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Torino: azione antirazzista in comune
30 luglio Torino. A metà pomeriggio la prima e la quarta commissione del Consiglio comunale torinese, riunite in seduta congiunta, dovevano discutere la proposta del fascista Ravello e del leghista Carossa di estendere a Torino il rilievo delle impronte digitali ai bambini rom.
Un gruppo di antirazzisti torinesi hanno deciso che era un'occasione da non mancare per dire la propria. Consegnati, come d'obbligo, i documenti alle vigili all'ingresso, gli antirazzisti sono andati alla sala dell'Orologio, dove era prevista la riunione. Mentre si accingeva a prendere la parola il fascista nazionalalleato Ravello, gli antirazzisti hanno aperto uno striscione con la scritta "dai un dito a Maroni". Il "dito" era rappresentato graficamente dal classico medio levato in alto.
Uno striscione identico era stato sequestrato dalla Digos l'11 luglio durante un presidio di fronte alla sede della Lega in largo Saluzzo.
Vengono distribuiti volantini e un piccolo flier con una bimba che offre a Maroni il suo ditino medio. Insieme si grida "vergogna!". Ma i razzisti, si sa, di vergogna ne hanno davvero poca e, per dirla tutta, difettano anche di buone maniere. Gridano sguaiatamente invocando l'intervento delle forze dell'ordine, si agitano, sudano. Carossa si distingue nel promettere schiaffi ad un antirazzista, subito dopo aver gridato che lui avrebbe ben saputo come adoperare tutte e cinque le dita. Nella concitazione non si è compreso se volesse rivolgere le sue gentili attenzioni ad un'altra antirazzista che lo invitava a portare a Maroni il flier con la bimba o alla presidente che tardava a far arrivare i marines. Arrivano minacce di denunce. Uno intima ad una compagna "pulisci!", indicando i flier caduti a terra. "Ci vorrebbe ben altro che una scopa per ripulire la merda morale di questa sala", suggerisce la compagna in questione.
Carossa, Ravello ed altri fotografano gli antirazzisti e lo striscione: che vogliono farne avere una copia a Maroni?
Alla fine le truppe dello Stato, nelle vesti di alcuni vigili urbani, arrivano e scippano lo striscione dalle mani degli antirazzisti. Giunge poi la polizia che accompagna i compagni al piano terra per l'identificazione di rito.
Carossa non pago si precipita in guardiola, si fa mostrare le fotocopie delle carte di identità e confabula con la digos.
Ripresi i documenti gli antirazzisti vanno in via Garibaldi, aprono uno striscione uguale a quello scippato dai vigili nella Sala dell'Orologio e volantinano ai passanti. Arriva la digos e scippa il nuovo striscione: gli antirazzisti continuano a volantinare ai passanti. Poco prima che il presidio improvvisato si sciogliesse, la digos restituisce lo striscione: forse con questo caldo non avevano voglia di scrivere un altro verbale.
La lotta al razzismo continua. Domani è un altro giorno.
Di seguito il volantino distribuito durante l'iniziativa.
Impronta fascista
Per la loro sicurezza. Così il ministro dell'interno Maroni ha giustificato la decisione di prendere le impronte ai rom, bambini compresi.
"Sicurezza" è una parola magica: in suo nome tutto diviene possibile. Per via gelidamente amministrativa, facendo il gioco delle tre carte con norme e regolamenti esistenti. Proviamo a vedere come.
Si comincia con il dichiarare che a Roma, Milano e Napoli esiste un'emergenza rom. Quest'emergenza è "nominata" non descritta: con ogni probabilità Maroni & soci pensano che la violenta campagna mediatica scatenata contro i rom sia sufficiente a spiegare lo stato di emergenza.
I prefetti della tre città vengono nominati commissari straordinari: tra i loro compiti "l'identificazione e censimento delle persone, anche minori di età, e dei nuclei familiari presenti" nei campi nomadi legali e abusivi "attraverso rilievi segnaletici". Un censimento su base etnica fatto attraverso una procedura, i "rilievi segnaletici", che la legge italiana riserva alle "persone pericolose o sospette", in altre parole a chi si ritiene abbia commesso un reato. In questo modo Maroni ha sancito che tutti i rom residenti in Italia sono da considerarsi "pericolosi e sospetti", facendo partire una procedura che non si può che definire razzista. Quando un intero popolo è, in quanto tale, considerato pericoloso, quando la sua presenza sul nostro territorio viene definita un'emergenza, siamo di fronte ad un'operazione che ha il suo precedente solo nelle leggi razziali del 1938 contro gli ebrei.
Il dibattito che ha seguito l'annuncio del censimento etnico ha fatto sì che Maroni & soci annunciassero che, dal 2010, sulle nuove carte di identità le impronte le dovremo dare tutti. In tal modo saremo tutti "pericolosi e sospetti". Si parte dai più deboli per mettere sotto controllo l'intera società. Da rilevare che sulle carte di identità elettroniche le impronte vengono inserite già oggi.
Nel frattempo il censimento dei rom, tra resistenze e difficoltà, sta partendo. Le prime "schede" dimostrano la piena natura razzista dell'intera operazione. Sulla scheda dei rom "censiti" a Napoli accanto alle impronte c'è anche l'indicazione della religione e dell'etnia. A nessun cittadino italiano (o straniero non rom) viene chiesto di dichiarare il proprio orientamento in materia religiosa. Sulla nostra carta di identità si indica la nazionalità non certo l'etnia. Nel nostro paese vivono e sono cittadini italiani persone di lingua tedesca, greca, ladina, friulana, sarda, albanese. ma nessuno di loro viene schedato in base a questa appartenenza.
A Torino, per ora esclusa dalla dichiarazione di "emergenza", la destra cittadina invoca a gran voce che la schedatura etnica sia estesa alla nostra città. Dicono che occorre tutelare la sicurezza dei bambini.
Siamo d'accordo: ai piccoli e ai loro genitori occorre sicurezza, perché vivono in baracche senza luce e acqua, nel fango e tra i topi. Per i rom torinesi, nel mirino dei razzisti, la sicurezza è un miraggio: a ottobre i fascisti hanno incendiato il campo di via Vistrorio, mentre si moltiplicano le aggressioni. I continui sgomberi fanno sì che per i bambini sia quasi impossibile andare regolarmente a scuola: alla faccia della tutela di cui si sciacquano la bocca destri e sinistri.
Alcuni baraccati di via Germagnano, stanchi di vivere nella miseria e nella paura, il 6 luglio hanno occupato una casa abbandonata in via Pisa 5, dalla quale sono stati sgomberati e deportati nel campo abusivo da cui erano fuggiti. Nessuno, né l'Enel proprietaria dello stabile, né il comune di Torino poteva correre il rischio che il loro esempio divenisse contagioso. Una casa dignitosa è la miglior sicurezza per adulti e bambini, una sicurezza conquistata con l'azione diretta, una sicurezza vera, perché fatta di libertà e dignità. Libertà e dignità di cui abbiamo bisogno in tanti, anche se sulla carta di identità siamo definiti "cittadini italiani".
I provvedimenti razzisti mirano a dare alimento alla guerra tra poveri, la pratica della solidarietà tra immigrati e indigeni rende tutti più forti di fronte ai nemici comuni: i padroni che sfruttano e affamano, i politici che decidono per noi il nostro presente ed il nostro futuro.