[Forumlucca] Fw: Chavez e le FARC

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Autor: Monti Virginio
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Assunto: [Forumlucca] Fw: Chavez e le FARC
Per la lista: Chavez e le FARC
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Sent: Monday, June 23, 2008 9:54 PM
Subject: Chavez e le FARC


da Moreno

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Le FARC rispondono alle gravi accuse di Chavez

IN COLOMBIA NON CI SARA' RESA, E ANCOR MENO UNA PACE DEI SEPOLCRI!

Prendendo decisamente le distanze da se stesso, ossia da mesi e mesi di una politica di riconoscimento dell'insorgenza colombiana come forza belligerante il cui agire armato è legittimo, e di apprezzabile vigore nella denuncia del regime narco-mafioso colombiano, il Presidente Chávez ha recentemente rilasciato alcune dichiarazioni sulla questione colombiana che hanno generato, rispettivamente, costernazione nel campo rivoluzionario e compiacenza nelle fila imperialiste ed oligarchiche.
Nel corso del programma Aló Presidente! di domenica 8 giugno, Chávez si è rivolto alle FARC ed in particolare al nuovo Comandante del loro Stato Maggiore Centrale, Alfonso Cano, esternando alcune richieste e prese di posizione a dir poco sconcertanti. Per maggiori chiarezza e precisione, ne enucleiamo il contenuto e ne dimostriamo l'infondatezza e l'erroneità, alla luce della storia, del presente e delle prospettive del processo rivoluzionario colombiano.

DICHIARAZIONI VERSUS REALTA'

1. Chávez ha chiesto di liberare unilateralmente tutti i politici e militari detenuti in modo incondizionato, e senza alcuna contropartita: «E' arrivato il momento che le FARC liberino tutti quelli che tengono sulle montagne», aggiungendo che «sarebbe un gran gesto, in cambio di niente». Secondo il Presidente venezuelano, per il quale stare in prigionia nella selva sarebbe molto peggio che trovarsi in un carcere «vero e proprio» questa liberazione potrebbe essere il primo passo verso la fine della guerra.

Tale richiesta è inaccettabile nella misura in cui sollecita all'insorgenza un gesto unilaterale ed incondizionato. Quando le FARC, sovranamente, hanno deciso nei mesi scorsi di effettuare liberazioni unilaterali di prigionieri (come Clara Rojas), hanno poi ricevuto dal governo Uribe ulteriori ed ennesime dimostrazioni di intransigenza guerrafondaia: solo per citarne alcune, l'arresto dei messaggeri umanitari che si stavano recando a consegnare al governo venezuelano prove di sopravvivenza di altri prigionieri, l'illegale bombardamento in territorio ecuadoriano dell'accampamento diplomatico di Raúl Reyes (responsabile dei contatti per una trattativa), con l'assassinio a sangue freddo dello stesso Comandante fariano e di diversi combattenti e civili, e l'estradizione negli USA del guerrigliero Iván Vargas (che si aggiunge a quelle precedenti di Simón Trinidad e Sonia).

Non si dimentichi che in Colombia sono rinchiusi nelle prigioni del regime circa 500 guerriglieri delle FARC, e che la loro libertà è per la guerriglia un imperativo morale irrinunciabile. Fare come se non esistessero, non solo non aiuta a trovare una soluzione al problema, ma allontana drasticamente ogni possibilità che i detenuti che si trovano nella selva recuperino la libertà.

Chávez, che fino a poche settimane fa era un paladino dell'accordo umanitario tra le parti, dovrebbe saperlo bene. Come complemento su questo tema specifico rammentiamo che i prigionieri in mano alle FARC, seppur nelle condizioni dure e spesso insalubri proprie delle foreste tropicali umide, ricevono una discreta alimentazione, le cure mediche possibili e soprattutto un trattamento decoroso. Nelle galere dello Stato colombiano, in cui il sovraffollamento è cronico, i prigionieri insorgenti e politici sono spesso torturati, vessati e maltrattati: sono frequenti i casi in cui vengono gettati in pasto nei bracci dominati dai paramilitari, o perseguitati senza ricevere alimentazione o assistenza sanitaria di base.

2. Secondo Chávez, l'attuale situazione in America Latina e negli Stati Uniti «sembrerebbe creare condizioni favorevoli ad un processo di pace in Colombia». Il Presidente venezuelano ritiene che un gruppo di paesi ed organismi internazionali potrebbe dare garanzie reali ad un accordo di pace tra governo colombiano e guerriglia, «come avvenne in Centramerica».

La possibilità che in Colombia si giunga ad una soluzione politica del conflitto sociale ed armato dipende essenzialmente da due fattori: il primo, la volontà o meno dell'oligarchia (e quindi del governo di turno, che ne è espressione istituzionale) di accettare una serie di riforme che modifichino segmenti sostanziali della struttura socio-economica; secondo, la maturazione di determinati rapporti di forza sul terreno politico e militare tra il movimento popolare ed insorgente e le classi dominanti. Inutile dire che il primo fattore ha, come condicio sine qua non, la maturazione del secondo in senso favorevole al campo rivoluzionario e democratico.
Inoltre, pur avendo un'importanza di primo piano la congiuntura mondiale (e principalmente continentale) e il ruolo che potrebbe giocare una non meglio precisata «comunità internazionale», tali fattori non bastano, da soli, a garantire ipotetici accordi. Che poi la situazione negli USA possa essere propizia ad un accordo di pace in Colombia, è tutto da dimostrare; ricordiamo, a chi si facesse illusioni su Obama, che il candidato democratico alla Casa Bianca ha già assicurato che il Plan Colombia verrà mantenuto e rafforzato senza soluzione di continuità.
Per di più, non possiamo ignorare la differenza tra poteri «transitori» o delle sovrastrutture (come capi di stato, ministri, parlamentari, governatori, ecc.) e poteri «permanenti» o delle strutture (come complesso militare-industriale, lobby del petrolio, banche, gruppi finanziari, ecc.): non sono i primi a dettare la linea, e non sono i secondi a subordinarsi agli umori di un presidente di turno, tanto più se di gringolandia parliamo.

Tra l'altro, non si capisce come l'America Centrale possa rappresentare un esempio, o peggio ancora un modello cui ispirarsi. In paesi come El Salvador o Guatemala, la smobilitazione dei movimenti guerriglieri contestualmente ad accordi di pace coi rispettivi governi non ha prodotto un'ascesa irresistibile verso una vera pace con giustizia sociale, ma solo alcuni ricami di facciata ad un tessuto socio-economico e politico che è sempre più a brandelli. O forse si ha l'ardire di affermare che la «riforma agraria» concordata tra governo e FMLN sia stata applicata davvero nel piccolo Salvador? O che la «comunità internazionale» avrebbe garantito il rispetto della stessa in particolare e degli accordi in generale?
La verità è che oggi in quei paesi continuano ad aumentare degrado sociale, violenza sistemica e putrefazione politica, così come sperequazione, concentrazione delle ricchezze, asservimento all'imperialismo e miseria. Di belle promesse di pacificazione e rispetto dell'opposizione è lastricata la storia contemporanea colombiana, ma le uniche prove provanti irrefutabili evidenziano un susseguirsi macabro di innumerevoli stermini per mano dello Stato colombiano: l'omicidio del leader popolare liberale Jorge Eliécer Gaitán nel 1948, eliminazione di migliaia di guerriglieri liberali smobilitatisi con l'amnistia di Rojas Pinilla nel 1953, l'uccisione di centinaia di combattenti di diversi gruppi insorgenti (come EPL, M19, Quintin Lame, ecc.) disarmati da dirigenze disfattiste e/o opportuniste e da accordi-truffa, nonché il genocidio di un intero partito politico di opposizione, l'Unione Patriottica, a partire dal 1985. E già, proprio l'UP, che le FARC avevano lanciato per tentare di canalizzare l'opposizione al regime liberal-conservatore su un piano legale e democratico-elettorale.

3. Il Presidente Chávez ha anche affermato che «a questo punto è fuori luogo un movimento guerrigliero armato», e che «questo bisogna dirlo alle FARC, ed era quello che volevo dire a Marulanda».

E' contraddittorio sostenere che un movimento guerrigliero sia «fuori luogo» in un paese in cui ogni forma di opposizione aperta e legale al regime narco-paramilitare colombiano viene perseguitata, censurata, minacciata, repressa ed annichilita. Ed è sbagliato anche alla luce della fase attuale nel continente, in cui le conquiste ottenute previ successi elettorali progressisti sono minacciate o scardinate da tentativi golpisti (Venezuela 2002, Bolivia 2008), da piani e manovre militari interventisti e da martellanti tamburi di guerra (il ripristino della IV Flotta della Marina militare statunitense).
Affermare tout court che una forma di lotta come quella guerrigliera è passata alla storia, o non è più attuale, è tanto semplicistico e meccanico quanto dire che tale forma di lotta è applicabile in qualunque contesto o latitudine, indipendentemente dalle condizioni oggettive e soggettive che li permeano.

Oltre a tener presenti i precedenti storici propri della Colombia, ed enunciati nel punto 2, va anche rammentato che la storia delle FARC in Colombia è la storia della creativa e tenace combinazione di tutte le forme di lotta possibili, nel quadro di un processo di accumulazione di forze in funzione dell'obiettivo strategico. La lotta guerrigliera è e deve essere intrecciata ad altre forme di lotta come gli scioperi, i blocchi stradali, le occupazioni di terre ed università, la costruzione di potere popolare locale, ecc., che però a loro volta non hanno sbocco senza la garanzia (questa sì!) di uno strumento in grado di sorreggerle, farle avanzare e coordinarle quando lo scontro diventerà generalizzato e l'oligarchia parassita difenderà disperatamente (come già sta facendo) i propri privilegi di classe.

4. Chávez ha assicurato che la guerriglia in Colombia fornisce il pretesto all'imperialismo di «minacciare tutti noi». E ancora: «Il giorno in cui si facesse la pace in Colombia la scusa dell'impero avrà fine, la principale che hanno che è il terrorismo».

Come diversi intellettuali ed esponenti della sinistra antimperialista, latinoamericani e non, hanno scritto negli ultimi giorni, gli USA ed i loro alleati non hanno bisogno di pretesti in particolare per aggredire, occupare e saccheggiare un paese o un popolo. Se non ce li hanno, li creano ad arte. Sostenere il contrario, equivale a dimenticare le miriadi di montature ed accuse che l'imperialismo ha rivolto ai propri bersagli, non ultimo il Venezuela.
Dire che le FARC devono smobilitarsi perché altrimenti Washington può legittimare un eventuale attacco al Venezuela, è un po' come pensare che se Chávez fosse compiacente con il governo Uribe, questi cesserebbe di agire come rampa di lancio delle continue provocazioni, infiltrazioni di paramilitari e destabilizzazioni varie nei confronti del popolo venezuelano.
Secondo il Pentagono, se il Venezuela non «appoggia il terrorismo» stringe comunque «legami tenebrosi con i paesi dell'asse del male», e se Chávez non è un «dittatore che chiude arbitrariamente i mezzi di comunicazione democratici» (come RCTV) è comunque deprecabile perché vuole «imporre al proprio popolo un modello castro-comunista».
Ogni pretesto è buono quando si tratta di bloccare le nazionalizzazioni, le politiche favorevoli al recupero della sovranità nazionale e popolare, le riforme che mettono in discussione gli interessi voraci delle transnazionali e i passaggi d'integrazione latinoamericana, come l'ALBA ad esempio.

IN CONCLUSIONE

Nessuno, nemmeno un leader indiscusso del processo bolivariano in America Latina e del riscatto dei popoli oppressi dal capitalismo come il Presidente Chávez, ha il diritto di chiedere all'insorgenza colombiana di fare gesti incondizionati e sedersi a firmare accordi a qualunque costo. Un'insorgenza che, come le FARC, sperimenta una crescita costante tanto sul piano militare come su quello del lavoro di massa, checché ne dicano i mal informati o i media dell'oligarchia, e che ha come obiettivo strategico non qualche poltrona in parlamento (lo stesso Congresso colombiano paramilitarizzato), ma la trasformazione del paese in senso socialista.
Si illude chi sogna che la guerriglia di Manuel Marulanda si smobiliterà presto a causa di una pressione militare nemica che produce soltanto vittorie pirriche, ad uso e consumo della guerra psicologica dell'uribismo. La scomparsa fisica di tre storici dirigenti fariani come Raúl Reyes, Iván Ríos e Manuel Marulanda, non intacca la volontà di lotta, la grande capacità logistica, l'articolata struttura organizzativa e la crescita qualitativa e quantitativa di un esercito guerrigliero che non lavora in base ad improvvisazioni ma a piani, non delega le sorti della lotta al singolo comandante (per quanto di altissima importanza sia), e non si è mai allontanato dall'imprescindibile principio leninista della direzione collettiva a tutti i livelli ed istanze.
E poi diciamola tutta: se in Colombia le FARC cessassero di combattere senza quartiere -come fanno quotidianamente e con tenacia- il regime fascista e paramilitare dei Santos e degli Uribe, avrebbe mano libera per concentrare forze, energie ed aiuti militari del Plan Colombia nella guerra a morte contro la Rivoluzione Bolivariana.
Altro che pace duratura!
Le cause che hanno storicamente generato la sollevazione armata del popolo colombiano, plasmata in decenni di battaglie nell'esercito guerrigliero fariano, non solo non sono scomparse, ma si sono addirittura accentuate. Senza la loro dialettica e materiale rimozione, l'unica pace che è scritta nel vocabolario delle FARC, e cioè quella che ha come gemella siamese la giustizia sociale, non è possibile. Ma chi ha a cuore le sorti del popolo colombiano e della lotta antimperialista su scala mondiale, può star tranquillo: in Colombia non ci sarà pax romana, e ancor meno la resa di chi legittimamente combatte uno Stato terrorista ed un regime mafioso.

Diffuso in Italia dalla:

Associazione nazionale Nuova Colombia www.nuovacolombia.net <http://www.nuovacolombia.net/>



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