[Forumlucca] libro + intervista

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著者: Massimiliano Piagentini
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To: forumlucca
題目: [Forumlucca] libro + intervista
L'orto ideale era nell'Eden...

Intervista a Pia Pera

autrice di L'orto di un perdigiorno
(http://www.zam.it/3.phpid_autore=1107&libro=9788850213306&img_dir=330&title=L'%20orto%20di%20un%20perdigiorno.%20Confessioni%20di%20un%20apprendista%20ortolano).

www.ortidipace.org


Quando si ha lì fuori ad attenderci un orto o un giardino, non si
vorrebbe fare altro che passarci il proprio tempo. È la pace. Un senso
di pienezza. Una beatitudine che fa godere del vento, delle nuvole, di
uno scroscio di pioggia. Un senso di felicità che Pia Pera cerca di
comunicarci in L'orto di un perdigiorno. Tutto qui? No, l'autrice non
cerca soltanto di spiegarci quanto sta bene nel suo orto. C'è anche un
altro impegno: convincere chi è preso da certi odierni ingranaggi
distruttivi che è possibile invertire il senso di marcia di
un'economia che sta distruggendo il nostro pianeta. Temi di cui
abbiamo parlato con lei.


D. L'autunno è l'alfa e l'omega di L'orto di un perdigiorno: per lei
che cosa rappresenta questa stagione?

R. La dolcezza dei lavori conclusi, la promessa dell'ozio invernale,
del camino acceso, delle letture. L'attesa del ritorno della luce.

D. Il tema del suo libro fa pensare ad alcuni personaggi che hanno
amato molto (e a vari livelli) la natura, da Derek Jarman a Thoreau,
fino ai flaubertiani Bouvard e Pécuchet, che lei cita «per contrasto».
Quali sono i suoi punti di riferimento «letterari»?

R. Il Goncarov di Oblomov, l'Aksakov di Cronaca di famiglia, il Puskin
di La figlia del Capitano e dei Racconti di Belkin, il Genji
Monogatari, Camillo Boito, il Calamandrei di Inventario della casa di
campagna, il Libro d'ombra di Tanizaki, La mia famiglia e altri
animali di Gerald Durrel, Luoghi etruschi di D.H. Lawrence. È soltanto
una raffica di titoli, i primi che mi vengono in mente. Non ho punti
di riferimento letterari veri e propri. Prediligo gli autori capaci di
prescindere dalla psicologia, di tradurre in immagini la precisione
della natura, che non è mai vaga perché mai incorporea.

D. Lei scrive: «L'orto che vorrei devo ancora crearlo». Qual è il suo
orto ideale? Che legame ha con la sua vita interiore?

R. Per me l'orto ideale è vicino a una fonte d'acqua, a una sorgente
oppure a un ruscello, un fiume... Insomma, acqua da incanalare con
intelligenza, tale da mantenere la terra al giusto livello di umidità,
in una condizione di fertilità mai minacciata, riducendo al minimo il
lavoro. Amo Masanobu Fukuoka, teorico dell'agricoltura naturale, detta
anche della non-azione: dove, a rigore, l'orto nemmeno c'è perché ci
si limita a raccogliere quanto la natura offre spontaneamente. L'orto
ideale era nell'Eden: lì l'uomo coltivava senza sudore della fronte,
senza lavoro abbrutente, era semplice custode di un
orto/giardino/frutteto bellissimo e generoso, specchio perfetto
dell'anima. Ecco, un orto/giardino in cui si realizzi l'armonia, il
passaggio equilibrato delle stagioni, rimanderà un'immagine di pace,
sarà capace di accogliere i ritmi della vita interiore.

D. Il grande artista giapponese Soseki diceva che per essere un buon
pittore bisogna conoscere la differenza fra le stagioni: e nella
narrativa, quanto conta la natura?

R. Mi viene in mente Libereso Guglielmi, il giardiniere del padre di
Italo Calvino, il quale diceva che per essere un buon giardiniere
bisogna saper disegnare. Credo voglia dire che, più si è ricchi di
talenti, più questi talenti si fecondano fra loro. Quanto conta la
natura nella narrativa... non mi sento del tutto a mio agio con questa
domanda. La riformulerei così: è concepibile, auspicabile, un universo
– e la narrativa è soltanto uno dei tanti universi possibili – che
prescinda dalla natura, che se ne recida anziché partecipare al suo
respiro? Per il mio modo di vedere, no. Anche se viviamo in un mondo
sempre più stretto, in cui la natura è quasi ridotta nelle riserve,
come gli indiani d'America. A dire il vero, nemmeno nelle riserve è
ormai rispettata: basti pensare a quanto sta accadendo nei parchi, in
quello degli Abruzzi, per esempio, oppure in Alaska... Il potere della
scienza della tecnica e della meccanizzazione ha ridotto la natura
sulla difensiva. Ma io non credo che si possa essere uomini buoni,
uomini giusti, lontano dalla natura. Etty Hillesum restò colpita dal
fatto che nel campo di concentramento in cui era stata imprigionata
non c'era nemmeno un albero. E questo ne riassumeva per lei l'orrore.

D. Oblomov, Virgilio (Bucoliche), Petrarca: il sogno della vita
agreste è realistico, oggi? Quanti uomini e donne potrebbero essere
affascinati da questo modo di vivere? E praticarlo?

R. Rigiriamo la domanda: è forse realistico – nel senso di sostenibile
– l'incubo del degrado che stiamo vivendo? Uomini e donne vengono
affascinati dalle cose più strane. Il problema non è che cosa
affascini l'uomo, ma cosa lo nutra e gli dia pace. Che cosa gli
permetta di vivere in condizioni di libertà e autosufficienza. Che
cosa gli permetta di misurare le sue forze. Di conoscere un senso di
beatitudine affrancato dai consumi di mercato. Di apprezzare il senso
di questo bellissimo verso di Anna Achmatova: "Il pianeta dall'umile
nome di Terra". Io credo che alla radice di questa ondata crescente di
urbanizzazione e sradicamento dalle campagne si trovi in larga misura
un'offensiva economica, politica e culturale che ha privato di
autostima i contadini, ha tolto qualsiasi prestigio alla vita dei
campi. Consiglio di rileggere il Fedro di Platone: all'inizio Socrate
afferma di frequentare la città perché è dagli uomini che impara, non
certo dagli animali o dagli alberi. Dopo avere però passato la
giornata conversando con Fedro al riparo di un platano maestoso,
vicino a un corso d'acqua, si rende conto che la presenza di questo
albero sacro gli ha migliorato l'anima, lo ha reso più degno giusto e
capace di conoscere il vero. Gli ha trasmesso non sapienza tecnica o
artificio retorico, ma quel genere di saggezza che la natura,
organismo vivente, condivide silenziosamente con l'uomo che la sappia
ascoltare.

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PIA PERA vive nella campagna lucchese. Con l'Orto di un perdigiorno ha
vinto il premio Grinzane Hanbury. Nel 2006 con Electa, ha pubblicato
Il giardino che vorrei. Tra i suoi libri: La bellezza dell'asino,
Diario di Lo, L'arcipelago di Longo Mai e, per Ponte alle grazie in
collaborazione con Antonio Perazzi, Contro il giardino (2008). Ha
tradotto per Marsilio Evgenij Onegin di Puskin.
Dal portale www.ortidipace.org, promuove la diffusione di orti e
giardini nelle scuole.