[NuovoLab] Il razzismo «de noantri

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Alessandro Dal Lago
Dall'entrata in carica del governo Berlusconi, la persecuzione degli
stranieri, dei migranti, dei rom e dei cittadini italiani sinti è divenuta
capillare e ossessiva. Si direbbe inoltre che il razzismo di strada sia in
qualche modo coordinato o in sintonia con l'attivismo istituzionale: controlli
della polizia sugli autobus, sgomberi dei nomadi, rastrellamenti di prostitute
e transessuali, schedatura dei sinti, decreti che attuano principi
discriminatori e incostituzionali come l'aggravante dei reati per
clandestinità.
CONTINUA |PAGINA 12 La risposta politica a questa tenaglia xenofoba è
inesistente. La sinistra radicale ex parlamentare sembra ancora frastornata
dalla batosta elettorale, mentre l'opposizione di sua maestà, a parte
dichiarazioni rituali, collabora con il governo. Fa impressione vedere un
Veltroni negoziare qualsiasi cosa con Berlusconi, magari i suoi spazi tv mentre
la polizia rastrella i rom. La magistratura, a cui pure si devono le poche
critiche argomentate al pacchetto sicurezza, sembra attestata su una difesa dei
propri spazi e prerogative. Ma ciò che appare inaudito, in una cosiddetta
democrazia liberale, è l'atteggiamento della stampa (sulla tv meglio
sorvolare). A parte la campagna xenofoba di Libero o del Giornale, i cosiddetti
giornali indipendenti insistono sull'«insicurezza dei cittadini», mentre a
essere minacciati e umiliati, giorno per giorno, sono esseri umani, cittadini
italiani e no, discriminati in base all'origine. I quotidiani riportano gli
episodi di razzismo istituzionale, quando si degnano di riportarli, con un tono
indifferente o sbarazzino. Non si può definire quello che sta avvenendo in
Italia se non come fascistoide. In primo luogo, per l'impunità di cui sembrano
godere gli aggressori (Napoli) o anche per la vera e propria simpatia (il
vendicatore del Pigneto, che sarebbe uno di sinistra, de noantri, secondo la
Repubblica). Ma anche per l'evidente copertura istituzionale, come nelle
incredibili dichiarazioni di Bossi dopo i roghi di Napoli, al solito accolte
dai media come simpatiche manifestazioni di goliardia. Quando definisco
fascistoide la svolta italiana mi riferisco al fatto banale che è promossa
dalle istituzioni in un quadro formalmente democratico, e che forse resterà
tale. Ma in questo non vedo alcuna consolazione. A parte il fatto ben noto che
la storia si ripresenta sempre in forma di farsa, che le istituzioni
perseguitino nomadi e «diversi» (compresi cittadini italiani) con l'appoggio
dell'opinione pubblica o magari della maggioranza degli elettori è
un'aggravante e anche un motivo di angoscia. Tutto diviene possibile. Se e
quando il governo deciderà di smettere di suonare la grancassa, la persecuzione
continuerà in forme meno appariscenti ma comunque disumane: nomadi in fuga non
si sa dove, con i loro bambini cacciati dalle scuole, gente costretta a stare
almeno un anno e mezzo nei Cpt, donne perseguitate sui marciapiedi, annegamenti
di migranti. Il dramma è che all'estero, al di là degli interventi di qualche
parlamentare europeo e di organizzazioni come Amnesty, sembra che la gente non
sappia o non ci creda. Ah, les italiens! L'anomalia italiana, il malato
d'Europa, si dice alzando le spalle. Ma il problema non sono i nostri conti,
cari burocrati europei. Se davvero si pensasse a questa svolta come a
un'eccezione folcloristica si commetterebbe un errore di valutazione mortale.
Che la persecuzione avvenga contro le minoranze e i marginali significa che le
maggioranze, anche quelle non apertamente razziste e magari riformiste, possono
continuare a bearsi ottusamente delle loro libertà e dei loro privilegi. Basta
che non guardino e non vogliano sapere Come avrebbero dovuto insegnarci i casi
olandese, austriaco e danese, l'Europa non è affatto protetta dalla xenofobia.
Sugli stranieri e sui nomadi si possono scaricare l'insicurezza economica o
esistenziale, la paura del futuro, la fine delle illusioni europee. Dovunque,
un ceto politico cinico e avventurista può sfruttare, come avviene in Italia,
l'insoddisfazione generale a fini di consenso. Non costa nulla. E qui si misura
la miopia di chi, da noi, nella cosiddetta sinistra moderata, ha gettato
benzina sul fuoco, corrodendo le basi antifasciste della prima repubblica,
piagnucolando sui caduti di Salò, come se non fossero morti rastrellando i
partigiani e collaborando con i nazisti, e quindi facilitando lo sterminio di
ebrei, antifascisti, omosessuali e nomadi. Questo revisionismo straccione e
mortuario per fortuna non è ancora passato in Europa, almeno ufficialmente.
Nessuno si sognerebbe di resuscitare Pétain, Mosley, Quisling o altri emuli di
un Giorgio Almirante, che oggi vogliono far passare per un padre della patria.
Ma proprio perché gran parte dell'Europa è meno accecata che da noi (o resta
legata a parole alle sue origini antifasciste), è necessario che la xenofobia
italiana sia registrata, documentata e fatta conoscere all'esterno. Essere più
o meno globalizzati, competere economicamente con il resto del mondo, e magari
godere di una moneta forte, per far contenti quattro banchieri di Francoforte o
gli esportatori americani, non è affatto incompatibile con forme più o meno
larvate di fascismo. Anzi. Non sono solo i ceffi della Lega a governarci
all'interno, ma anche l'erre moscia di Tremonti e il fanatismo burocratico del
giovane Frattini a rappresentarci nel mondo. Attenti, europei con un minimo
senso di decenza. Oggi, i pogrom cominciano nel pittoresco stivale
mediterraneo, ma domani...



ub




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Non potendo rafforzare la giustizia si è giustificata la forza B. Pascal
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Ugo Beiso