Di nuovo a Genova, senza aspettarsi nulla
Roberto Ferrucci
GENOVA Entri nella sala del Monumentale di Palazzo Ducale, a Genova, ed è come
se un interruttore dentro la tua testa facesse clic. Sulla parete di destra è
srotolato a pannelli il Libro Bianco di Genova, le foto di quei giorni del
2001, gli stessi di questo mese di luglio, sette anni dopo. Non volevo nemmeno
scriverlo questo articolo. C'era la coincidenza con la sentenza del processo
Bolzaneto e scrivendolo, quest'articolo, avrei dovuto commentarla. Da quando ho
finito di scrivere Cosa cambia (Marsilio), romanzo pubblicato un anno fa,
racconto dei fatti del G8 di Genova del 2001, sei anni di convivenza con la
scrittura, un corpo a corpo quotidiano con quei giorni, quei ricordi, quelle
ferite, da quando è uscito, fatico ogni volta a riscriverne. Perché quel «cosa
cambia» del titolo, senza il punto di domanda, ha un vago tono di
rassegnazione. Lacerazioni non rimarginabili, giustizie che non arriveranno
mai. È come se l'indignazione accumulata in quei giorni avesse scaricato
l'intera sua energia sulle 188 pagine del romanzo. Io non ne possiedo più e un
po' mi avvilisce, questa cosa. Ma poi penso che aver riversato quel sentimento
in una storia ha fatto sì che ora sia a disposizione di chi magari non ne ha
mai provata, di indignazione, per quel che successe a Genova nel 2001. Mi
domando a chi, a quanti, oggi, interessi davvero sapere cosa accadde in quei
giorni, sette anni fa. Abbiamo memorie di farfalla, ormai, altro che elefanti.
Allora c'è un libro, adesso, a parlare per me, e ce ne sono molti altri (quelli
di Stefano Tassinari, di Concita De Gregorio, di Giulietto Chiesa, per esempio)
a parlare per tutti e a tutti. Poi, però, alcuni lettori mi hanno scritto. «Ma
come, non la commenti la sentenza del processo di Bolzaneto?». E poi, ancora,
oggi, mi ritrovo qui, sulla soglia di Palazzo Ducale, invitato da Haidi e
Giuliano Giuliani per un reading. Dentro la sala, la mostra «Al lavoro, Genova
chiama». Foto, installazioni, e la macabra lista, scandita lungo tutto il
perimetro del percorso, i nomi delle morti bianche e, a guardarne la
successione, la quantità, pensi che si tratti dell'elenco di anni e anni di
tragedie e invece sono solo i primi sei mesi di quest'anno. Scrivo, e allora la
commento, la sentenza, adesso. E dico: ma che cosa vi aspettavate? Che cosa
potevamo pretendere in un paese che non si indigna più, nemmeno per le impronte
digitali ai bambini rom? Un paese alla deriva sociale, politica, culturale,
economica, dominato da media che propagandano paure fittizie, timori artefatti.
Che cosa vi aspettavate da uno stato concentrato a salvaguardare se stesso? Da
un paese dove anche il governo di centro-sinistra si è ben guardato
dall'istituire una commissione d'inchiesta (peraltro prevista dal programma
elettorale) che facesse luce sulle responsabilità del mattatoio di Genova? Che
cosa poteva cambiare in un paese che va all'indietro, che richiama a governare
chi aveva già devastato la giustizia e non solo, un paese che crede che il
nemico da sconfiggere sia l'extracomunitario? Cosa aspettarsi da un paese
convinto che il problema da combattere quest'estate siano i venditori ambulanti
sulle spiagge? Come può cambiare uno stato che dal 1988 a oggi non ha voluto
trovare il tempo di adeguare il nostro codice al diritto internazionale dei
diritti umani, alla Convenzione dell'Onu contro la tortura, ratificata dal
nostro paese in quell'anno? Per questo non volevo commentare la sentenza di
Bolzaneto. Non ci sono le parole e, anche trovandole, le ascolteremmo in pochi,
sempre gli stessi. Quei quattro imbecilli che credono ancora nei valori, nella
giustizia, nella democrazia e magari sperano che al processo per la Diaz vada
diversamente. Genova fu l'inizio di quello stato di polizia diffuso nel quale
viviamo adesso, fu la prova generale, perfettamente riuscita. E l'esito
positivo di quell'esperienza è stato sancito con la sentenza dell'altro giorno.
Oggi sappiamo che un'altra Genova sarà possibile, non appena qualcuno, lassù,
lo vorrà. Ma poi proprio per tutto questo, alla fine, il reading di Cos a
cambia è stato un abbraccio. Un modo per stringere forte Haidi e Giuliano
Giuliani, e tutti quelli che, torturati a Bolzaneto, massacrati alla Diaz,
manganellati lungo le strade di Genova nel luglio 2001, non otterranno mai
giustizia. Perché le parole dei libri, e l'indignazione di cui sono pregne,
quelle almeno, tengono vivo il sentimento di cui raccontano. Lo trasmettono,
forse. E le parole rimangono per sempre.
www.robertoferrucci.com
ub
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Non potendo rafforzare la giustizia si è giustificata la forza B. Pascal
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Ugo Beiso