[NuovoLab] liberazione 08_07_16e

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Autor: carlo
Data:  
Para: forumgenova
Assunto: [NuovoLab] liberazione 08_07_16e
Lorenzo Guadagnucci Comitato Verità e Giustizia per Genova

«Siamo meno liberi e sicuri. In un paese normale

avrebbero introdotto almeno il reato di tortura»

Monica Di Sisto

«Non avevo mai affidato alle ragioni

dei tribunali il risarcimento del mio

senso di giustizia torturato. Lo abbiamo

detto più volte, a chi pure ci chiedeva

di farlo, che era una truffa, una

trappola, un inganno». Lorenzo Guadagnucci

è portavoce del Comitato

Verità e Giustizia per Genova perché

è una "vittima per caso" di torture alla

Diaz, colpevole di essere un giornalista

in cerca di un posto per dormire

a zero stelle, e di aver steso il sacco a

pelo in una scuola genovese nella notte

sbagliata. Dopo la sentenza di Bolzaneto

chiede a sé e a tutti «di andare

al cuore del problema che ci pone:

d'ora in poi ci sentiremo meno liberi

perché meno sicuri nell'esprimere il

nostro dissenso, che è pure sulla carta

un diritto, garantito dalla Costituzione

».

Guadagnucci chiarisce subito che non

se la sente di buttare via tutti questi

anni di testimonianze e di udienze

per rabbia, «anche in considerazione

della fatica che abbiamo fatto per

mettere insieme dei fatti che ci costano tanto dolore e che nessuno voleva

farci raccontare». Non fa sconti, però:

«La sentenza ci ha deluso perché il

suo esito non è proporzionato all'entità

dei fatti, che sono stati pure certificati

da quello stesso dispositivo.

Quella che esce dalla Camera di consiglio,

infatti, è una condanna senza

precedenti di 15 poliziotti per reati infamanti,

che il tribunale ha voluto,

tuttavia, minimizzare. E la sconfitta

che subiamo come cittadini non è solo

giudiziaria: è soprattutto politica».

Guadagnucci ricorda, infatti, che «come

Comitato ci sgoliamo da tempo ripetendo

che il percorso legale è di certo

importante, e infatti lo abbiamo sostenuto

insieme a tutte le altre vittime

in anni di udienze, di tribunali, di ricerche,

di intenso lavorio degli avvocati.

La riparazione della mia idea di

giustizia, però, me la dovevano gli organi

garanti della democrazia di questo

Paese». Sotto accusa quei Governi

e Parlamenti che, senza sostanziali differenze

nei colori e negli esiti delle

azioni, «ci hanno ripetutamente tradito

».

La degenerazione della democrazia è

tale

che oggi non si discute del fatto

che «in un Paese normale, di fronte ad

una condanna come questa, il ministro

della Giustizia si porrebbe il problema

di come far sì che le forze dell'ordine

garantiscano davvero i diritti

dei cittadini, di come licenziare, e non

promuovere, chi li ha violati, visto che

gli estremi ci sono tutti. Ci si confronterebbe,

soprattutto, su come introdurre

rapidamente il reato di tortura,

che oggi come mai appare un buco

evidente nel nostro codice penale». Di

questo si parlerebbe in una democrazia

in salute, sostiene Guadagnucci:

«Di come prendere a calci un ragazzino

già pesto e in stato d'arresto, ma

anche trattenere, quasi far sparire e

torturare persone innocenti, o anche

colpevoli, sia incongruente con il ruolo

di garanzia che non un agente semplice,

ma un responsabile dell'ordine

pubblico dovrebbe sentirsi sulle spalle

».

Il messaggio che le istituzioni restituiscono

al Paese è quanto meno sinistro:

«E' pericoloso che chi lavori in

polizia o nei carabinieri abbia la certezza

sostanziale dell'impunità ad

ogni costo, e che si convinca che i crimini

che sono stati compiuti a Genova

si possano fare e rifare, complici

l'insufficienza del codice penale e i

tempi della giustizia, talmente incerti

ed estenuanti che mettono virtualmente

ogni reato a rischio di prescrizione

».

E' per questo che, dopo Genova e oltre

Genova, «il problema che dobbiamo

porci non è tanto quello di una

sentenza ingiusta, che pure ci indigna,

ma che è la nostra stessa Costituzione

ad essere messa in discussione». Ad

ottobre anche sulla Diaz si dovrebbe

arrivare ad una prima sentenza, sui

reati di strada e sui fatti di Piazza Manin

si comincerà a testimoniare in settembre,

sotto la scure della prescrizione.

Reclamare e difendere il diritto

fondamentale di essere liberi di esprimere

il proprio dissenso è il campo di

riflessione-azione che, accanto ai processi,

già impegna i comitati. «Se c'è

una cosa che abbiamo imparato in

questi anni - taglia corto Guadagnucci

- è che c'è bisogno di un'azione

molto forte di tutela delle nostre libertà.

Anzi, di quelle di tutti».