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Migliaia di persone indicono il referendum sul Dal Molin
Paolo Cacciari
[2 Ottobre 2008]
Domenica a Vicenza si vota comunque. Cinquantatrè erano le sedi di seggio
previste, cinquantatrè saranno aperte dalla mattina alla sera. Se non dentro le
scuole, fuori, con strutture mobili. A volerlo i comitati, le associazioni, il
movimento contro la nuova base militare statunitense.
Non chiamatelo «autogestito»: sarà referendum vero, con scrutatori e
verbalizzatori. Dei «consigli di [questo] stato» non sappiamo che farcene –
grida la gente. A confermarlo il sindaco Achille Variati e tutta la giunta, in
piazza dei Signori in una notte indimenticabile, quella di ieri, di fronte ad
«un pubblico numeroso come non si vedeva da decenni». Dopo ore di incertezza,
rabbia e tensione, «migliaia di persone si sono radunate in piazza dei Signori
ieri sera dopo un tam tam spontaneo avvenuto a poche ore dalla sentenza del
Consiglio di Stato. La folla trabocca in piazza Biade e in piazzetta Palladio
[…]. Una cosa è certa: si registra una partecipazione inedita per consistenza.
Si contano poche bandiere, ma tantissime famiglie. Anziani e studenti pigiati l’
uno accanto all’altro. La manifestazione è unitaria, e si vede». A scrivere
questi resoconti non è l’ufficio stampa del presidio, ma il principale
quotidiano locale in edicola oggi di proprietà della Confindustria, Il Giornale
di Vicenza, da sempre schierato a favore del business americano. Non meno
sorpresa la cronaca de Il Gazzettino: «La città ha reagito immediatamente alla
beffa di veder svanire il referendum […] l’indignazione di quella parte della
città si è quindi riversata per le vie del centro».
A Vicenza in questi due ultimi anni è successo qualcosa di cui pochi ancora si
rendono conto. Un moto popolare che, a partire dall’enormità della pretesa di
trasformare la città in una piattaforma logistica militare, ha acquisito – nel
pratico svolgimento della vertenza – coscienza di sé come comunità e condiviso
competenze, saperi, volontà. L’editto con cui Prodi da Budapest, il 16 gennaio
2007, aveva ceduto agli Usa l’aeroporto civile Dal Molin aveva già segnato con
precisione la distanza che separa questa comunità dal potere politico. Ora l’
ordinanza del Consiglio di Stato che «interrompe» l’iter della consultazione
referendaria a pochi giorni dal suo svolgimento conferma i fondamenti a-
democratici delle istituzioni statali.
Nelle motivazioni, la consultazione popolare viene bollata come «inutile». Il
fatto nuovo è che a queste protervie Vicenza ha, fino ad ora, trovato al suo
interno le risorse per reagire in modo intelligente; prima «impadronendosi»
delle elezioni eleggendo sindaco un «democratico disubbidiente», ora
appropriandosi di una consultazione referendaria che renderà comunque
protagonisti diretti i cittadini. Come dire: la democrazia siamo noi.
Il pericolo è che a questo governo sembra non interessare nulla la
competizione sul piano della democrazia: il registro che usa per acquisire
consensi è il dispotismo, l’affermazione dall’alto e con la forza della propria
autorità decisionista. Per questo motivo lo scontro in atto a Vicenza non è
solo emblematico di ciò che sta avvenendo in Italia, ma è concretamente
decisivo. Il fatto che paladini della democrazia parlamentare come Veltroni e
Di Pietro o federalisti e autonomisti come quelli della Lega non abbiano posto
il Dal Molin in testa alla loro agenda, dimostra che parliamo di due idee di
democrazia diverse.
Lo ha detto anche Variati, molto lucidamente e con grande inquietudine: «C’è
qualcosa che non funziona. Quando tanta gente si raduna in piazza per chiedere
ascolto e viene imbavagliata, il dovere di un sindaco è di essere cittadino tra
i cittadini. Perciò domenica andrò a votare nel mio seggio e mi adopererò
perché lo possano fare tutti i cittadini».
Achille – così ormai è chiamato da tutti – non si limita a proclamare il
diritto ad esprimere le proprie opinioni, vuole che tutti lo possano fare con
cognizione e, in un silenzio surreale, legge in piazza alcuni passi dell’
ordinanza del Consiglio di Stato: «La consultazione appare inutile ove si
volesse assumere una connotazione patrimoniale. Non occorrono sondaggi per
accertare la volontà positiva di ogni cittadino di accrescere il patrimonio del
Comune al pari di quanto potrebbe verificarsi se si proponesse un quesito su un
ipotetico vantaggio individuale o collettivo». Incredibile. Il silenzio della
piazza si rompe: «Vergogna!».
fonte: Carta quotidiano giovedì 2 ottobre 2008 ore 17.30
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Non potendo rafforzare la giustizia si è giustificata la forza B. Pascal
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