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Autor: laura picchi
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From: laurapicchi56@???: m.ciancarella@???: aldo moro e la libia di gheddafi: da repubblica.itDate: Sat, 9 Aug 2008 11:09:39 +0200



Dall'archivio privato del politico ucciso trenta anni fa dalle Brigate Rossespuntano carte segrete con particolari inediti della sua attività di ministro degli Esteri
Aldo Moro e quella mano tesaverso la Libia di Gheddafi
Quando era alla Farnesina mise in atto una politica filoaraba, favorendo la vendita di armidi ALBERTO CUSTODERO
Aldo Moro
ROMA - Aldo Moro era favorevole a vendere armi ai Paesi arabi amici non solo a quelli più moderati, ma anche aerei e elicotteri da addestramento alla Libia di Gheddafi. A trent'anni dal sequestro da parte delle Brigate Rosse, spuntano dall'archivio privato di Moro alcune carte segrete che svelano particolari inediti della sua attività di ministro degli Esteri nel periodo a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta. Nelle pagine ancora sconosciute della sua lunga attività di ministro degli Esteri durata dal 1969 al 1974 durante la quale avviò la nuova fase "mediterranea" della politica estera italiana, emerge, a sorpresa, un Moro "consapevole - come ha osservato lo storico Agostino Giovagnoli - che il mercato degli armamenti giocava in quegli anni un ruolo importante in politica estera". GUARDA LE IMMAGINI Dietro quella sua aria "imperturbabile - così Gaetano Scardocchia lo descriveva ai quei tempi - e quella espressione intensamente enigmatica che aveva sempre uguale in tutti i suoi viaggi", il ministro degli Esteri Moro era favorevole che l'Italia (che stava vivendo un periodo di crisi), fornisse armamenti, seppur con "discrezione", soprattutto ai Paesi arabi produttori di petrolio, compresa la Libia del colonnello Gheddafi. Nel tentativo di ingraziarsi quei Paesi del mediterraneo, la ricerca di nuovi canali diplomatici si fece intensa ed avventurosa. La sintesi della politica estera di Aldo Moro a proposito della questione araba è riassunta in un telegramma classificato segreto a firma Moro del 26 settembre 1969, spedito da Tunisi, alle ore 22, per il presidente del consiglio Emilio Colombo e quello della Repubblica Giuseppe Saragat intitolato "posizione Tunisia". Con estrema chiarezza, da quel documento inedito redatto durante la sua visita a Bourghiba, emerge la svolta rispetto all'azione di Amintore Fanfani agli Esteri durante gli anni del centro-sinistra, dal 1965 al 1968. Moro, da poco insediato alla Farnesina, traccia le linee fondamentali della sua politica estera che seguirà fino al '74, mantenendo l'Italia in equilibrio fra arabi e Europa continentale da una parte, e inglesi e americani dall'altra.
"La nostra politica - enuncia Moro - proprio in quanto solo Paese che sia stato sin qui in grado di conservare rapporti diplomatici con tutti i Paesi arabi, è stata sempre quella di facilitare il ritorno degli occidentali negli Stati da cui erano stati estromessi, e quindi auspichiamo una politica che rafforzi la presenza dei nostri alleati". La politica, però, non basta. "Oggi più che mai - prosegue Moro - si tratta di agire con discrezione puntando ogni sforzo su metodi politici, economici, e comunque di apertura verso quelle ragionevoli richieste di forniture anche militari, purché eseguite con discrezione". Dalle armi, all'insofferenza verso la politica anglo-americana. Ancora Moro: "Noi abbiamo regolarmente, e di recente anche i francesi, fatto toccare i porti tunisini da nostre unità navali, ma se vedremmo con favore visite da parte di unità della Marina Turca, non potremmo non avere riserve di fronte ad affacciarsi di unità britanniche e americane che, mentre sul momento potrebbero dare soddisfazione a Bourghiba, non tarderebbero a rivelarsi un'arma controproducente sostanziando i sospetti che Tripoli nutre nei confronti dei due predetti Paesi". Moro non esita, un anno dopo, il 6 settembre del 1970 (all'indomani della presa del potere dei colonnelli in Libia del primo settembre del 1969), a ricevere discretamente dal ministro della giustizia tunisino Bourghiba jr "interessanti indicazioni" sulla situazione libica (fornendo una curiosa interpretazione sulla cacciata della comunità italiana da parte di Gheddafi). Ecco cosa annota Moro in un telegramma segreto diretto al capo dello Stato e al premier: "L'esproprio e la cacciata della comunità italiana servono in parte anche a coprire la ritirata ideologica di Gheddafi sul fronte della lotta a Israele, oltre che a ribadire il carattere rivoluzionario del regime. I Colonnelli han bisogno di gesti del genere (anche nel settore del petrolio, ove si contenteranno per ora dell'aumento del prezzo), così come continueranno ad avere bisogno di complotti, veri o falsi. A organizzare questi ultimi pensano i servizi speciali egiziani". È solo nel 1971, però, che Aldo Moro incontra per la prima volta il presidente Gheddafi. Era il 5 maggio, un momento di particolare tensione fra i due Paesi: a partire dall'annuncio del Colonnello libico del 21 luglio 1970, furono espulsi 12 mila italiani in tre mesi: la reazione del governo di Roma fu improntata ad un dialogo da cui, per motivi economici, politici e strategici, non sembrava poter prescindere. Il faccia a faccia Moro-Gheddafi è riassunto in un telex segreto spedito in Italia 5 giorni dopo, a firma Roberto Gaja, segretario generale del ministero degli Affari esteri. Alla domanda del Colonnello se, a parere degli italiani, "gli americani possano esercitare pressione determinante", il ministro degli Esteri rispose che "possono svolgere un'azione importante entro certi limiti, dovendo fronteggiare nel Mediterraneo la presenza Sovietica". "Ad accenno libico a possibili forniture italiane di armamenti", è stato risposto da Moro che "l'Italia è sempre contraria per un principio generale della sua politica a simili iniziative". "Non si è esclusa, però, fornitura mezzi di trasporto navale ed aerei, in particolare elicotteri o aerei da addestramento". Dal Nord Africa al Medio Oriente, Moro continua a tessere la sua strategia diplomatica, mantenendosi sempre informato sul mercato internazionale delle armi. Nel 1970 incontra lo Scià di Persia che gli confida di acquistare armi dall'Unione Sovietica. Il curioso e inedito particolare è contenuto in un telegramma riservato spedito alle due massime autorità italiane il 17 settembre. In quel momento di grave crisi in Medio Oriente, "lo Scià - riferisce Moro - non ha mancato muovere qualche critica agli Stati Uniti, per le passate incertezze, e per il subitaneo accostamento all'Urss, la cui influenza vorrebbe contraddittoriamente contenere ed estromettere. L'Iran (mi ha detto lo Scià), pur restando fedele alle sue alleanze ed amicizie, è riuscito a migliorare e equilibrare i suoi rapporti con l'Urss con cui ormai intrattiene relazioni seguite nel campo economico e industriale e finanche in quello delle forniture di armamenti". Lo Scià - prosegue Moro - a proposito della necessità di una più stretta cooperazione fra Europa e Iran - "ha rilevato che i progressisti arabi intendono fare del petrolio, di cui hanno le più grandi riserve, la loro arma per ricattare l'Occidente. Di fronte a questi dichiarati propositi, gli riuscivano incomprensibili le esitazioni occidentali nel far leva sull'Iran sia aumentando le importazioni di grezzo, sia rafforzandone l'economia". (9 agosto 2008)


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