Autore: ANDREA AGOSTINI Data: To: forumgenova Oggetto: [NuovoLab] genova le aree di cornigliano a spinelli indagini e
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dal secolo xix.it
L’Ue indaga sulle aree Spinelli, la Regione si difende
18 luglio 2008
La concessione delle aree ex Ilva all’imprenditore Aldo Spinelli è solo temporanea ed è avvenuta quando ancora erano in corso nelle stesse aree le operazioni di bonifica. È questa la posizione espressa dalla Regione Liguria sull’indagine della Commissione trasporti dell’Unione Europea sul provvedimento che ha permesso di cedere fino al 2010 100mila metri quadri di aree nella zona portuale a Spinelli «senza alcuna pubblicità e messa in concorrenza». La concessione delle aree è stata fatta nel 2006 dalla società Cornigliano, partecipata da Regione Liguria, Provincia e Comune Genova e Società Sviluppo Italia, con alla presidenza, all’epoca, del sindaco Giuseppe Pericu. Secondo la Regione in quel periodo, con le aree soggette a bonifica, non si poteva emettere un bando ed inoltre la cessione temporanea a Spinelli favoriva l’operazione riguardante la zona degli Erzelli, sulle colline alle spalle del porto, dove dovrebbe nascere il nuovo villaggio tecnologico.
La zona degli Erzelli, infatti, di proprietà di Spinelli, era occupata dai containers dell’imprenditore genovese il quale, dopo la cessione dell’area al Consorzio che dovrà realizzare il villaggio tecnologico, aveva necessità di trovare spazi per i suoi contenitori. L’operazione delle aree ex Ilva, così, ha avuto, sempre secondo la Regione Liguria, il duplice scopo di liberare gli Erzelli e nel contempo occupare un tratto di costa che in quel momento non poteva essere offerta perché in via di bonifica.
Il governo italiano deve fare luce sull’anomalia delle ex aree Ilva di Cornigliano. Deve capire, e informare al più presto le autorità comunitarie, perché a un soggetto privato, Aldo Spinelli, sia stato concesso il diritto di occupare «senza alcuna pubblicità e messa in concorrenza» una superficie demaniale pertinente al più importante porto italiano, «impedendo così ad altri imprenditori comunitari potenzialmente interessati di manifestarsi e, se del caso, esercitare il diritto di stabilimento».
Sono quindici le righe dattiloscritte che Fotis Karamitsos riserva al “caso Genova”. In una lettera inviata a fine maggio alla rappresentanza italiana a Bruxelles, e recapitata nei giorni scorsi al premier Silvio Berlusconi, il numero uno della direzione generale trasporti della Commissione europea chiede alle autorità italiane di verificare se corrisponda al vero il fatto che «alcune aree del porto di Genova, già demaniali, siano state attribuite in uso a una società privata per lo svolgimento di attività portuali senza alcuna pubblicità e messa in concorrenza». Se, in altre parole, il Gruppo Spinelli abbia usufruito di una “corsia preferenziale” per sbarcare a Cornigliano. Sbarrando la strada ai potenziali concorrenti. «La Commissione – ricorda Karamitsos in quella che, a tutti gli effetti, è considerata una minaccia di apertura di procedura di infrazione a carico dell’Italia – ha recentemente sottolineato, nella Comunicazione sulla politica portuale del 17 ottobre 2007, che incombe agli Stati membri un obbligo di trasparenza in occasione dell’affidamento a terzi di terreni portuali destinati alla movimentazione di merci».
Trasparenza che, nel caso delle ex aree Ilva, non ci sarebbe stata. «Ma quale procedura regolare, sappiamo tutti come funzionano le cose a Genova», è il commento di un altro imprenditore, Gianni Scerni, da due anni anni impegnato in una battaglia legale per «ristabilire le regole a Cornigliano». «Quale altra città al mondo consegnerebbe una parte così pregiata del suo porto a un imprenditore senza una gara pubblica? Mi fa piacere che la Commissione abbia usato la parola “trasparenza”. Quella, dalle nostre parti, non si è mai vista. Cambiano i nomi, restano gli oligopoli. Una volta c’erano i camalli, oggi ci sono altri personaggi. Ma la sostanza è la stessa. Il caso di Spinelli, poi, è clamoroso. Non solo è riuscito a ottenere una seconda concessione in porto, cosa vietata dalla legge 84/94, ma per farlo non ha neppure dovuto vincere una gara». Per Francesco Munari, legale di Scerni e artefice del ricorso a Bruxelles, «la Commissione è intervenuta per un banale motivo: perché non è prigioniera di bizantinismi come lo è, invece, la nostra burocrazia. Cosa potrà cambiare adesso? Beh, quello di Karamitsos è un avvertimento molto chiaro: o il governo italiano fornirà una spiegazione plausibile sul caso Cornigliano, e francamente mi sembra molto difficile che possa farlo, oppure Bruxelles sarà costretta ad aprire una procedura contro il nostro Paese. Per l’Italia, e per il porto di Genova in particolare, non sarebbe certo un fatto positivo». I tempi, quelli dovrebbero essere rapidi. «Pochi mesi», azzarda Munari. «Oltretutto, in questi casi gli Stati membri possono occuparsi in prima persona dell’anomalia denunciata dalla Commissione. Cosa che, a ben vedere, dovrebbe convenire a tutti. Ma mi sia permesso di dire che questa vicenda dovrebbe fare riflettere anche le istituzioni genovesi, soprattutto quelle di recente nomina. Perché certi errori del passato, forse sarà il caso di non commetterli più in futuro».
Certezze che sembra non avere Aldo Spinelli, raggiunto telefonicamente a Roma dal Secolo XIX: «Una lettera di Karamitsos sulle aree di Cornigliano? Non ne so nulla, me lo state dicendo voi. Strano, perché proprio ieri ero a Palazzo Chigi... Comunque sono sereno, non ho problemi, se quell’accordo è stato firmato da Regione, Provincia e Comune un fondamento lo avrà avuto, o no?». È il 23 giugno 2006 quando la Spa Cornigliano (presidente Giuseppe Pericu), con il via libera dei tre enti locali,consegna una parte delle ex aree Ilva al Gruppo Spinelli, il quale, da parte sua, si impegna al pagamento di 3 euro a metro quadrato all’anno. Cifra considerata da molti irrisoria. «Chiacchiere dei soliti meschini, mi perdoni il termine», sbotta Spinelli. «Quello è stato il peggiore affare della mia vita, altro che favore da amici. Lo sanno tutti che per trasferirmi a Cornigliano ho rinunciato alla collina degli Erzelli». Dietro lauto indennizzo, però: trentacinque milioni di euro non sono certo briciole. «Ripeto: agli Erzelli ci sarei rimasto per tre generazioni. Mi sono sacrificato per i giovani della mia città, per dare un futuro a quei laureati che, grazie al mio gesto, un giorno potranno lavorare a Genova, nel polo della tecnologia che sarà costruito su quella che era la mia collina, senza dover emigrare a Londra. Tornassi indietro, non so se lo rifarei. Sono amareggiato: lo vede anche lei quanta cattiveria c’è, quanta invidia... Invece di lavorare tutti insieme, qui continuiamo a farci del male. Per cosa, poi? Dei 100.000 metri previsti dall’accordo, oggi ne occupo a malapena 40.000. E il contratto di concessione, in ogni caso, andrà in scadenza nel 2010, in pratica dopodomani». Già. Ma il monito della Commissione europea? «Sciocchezze. Malignità. In questo porto si vive di ricorsi, di piccole ripicche, è così da anni. Ma io vado avanti per la mia strada, non mi spaventa nessuno. E poi, sinceramente, non credo che il governo metterà in discussione la mia presenza a Cornigliano. Non lo credo davvero».
I container di Spinelliun pasticcio della politica
GIORGIO CAROZZI
Anche quando c'entra poco o niente, il porto di Genova finisce regolarmente nel mirino. Ma questa volta l'Unione europea sbaglia indirizzo, rivolgendosi all'Autorità portuale genovese per chiedere chiarimenti e giustificazioni sulla destinazione e l'uso di una fetta dell'area di Cornigliano, dismessa dalle acciaierie. Palazzo San Giorgio, infatti, rileverà dalla Società per Cornigliano (titolare oggi delle aree lasciate libere dall'Ilva) la miseria di 150 mila metri quadrati di territorio solo nel 2010.
Il promesso distripark, Genova se lo può solo sognare. È tanto angusto lo spazio riservato ai business portuali, che l'Authority ne destinerà una parte ad autoparco (non più di 500 mezzi) e una parte all'impresa che vincerà la gara pubblica.
Per una volta, dunque, il porto fa solo da cornice all'ennesimo pasticcio combinato dalla politica e dalle istituzioni (Regione e Comune). La mancanza di trasparenza nella procedura che ha portato nel 2006 a trasformare quella fetta minuscola di Cornigliano in deposito (temporaneo) di container, è del tutto evidente e non a caso ha scatenato i ricorsi, depositati anche sul tavolo di Bruxelles. Ancora una volta si parla, purtroppo, di un gruppo dirigente del tutto inadeguato nel sapersi proporre come punto di riferimento per uno sviluppo che non è solo commerciale e produttivo, ma anche (o forse soprattutto) culturale.
Il caso-Cornigliano, in fondo, è ritagliato sulla falsariga del Multipurpose, grande approdo nel cuore del bacino di Sampierdarena. Che già nella primavera del 2004 si offriva all'analisi degli osservatori come l'emblema stesso delle spartizioni al ribasso, di visioni strategiche piuttosto miopi e di quel consociativismo così apprezzato dai protagonisti dei business mercantili: un tanto a me, il resto a te e che gli stranieri restino sull'uscio.
Cosìè accaduto che Gianluigi Aponte, secondo armatore del pianeta con la sua Msc, venisse garbatamente sconsigliato dallo sbarcare a Genova. Aponte aveva partecipato alla gara per la concessione del Multipurpose, il piano industriale di Msc aveva sbaragliato la concorrenza in termini di traffici, occupazione e investimenti. E infatti il Comitato portuale preferì beatamente votare la delibera che inaugurava la stagione degli "spezzatini" sui moli, piuttosto che stendere un tappeto rosso davanti alle portacontainer e ai soldi di Aponte.
Ma c'è di peggio, nel caso di Cornigliano. Più che sulle procedure di assegnazione dell'area dimessa, l'Unione europea dovrebbe psicanalizzare i comportamenti di chi (un sindaco come Pericu e due governatori come Biasotti e Burlando) non ha trasformato in oro colato per il business portuale e la città quell'area abbandonata dalla produzione industriale. Quali sono le motivazioni, quale la logica politica che hanno impedito di realizzare a Cornigliano un vero e proprio distripark, unico strumento di supporto allo sviluppo del porto? Perché a Rotterdam ne sono stati inaugurati quattro in rapida successione (4.000 nuovi posti di lavoro), perché il centro logistico di Barcellona è stato accessoriato perfino con un campo di football in erba vera, mentre Genova è rimasta miseramente al palo?
Il tribunale di Bruxelles dovrebbe incriminare (sul piano morale) quei politici che hanno costruito il vuoto pneumatico intorno alle banchine, finendo poi per inserire sorprendentemente il distripark di Cornigliano tra le opere inutili e inconcludenti sul piano del business e dell'occupazione.
Si è arrivati ad affermare che la causa di un eventuale flop non sarebbe dovuta all'assenza sciagurata di sbocchi e collegamenti con i grandi mercati. No, semplicemente è stato detto che il gioco non vale la candela, non c'è richiesta. Meno male, dunque, che a Cornigliano hanno trovato posto i container vuoti.
Perché l'Unione europea non indaga sulle motivazioni che dettano tempi e sostanza dei non-progetti e sulle pene infinite di una politica incapace di inventare per il porto un futuro se non brillante, almeno un tantino audace?
Dopo tanti anni, anche a Bruxelles e dintorni dovrebbero aver capito che la logica, quella per ora ancora vincente, a Genova, è quella del porto-emporio, della trattativa e della mediazione da consumare e risolvere nel chiuso della bottega e sotto la Lanterna.
Quante occasioni perdute. Dal parco mega-galattico dei divertimenti che la Walt Disney avrebbe realizzato anche a Cornigliano a Msc, che avrebbe scelto Genova (e dunque Cornigliano) come home port. Sul distripark di Cornigliano (almeno i promessi 350-400 mila metri quadrati) si sarebbero fiondati non solo i cinesi, Maersk, Cma-Cgm e altre potenti multinazionali dello shipping. Gli interlocutori scelti dalle istituzioni locali e fino a ieri dall'Authority, sono invece emblematici di una filosofia niente affatto rassicurante.
Si chiedano i burocrati dell'Unione europea perché i nostri eroi non hanno bussato alle porte di Panasonic, di Sony, di Nokia, della Superga, di Nike, dei colossi produttori di motociclette, di Illy o Lavazza, di Geodis Iberia, dei brasiliani o dei cinesi.
Quelle aziende hanno fatto le fortune dei distripark di Rotterdam e di Barcellona, oasi di ricchezza alle spalle delle banchine dove i vari prodotti e le varie componenti vengono assemblati, impacchettati e spediti sui mercati di destinazione. Noi ci teniamo i nostri terminalisti, i nostri politici. I rimpianti e i container vuoti.