti tra le  
forze dell'ordine, a parte un giubbotto tagliato (e contestato dalle  
perizie dell'accusa) assurto a emblema di un'aggressione di fatto non  
argomentata (proprio come quella della sassaiola ai danni della prima  
pattuglia che si trovò a passare tra le due scuole del Genoa social  
forum), tra i manifestanti i feriti usciti dalla scuola furono una  
settantina, di cui tre gravissimi.
La difesa è andata oltre, toccando il cuore del processo ai vertici della  
polizia: la formula ambrosiana del `non poteva non sapere´ nega  
«l'accertamento del giudice» e il valore della prova: «Questa formula è il  
nulla». È stata la tesi dell'altro avvocato di Francesco Gratteri sulla  
cosiddetta responsabilità di comando, entrato in scena nel pomeriggio di  
ieri. Parlando davanti alla prima sezione del tribunale, D'Ascola ha  
incentrato il suo intervento sulla «responsabilità per posizione».  
Ricordando le due sentenze della Corte costituzionale sull'ignoranza della  
legge penale e sull'addebito soggettivo della responsabilità, D'Ascola ha  
sottolineato come per attribuire un fatto, un reato «si debba provare una  
contribuzione volontaria e consapevole. Intenzione e consapevolezza  
determinano il dolo». Sul punto, D'Ascola ha ricordato la sentenza  
Sommers, già citata dai pubblici ministeri: «La Cassazione in quella  
sentenza disse che la responsabilità penale era determinata da un ordine.  
Non è il nostro caso».
In effetti i due pm Zucca e Albini Cardona, nella loro memoria, non  
ipotizzano per i vertici della polizia una responsabilità oggettiva, ma  
una responsabilità diretta che si è manifestata nei momenti cruciali con  
«l'espressione di una potestà decisionale». Furono i vertici, secondo  
l'accusa, ha decidere cosa fare e come.
La sfida è aperta. E minaccia nuove scintille fino alla sentenza, che  
potrebbe arrivare per la fine del mese.
Graziano Cetara
cetara@???
 
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Carlo
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