Repubblica
Nelle parole dei pm Petruzziello e Ranieri Miniati la ricostruzione degli abusi compiuti nella caserma
"Pestaggi, umiliazioni e torture quella vergogna non sarà mai sanata"
Ad alcuni vennero tagliati i capelli, altri costretti ad abbaiare, altri ancora picchiati
MARCO PREVE
GENOVA - E´ la memoria la vera condanna per i responsabili dei fatti di Bolzaneto. «Dunque in quei giorni si sono verificati comportamenti nei rapporti tra le Forze dell´Ordine e i cittadini italiani e stranieri, che, se anche dovessero incontrare la prescrizione, tuttavia difficilmente potranno essere dimenticati». Comincia così la parte conclusiva della requisitoria finale dei pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati. Nessuno andrà in carcere, le pene verranno cancellate, le richieste di risarcimento si trascineranno per anni. Ma nella monumentale quantità di materiale del processo, i verbali di interrogatorio e le centinaia di testimonianze serviranno a tramandare la storia del carcere speciale. Una prigione che ancor prima che luogo di violenze, abusi e umiliazioni è un luogo di confusione. «Il numero complessivo sicuramente accertato delle persone private della libertà transitate nella struttura di Bolzaneto giunge quindi a 252 persone - scrivono i pm -. Tuttavia deve essere ribadito che la mancata tenuta di un registro d´ingresso nella struttura e l´accertata assenza di un elenco ufficiale dei fermati per identificazione rendono questo dato non sicuro potendo il numero anche essere superiore». Frasi che la dicono lunga sulle capacità organizzative di varie amministrazioni: quella penitenziaria che manda sul campo i propri vertici e i nuclei d´elite; quella delle forze dell´ordine che si dividono la gestione delle varie fasi di registrazione degli arrestati, e quella della magistratura che alla vigilia, consentendo il differimento di 24 ore del colloquio con i legali, non si rende conto di partecipare alla realizzazione di una "mostruosità" giuridica, un buco nero del diritto, dove agli arrestati viene impedito di contattare un avvocato ben oltre i termini previsti, così come di telefonare alla propria ambasciata o ai famigliari, dove i fermati non si rendono neppure conto di quello che stanno firmando. E così capita che nella ricostruzione delle parti civili almeno quattro siano i detenuti fantasma. Giovani manifestanti che non compaiono nel registro dei fermati. Ma le tracce del loro passaggio a Bolzaneto sono state scoperte dagli inquirenti spulciando brogliacci ed elenchi della scientifica o di altri uffici.
Un caos organizzativo in cui gli abusi trovano un humus ideale. Altro che l´invito che il magistrato coordinatore del Dipartimento penitenziario, Alfonso Sabella, racconta di aver rivolto al personale quel 19 luglio 2001, giorno dell´anniversario della morte del giudice Borsellino: «Dovrete essere per i detenuti di Bolzaneto come "i caschi blu dell´Onu». «Non c´è giustificazione» scrivono i due pubblici ministeri. Non c´è per «il taglio di ciocche di capelli per E. Taline, per M. Teresa e per C. Pedro; per lo strappo della mano per A. Giuseppe; per l´umiliazione di B. Marco costretto a mettersi carponi e ad abbaiare come un cane; per il pestaggio di T. Mohamed, persona con un arto artificiale; per le profonde offese ad A. Massimiliano, per la sua bassa statura; per gli insulti razzisti ad A. Francisco Alberto per il colore della sua pelle; per la sofferenza di K. Anna Julia cui alla Diaz per le percosse hanno fratturato la mascella e rotto i denti, persona neppure in grado di deglutire; per il disagio di H. Jens che nella scuola Diaz per il terrore non è riuscito a trattenere le sue deiezioni e al quale non fu consentito di lavarsi; per l´umiliante foggia del cappellino imposto ad H. Meyer Thorsten (un cappellino rosso con la falce ed un pene al posto del martello); per l´etichettatura sulla guancia per i ragazzi arrestati alla Diaz; per i colpi sui genitali, per molti». Non c´è giustificazione per tutto questo.
Bolzaneto, quasi un colpo di spugna
Assolti 30 dei 45 imputati per le violenze sui dimostranti. Lievi le 15 condanne
La sentenza dopo 11 ore di camera di consiglio Sorpresa e lacrime fra le parti civili
MASSIMO CALANDRI
GENOVA - Non fu tortura, quella di Bolzaneto. Nessuna crudeltà, sevizia, abiezione. Ieri sera il tribunale di Genova ha cancellato tre giorni e tre notti di soprusi e violenze ai danni di 209 manifestanti fermati durante il G8 del luglio 2001. Dopo undici ore di camera di consiglio è arrivata una sentenza sorprendentemente mite: solo 15 dei 45 imputati sono stati condannati a pene che complessivamente non raggiungono i 24 anni. I giudici hanno riconosciuto un generico abuso di autorità sui detenuti ed alcuni singoli episodi di violenza: il vice-questore Alessandro Perugini – che le telecamere di tutto il mondo avevano anche immortalato mentre prendeva a calci in faccia un adolescente davanti alla questura – è stato condannato a due anni e quattro mesi di reclusione, pena condonata grazie all´indulto. Un anno e due mesi per Giacomo Toccafondi, il medico protagonista di tante visite umilianti: la procura aveva chiesto tre volte tanto. Massimo Pigozzi, il poliziotto che lacerò la mano di un no-global divaricandogli le dita, paga con tre anni e due mesi di prigione. Cinque anni all´ispettore di polizia Biagio Gugliotta, considerato il principale responsabile delle vessazioni cui sarebbero stati sottoposti molti manifestanti: è lui, secondo il tribunale, che obbligò i prigionieri a restare per ore in piedi con le braccia alzate o in posizioni vessatorie come quella del "cigno". Per la maggior parte degli accusati – generali, funzionari di polizia, ufficiali dell´Arma, guardie carcerarie, militari, agenti, medici – sono intervenute due formule: «non aver commesso il fatto» e «il fatto non sussiste». Nei casi più chiari sono invece mancate precise identificazioni. I giudici hanno però riconosciuto che complessivamente i fermati furono trattati in violazione della legge, e per questo motivo hanno punito anche i ministeri di appartenenza dei condannati – Interni e Giustizia ma non Difesa, perché i carabinieri alla sbarra sono stati assolti - ad un risarcimento che in tutto supera i due milioni di euro. Le vittime chiedevano però quindici milioni circa.
Sorpresa e lacrime di rabbia tra le parti civili e il pubblico che ieri sera ha affollato l´aula-bunker del tribunale genovese. «Vergogna!», ha sussurrato, gli occhi lucidi per l´emozione, una giovane spagnola che era tra le vittime di sette anni fa. I pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati hanno «preso atto» della decisione, non senza un´evidente amarezza. «E´ stata comunque riconosciuta la responsabilità di parecchi imputati, e il generale clima di abusi». Secondo i giudici non sono però state evidenziate violazioni alla Convenzione internazionale dei diritti dell´uomo. Ai prigionieri sono stati somministrati cibo ed acqua, a differenza di quanto sostenuto dall´accusa. E non sono state provate la crudeltà e l´abiezione di alcuni comportamenti denunciati.
«In questa sentenza c´è un evidente messaggio politico», ha commentato Laura Tartarini, uno degli avvocati dei no-global: «Mettere la gente al muro ed obbligarla a cantare "Viva il Duce" o "Viva Pinochet", non è un motivo abietto e futile. Ed è una valutazione sorprendente, perché il tribunale ha recentemente parlato di futilità giudicando le zuffe tra ultrà del calcio. Ma evidentemente gli standard probatori per condannare dei poliziotti sono diversi – e molto più alti – rispetto a quelli dei normali cittadini». Non la pensa così Alessandro Vaccaro, legale di alcuni accusati: «Ci sono stati fatti penalmente rilevanti, è vero. Ma fatti specifici. Abbiamo dimostrato che Bolzaneto non era un lager».
Per il pestaggio di Bolzaneto solo 15 condannati, 30 assolti
ETTORE BOFFANO
In quel carcere nascosto, in quella caserma sconosciuta il cui nome, Bolzaneto, fece il giro del mondo assieme alle foto dei volti insanguinati e dei corpi che subivano le violenze e le umiliazioni di ogni repressione che vuole fermare il proprio dissenso, per un giorno e una notte la libertà e il diritto si fermarono.
Sospesi, messi da parte, assieme all´habeas corpus e alla dignità delle vittime, ma anche di chi infieriva su di loro: servitori di uno Stato democratico paralizzato per ventiquattr´ore in quel quartiere della periferia di Genova.
Ma poi lo Stato aveva provato a risvegliarsi e aveva cercato di ritrovare i suoi modi e le sue regole civili all´ombra del codice e delle toghe. Una sfida difficile, segnata persino dalla mancanza di una norma che nel nostro paese consenta di configurare l´accusa di tortura, rimessa assieme attraverso il reato di abuso d´autorità e un corollario di contestazioni che sembrava ispirarsi proprio alle scene di quella caserma: la crudeltà, i motivi futili e abbietti, l´acqua negata a chi aveva sete, le botte e le vessazioni militaresche, le offese e le umiliazioni sessuali.
Poteva lo Stato rimarginare la ferita che Genova, il G8 e i fatti di Bolzaneto avevano inferto alla credibilità profonda delle proprie istituzioni? La prova, la scommessa democratica era tutta nelle mani di quei pm che avevano ricostruito i reati, consolidato le prove e riportato il diritto a denominatore unico di ogni realtà, anche se a inseguire la forza del loro impegno c´era il lavacro finale e inevitabile della prescrizione. Certo, bisognerà leggere la sentenza attentamente, ma la prima impressione è che ieri, i giudici di quella stessa città che ha visto l´ignominia di Bolzaneto e il tentativo del suo riscatto, hanno dato a chi chiedeva giustizia una risposta a metà, una sentenza spezzata. Uno Stato è tale se sa giudicare davvero prima di tutto se stesso, i propri errori e i propri delitti. Se invece non è capace di farlo e non lo vuole, allora lascia aperte le ferite, lascia la sensazione che alcuni siano più uguali degli altri davanti alla legge.
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Carlo
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