Oggi serve l'elogio dell'opposizione
di Salvatore Cannavò
L'esito del
congresso del Prc, come il Manifesto ha evidenziato, pone nuovi
elementi di riflessione a sinistra. Non c'è dubbio che un ciclo
politico si è chiuso, quello apertosi all'inizio degli anni '90 con lo
scioglimento del Pci e la contestuale nascita dei Ds e del Prc. Un
ciclo che si chiude in perdita, con un'ulteriore sconfitta che peserà a
lungo. E che non risiede solo nei due anni sciagurati di governo ma è
figlia di una contraddizione rimasta irrisolta in questi anni: mano a
mano che i margini di mediazione riformista si sono ridotti e che il
capitalismo globalizzato ha mostrato per intera la sua ferocia, la
sinistra, anche quella di classe, anche Rifondazione, ha cercato di
rinverdire proprio una strategia riformista. Che però ha perso.
Per
cui ha ragione Dominjanni a sostenere che oggi si riparte dalla cultura
politica e che non si tratta di operare semplicemente «un ripristino».
Ma i conti vanno fatti proprio con quella cultura riformista che è
stata sconfitta e che riemerge ancora, ad esempio nelle giunte locali.
Qui c'è un punto irrisolto. Fare l'opposizione a Berlusconi non è
facile ma è scontato. Farla al Pd non lo è, e infatti non la si fa
davvero.
La sinistra ritorna protagonista se si riappropria di una
cultura politica e di una strategia chiara. Per quanto la strategia sia
un terreno libero di ricerca, deve poggiare su di un anticapitalismo
conseguente che riproponga non nei testi o negli statuti ma nella
pratica la logica del superamento dell'attuale sistema sociale, del
tutto irriformabile, e la battaglia per una società autogovernata,
democratica, socialista, ecologista, femminista. Occorre però un punto
fermo: se si vuole battere il capitalismo non si può governare il
capitalismo stesso, non ci si può ridurre a mitigarne gli effetti, a
ridurre il danno. Bisogna progettare una rivoluzione politica e
sociale. Per questo parliamo di «elogio dell'opposizione»: è quello il
luogo per progettare la trasformazione sociale, ma anche per strappare
conquiste e rafforzare un fronte unitario fatto di partecipazione e
democrazia. Un terreno incompatibile con il sostegno a un governo
«razzista»
come quello di Penati alla Provincia di Milano o alla
giunta filoTav della Bresso in Piemonte, o con il governo di uno dei
cuori del capitalismo in Emilia.
Solo una nuova cultura anticapitalista
può generare una nuova sinistra anticapitalista, fuori dalla mistica
del «comunismo» che assunto in forma astratta vuole dire cose spesso
molto diverse tra loro. Non abbiamo bisogno di rifugi identitari ma di
sfidare il capitalismo contemporaneo. Nella cultura politica rientrano
anche le pratiche sociali e le modalità di relazione con i soggetti
sociali. Per questo non ci convince a pieno il modo con cui si sta
affrontando la più che necessaria mobilitazione di autunno. Non ci
piace il metodo delle «consultazioni» tra i vertici dei partiti, serve
una forma consensuale che riunisca strutture tra loro diverse, concordi
su una piattaforma e sulle forme più utili per portarla avanti, non
dimentichi le date già fissate come lo sciopero del 17 ottobre, e
lavori alla massima integrazione. Per questo occorre una discussione,
un incontro pubblico sulla base di alcuni punti fermi: l'opposizione al
governo Berlusconi,
alla sua politica antisociale, securitaria e
razzista, ma anche al padronato e alla concertazione, alle leggi del
governo Prodi che hanno alimentato la precarietà, al Trattato di
Lisbona che vergognosamente il Parlamento ha approvato all'unanimità,
alla costruzione della base di Vicenza, alla Tav, agli inceneritori e
le discariche, all'aumento delle spese militari, al sadico integralismo
del Vaticano. Ricominciare dalle pratiche e dall'unità. E stavolta,
saranno i fatti a dire più delle parole.