[NuovoLab] liberazione 08_07_16b

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Sommersi e salvati a Bolzaneto

Quando l'ipocrisia di Stato assolve

Checchino Antonini

Genova (nostro inviato)

Pigozzi Massimo, agente di polizia,

aprì la mano di un arrestato, Giuseppe

Azzolina, e gliela spaccò, ma

non avrebbe agito con crudeltà.

Toccafondi Giacomo, medico penitenziario,

percosse e ingiuriò chi

avrebbe dovuto visitare ma non

l'avrebbe fatto per motivi abbietti e

futili.

Ottantanove sono i giorni che ci separano

dalla lettura delle motivazioni

della sentenza sugli abusi e le violenze

avvenute a Bolzaneto ai tempi

del G8 del 2001. Fino ad allora resterà

insoddisfatta la curiosità dolente

delle parti civili e dei loro difensori

per la pessima sentenza di 24

ore fa che ha assolto due terzi degli

imputati e comminato solo 23 anni

e 9 mesi dei 76 anni, 4 mesi e 20

giorni chiesti a marzo scorso dai pm

genovesi che, tre anni fa, erano riusciti

a far iniziare un processo sui

misfatti avvenuti nella caserma della

celere, a nord della città, tramutata

in carcere provvisorio per le retate

previste in occasione delle contestazioni

agli Otto grandi.

252, in gran parte senza ragione, gli

arrestati transitati per Bolzaneto. Almeno

209 di loro subirono violenze

e vessazioni, ben 155 si sarebbero

costituiti parte civile. Sottoposti, secondo

la pubblica accusa, a trattamenti

inumani e degradanti dal momento

in cui scesero dal cellulare fino

al momento di essere tradotti in

un carcere "normale", tre giorni più

tardi.

«Trattamenti inumani e degradanti

(percosse, lesioni, ingiurie, negazione

di alcuni diritti ecc.)» sono ciò

che la Corte di Strasburgo intende

come tortura ma l'Italia non è mai

riuscita a tradurre quei criteri in un

reato specifico. Così l'impianto dei

pm Patrizia Petruzziello e Vittorio

Ranieri Miniati ha tentato di combinare

abuso d'ufficio, abuso di autorità

e falso ideologico per issare l'impianto

accusatorio verso 45 tra generali,

ufficiali, funzionari e agenti

di polizia, carabinieri, polizia penitenziaria

e del "disciolto corpo degli

agenti di custodia", nonché di cinque

medici dell'amministrazione

penitenziaria. Ma qualcosa, in quel

castello accusatorio s'è rivelata debole

e la pecca principale sarebbe

proprio la mancanza del reato di

tortura. «Così le condotte dei singoli

sono da giudicare solo a segmenti

in virtù del principio di tassatività

del penale», spiega uno dei legali di

parte civile, Riccardo Passeggi.

Rileggendo il dispositivo pronunciato

lunedì notte dal giudice Delucchi

per segmenti temporali e processuali

balza agli occhi che sono stati condannati

solo i livelli apicali della ps.

2 anni e 4 mesi (anziché 3 anni e

mezzo) ad Alessandro Perugini e

Anna Poggi, all'epoca dei fatti i più

alti in grado per la polizia nel carcere

provvisorio. Prosciolti i carabinieri,

ufficiali e militari di leva. Prosciolti

il generale Oronzo Doria, salvato

dalla prescrizione per una storia

simile avvenuta a Milano, e altri

due ufficiali del "disciolto corpo.",

una sottigliezza sostenuta dai difensori,

e forse accolta dal tribunale,

per sostenere che loro non potevano

impartire ordini a uomini della polizia

penitenziaria (il nuovo nome

dei secondini). Assolti tutti i "matricolisti",

coloro che, all'ufficio matricola,

compilarono le dichiarazioni,

tutte sconfessate dai diretti interessati,

con cui gli arrestati italiani dichiaravano

di non volersi mettere in

contatto coi familiari e i loro "colleghi"

stranieri di non voler avvertire

i consolati. E dei cinque medici imputati

solo due, Toccafondi e Amenta,

risultano tra i 15 condannati. Solo

per Gugliotta Antonio Biagio, di

fatto il capo guarnigione delle guardie

penitenziarie, ha retto la contestazione

dell'abuso d'ufficio (quella

condotta del pubblico ufficiale

che, intenzionalmente, e nell'esercizio

delle sue funzioni, si procura un

vantaggio ingiusto o procura ad altri

un danno ingiusto). Per lui 5 anni di

reclusione. Per gli altri è valsa solo la

contestazione dell'abuso di autorità

(il sottoporre un detenuto a misure

di rigore non consentite). Sparisce il

falso ideologico (falsa attestazione

su un atto pubblico, unico reato a

superare la barriera della prescrizione

grazie alla quale nessuno dei condannati

si farà mai un giorno di galera)

sebbene la sentenza abbia inviato

alla procura gli atti relativi alle

presunte false testimianze di alcuni

carabinieri di leva rese nel processo.

Quasi tutte le assoluzioni sembrano

ottenute con formula dubitativa.

La sentenza si può impugnare, e

non è detto che non lo facciano tutti

- condannati e parti civili - la

Corte d'appello prenderà atto della

prescrizione sugli effetti penali ma

entrerà nel merito rispetto agli interessi

civili. Perché la partita, ora, si

sposta sul piano dei risarcimenti. La

sentenza penale ha condannato anche

i Ministeri dell'Interno e di Grazia

e giustizia a pagare 4 milioni di

euro tra "provvisionale" (acconto su

un maggior danno da accertare in

sede civile) e spese legali: da10mila

a 15mila euro a testa per la maggior

parte delle vittime e 2500 euro per i

genitori di alcuni di loro. Riconoscimento

che avvenne qualcosa di grave

ma anche un pessimo segnale per

il processo ancora in corso (domani

la richiesta pene) per le violenze e la

fabbricazione di prove false nella

scuola Diaz.