[cm-Roma] Fwd: [decrescita] attenti ai lupi

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Autore: mepesaerculo
Data:  
To: cm-roma
Oggetto: [cm-Roma] Fwd: [decrescita] attenti ai lupi
Attenti ai lupi, ed anche alle volpi

In una lettera a Specchio dei Tempi, apparsa su La Stampa, un lettore, Mario
Vietti, scrive:
Il divieto di circolare ai mezzi euro 0 e euro 1 è una vergogna e totalmente
ingiusto. Come ditta ho due camioncini con pochi chilometri che potrebbero
funzionare per altri dieci anni e che dovrò buttare (diventano invendibili).
Come famiglia abbiamo una Lancia Y nella stessa situazione. Forse mia figlia
avrebbe fatto bene ad usare meno la bicicletta e di più l'automobile (almeno la
sfruttava in parte). Lo scherzetto ci verrà a costare una cifra spropositata e
senza alcuna logica. Inoltre per produrre i mezzi nuovi che dovremmo comperare
per sostituire quelli che non saranno più ammessi, le fabbriche inquineranno
anche di più di quello che farebbero i vecchi automezzi. Così facendo si
incrementa solo il consumo e si penalizzano coloro che la macchina la usano
poco e la vorrebbero far durare a lungo. Ci sentiamo sempre meno cittadini e
sempre più sudditi.

Quello di Mario è un parere diffuso, come tutti quelli che solitamente
accoglie la suddetta rubrica, ma corrisponde anche ad una realtà oggettiva o
soltanto ad una "percezione" della realtà? È solo il pensiero limitato,
meschino ed egoista di un singolo che non tiene conto delle esigenze comuni?
Perché sono le esigenze comuni, i beni condivisi – aria, acqua, terra – che
vengono invocate per giustificare la rottamazione costante dei prodotti e la
loro sostituzione con altri sempre più obsolescenti, essendo l'obsolescenza
attentamente "programmata". Sono i beni comuni che si afferma di voler tutelare
quando si pubblicizzano le nuove automobili dai consumi miracolosamente
contenuti, nature friendly, eco-simpatiche, comprando le quali - ogni due o tre
anni per stare al passo con gli eco-miglioramenti e approfittare degli eco-
incentivi – si aiuta la natura riducendo le emissioni inquinanti. Il consumo
limitato di carburante dei nuovi modelli è indubbiamente un bel eco-incentivo
da sostenere con denaro pubblico e la partecipazione entusiasta dei nuovi
consumatori intelligenti, ma il consumo dichiarato dalla case automobilistiche
è reale o è solo falsa comunicazione di mercato? Perché, se i dati fossero
falsi, ci si troverebbe non solo di fronte ad una colossale truffa, di cui si
rendono complici i governi e i mezzi di informazione che diffondono queste
false speranze, ma se le differenze tra i dati reali e quelli dichiarati da una
pubblicità ingannevole fossero molto grandi, questa consapevolezza dovrebbe
avere effetti "sconvolgenti" sulle trattative in corso tra i vari stati e le
case automobilistiche sui limiti di Co2 da rispettare e inoltre imporrebbe un
riesame dei parametri adottati nel configurare scenari di crisi e di mutamenti
climatici in corso, come quelli del protocollo di Kioto, visto che il consumo
medio giornaliero di Co2, in una economia avanzata come quella europea, è di 1
kg senza gli spostamenti e di 4,5 kg tenendo conto degli spostamenti
quotidiani. E restano inoltre ancora da sciogliere molte riserve sulla
sostenibilità della scelta dei biocarburanti come sull'effettivo minore
inquinamento delle benzine verdi.

Primo in Europa a mettere in discussione i dati relativi al consumo di
carburante dichiarato dalle case automobilistiche, è stato il settimanale
tedesco AutoBild, in Italia se ne è occupata la storica rivista di settore
Quattroruote e il quotidiano la Repubblica ha fatto da ripetitore. I dati che
emergono sulle differenze tra consumi reali e consumi dichiarati non
confortano. L'auto più virtuosa risulta essere la Toyota Rav 4D che consuma
"solo" il 17% in più di quanto dichiara la casa produttrice, seguono tutte le
altre, ad esempio la Fiat 500 consuma il 37% in più di quanto affermi la sua
pubblicità, la Wolkswagen Passat Tdi il 34%, la Citroen C1 il 30%. I più
bugiardi sono quelli della BMW il cui modello 118d si beve il 47% in più di
quanto dichiarato. Sul sito Repubblica.it si trovano tutti i dati. Per
verificare questi dati di consumo sono state effettuate ben 3000 prove su
strada e poiché la differenza tra reale e dichiarato riguarda tutte le marche
automobilistiche, siamo in presenza di un problema di sistema. E il sistema
include il controllo pubblico, le modalità di rilevazione dati assunte nelle
norme di omologazione previste dallo stato. La norma seguita dai produttori e
omologata dallo stato prevede che il test venga effettuato su vetture poste su
rulli speciali collegati ad un computer per circa 20 minuti, scariche, prive di
accessori, senza condizionamento e senza effettuare accelerazioni. Una follia
di metodo perfettamente legalizzata. Ai pochi consumatori accortisi del raggiro
non rimane che denunciare le case produttrici per pubblicità ingannevole.
Nessuno discute del sistema.

Che il problema dei consumi "finti" delle auto sia un problema di sistema
globale è del tutto evidente. Nell'agosto del 2006 uno studio commissionato dal
dipartimento dell'ambiente australiano, FDEH, aveva concluso che i test
ufficiali che misuravano le emissioni e i consumi di combustibile delle nuove
auto non riflettevano affatto le condizioni di guida nel mondo reale delle
città australiane. "Avete comprato un'automobile recentemente? Consuma più
carburante di quello che l'etichetta sul parabrezza dice di consumare? Questo
non sorprende." Così iniziava l'avviso della NRMA, l'equivalente australiana
dell'ACI, e, sempre in Australia, il Dipartimento dei Trasporti (DOTARS)
avvertiva che "i compratori non devono credere che i dati sui consumi indicati
sui cartelli siano quelli reali". Per quel che riguarda le emissioni, un
rapporto del 2004 dell'AEA, l'agenzia europea dell'ambiente, denuncia che "i
bassi standard europei per i test sull'inquinamento sottostimano i livelli dei
gas di scarico dei veicoli", e che tali fattori possono essere tra le ragioni
per cui i livelli di inquinamento atmosferico nelle città europee non
diminuiscono più rapidamente. Inoltre, poiché il ciclo di test a cui sono
sottoposti gli autoveicoli nuovi non include gli impianti di condizionamento
dell'aria ed altri tipi di apparecchi a consumo energetico, i progressi
dell'Europa nella riduzione del diossido di carbonio (CO2, gas ad effetto
serra) emesso dagli autoveicoli nuovi sembrano maggiori di quanto non siano in
realtà. I valori di emissione delle varie normative Euro (1, 2, 3, 4 e future)
si basano proprio sui valori inquinanti in relazione al consumo. Variando
dunque il consumo, i valori potrebbero sballare a tal punto da rendere una Euro
4 non più tale e le varie operazioni di rottamazione una mera operazione di
marketing.

Discutere il sistema di produzione e consumo di un prodotto così utile e così
energeticamente e sostenibilmente "costoso" come l'automobile, dovrebbe essere
uno dei primi obiettivi di una critica motivata e cosciente all'attuale sistema
liberista, affidato ad un mercato del cui autocontrollo nessuno si fida più,
nemmeno i suoi venditori più spericolati. Ma mettere in discussione le ragioni
del mercato è oggi molto pericoloso. Con una economia forse in "stagflazione",
in piena recessione e sull'orlo della crisi, si rischia il linciaggio morale e
l'accusa infamante di essere anti ecologici. È una vera bestemmia in sacrestia,
che può procurare la stessa scomunica toccata ai NOTAV, accusati di volere il
trionfo del trasporto su gomma anziché su ferro, in contraddizione con il
pensiero eco-sostenibile che privilegia il treno. A poco è valso l'imponente
lavoro di indagine e ricerca svolto dai sostenitori delle ragioni del no. I
dati reali acquisiti con lungo lavoro di indagine, opportunamente documentato,
non interessano nessuno, come quelli dell'Istat sulla forbice dei salari, o
quelli del Ministero degli Interni sulla criminalità accertata. Conta molto di
più la "percezione" del problema, lo dicono noti filosofi, tecnici e
intellettuali di provata fede progressista ed ecologista. Negando l'evidenza,
il paradigma della crescita si dimostra molto più intoccabile di quanto sia
lecito auspicare. Fingere di consumare meno petrolio, grazie a consumi di
benzina dimezzati dalle nuove eco-tecnologie, è sicuramente, nel breve periodo,
un efficace modo di sostenere, oltre all'industria dell'auto e il suo indotto,
l'industria dell'energia. Eni, dal canto suo, ad aprile ha consegnato alle
casse dello stato italiano un assegno da 1,577 miliardi di euro.

Ad approvazione del bilancio Eni 2007, chiusosi con un profitto di 6,59
miliardi di euro, generosi dividendi sono confluiti al Ministero per l'
Economia, un miliardo di euro, e alla Cassa Depositi e Prestiti, 500 milioni.
Allo stato spettano sempre le accise sulla benzina e considerando anche le
imposte e le royalties sui carburanti, il cane a sei zampe ha versato, nel
2007, tre miliardi allo stato. Ed è proprio l'Agip, controllata Eni, la maggior
responsabile dei nuovi record di prezzi di benzina e gasolio. E così, mentre i
poveracci – immigrati, padroncini, ambulanti, pensionati, precari - limitano le
loro uscite in auto o si cercano un altro mestiere, con gran vantaggio per l'
ambiente, il presidente uscente dell'Eni può serenamente affermare che i
governi hanno sempre cercato di aiutare la sua società, "quando possibile". E
in questo scenario un economista creativo ci vuol far credere sia possibile
applicare realmente una RobinHood Tax ai petrolieri. L'Eni ha ben capitalizzato
ogni aiuto, ma metà del suo profitto l'ha "girato" allo stato. Lo Stato
prenderebbe da una parte, attraverso la Robin Hood Tax, per perdere dall'altra,
cioè sul fronte dei dividendi presumibilmente più magri. Nella migliore delle
ipotesi i soldi che lo stato intercetterà dai petrolieri serviranno ad
abbassare le tasse sulla benzina e ad annullare gli effetti degli aumenti dei
prezzi alla pompa causati dalla Robin Hood Tax. Ma questa è la migliore, nella
più realistica i petrolieri alzeranno i prezzi, faranno sparire in società
estere gli extra-redditi, noi pagheremo di più e lo Stato incasserà di più. Il
PIL aumenterà?

Questo enorme giro d'affari, questa continua iniezione di free cash flow,
libero flusso di contante, non può essere turbato da contestazioni nel merito
dell'effettiva sostenibilità o dell'equità delle misure intraprese per
agevolare le imprese. Non stupisce quindi che sia dato ascoltare da noti
ambientalisti che il problema dell'inquinamento urbano non è certo creato dalla
grande industria, visto ad esempio che per il mercato dell'auto non costituisce
problema la chiusura dei centri storici alle auto "obsolete" – e come potrebbe
esserlo visto che con le nuove norme di circolazione urbana viene imposto al
50% degli utenti di rinnovare il loro parco macchine nel giro di pochi mesi, e
visto che lo stato, di tasca sua, ci mette un bel pacchetto di eco-incentivi –
ma il problema sono quei pensionati ultrasettantenni che vorrebbero essere
esentati dalle norme restrittive alla circolazione. Vecchi incapaci di pensare
al benessere dei loro nipoti mettendo mano al portafoglio o, se questo è vuoto,
limitandosi all'uso dei mezzi pubblici, con quella vecchia "abitudine italiana
a usare l'automobile anche per gli spostamenti urbani, sommata a una presunta o
reale difficoltà economica a dotarsi di mezzi meno inquinanti". Gli immigrati e
i giovani precari vadano in bici un pò di più, se il farlo rende l'aria più
respirabile ai proprietari dei SUV, quelli che per tassarli a dovere occorre
almeno un sindaco come Ken il rosso, primo cittadino di Londra, e non un
qualunque verde nostrano.

Poiché viviamo in un sistema globale e complesso, mettere in discussione il
sistema è sapere e dire che alla politica locale del mercato e alle sue piccole
iniquità corrisponde una politica globale con le sue grandi atrocità
"necessarie", le guerre ad esempio, o la devastazione dei territori naturali.
Sapere e dire che sono comunque sempre gli stessi soggetti a deciderla e a
farla sottoscrivere ai governanti, e questi la faranno poi accettare ai
governati, volenti o nolenti, per il bene loro, del pianeta e del prodotto
interno lordo. Così l'agenda Eni per il 2008 si "apre con l'Iraq", dove
proporrà, forte della passata presenza militare italiana, la "ristrutturazione"
di un impianto di liquefazione nel sud del paese. Oggi poi, la ricerca del
sempre più scarso combustibile si fa sempre più frenetica, e si gratta il fondo
del barile tirando fuori il petrolio dalla sabbia. A maggio, ad esempio, Eni e
la Repubblica del Congo hanno firmato un accordo per la ricerca e lo
sfruttamento di oli non convenzionali in sabbie bituminose. L'attività sarà
condotta nello Stato africano in due permessi di ricerca denominati Tchikatanga
e Tchikatanga-Makola. Le miniere saranno a cielo aperto, ENI si è impegnata a
ricoprire tutto e ha dato prova di sensibilità "ecologica" siglando con il
governo congolese un accordo per piantagioni di palma da olio da convertire in
"bio" carburanti.

Guardando l'operazione da un altro punto di vista, l'Eni ha comprato da un
dittatore il diritto a distruggere migliaia di chilometri quadrati per estrarre
sabbie bitumose, sottrarne altrettanti alla produzione di cibo convertito in
bio-carburante e poi usare una gran quantità di energia per separare il bitume
dalle sabbie usando acqua calda. Per poter disporre di questa energia Eni
realizzerà anche una centrale elettrica da 300 megawatt, ampliabile fino a 450
Mw, che entro il 2009, dice l'amministratore delegato della società, coprirà
l'80% del fabbisogno del Paese. La centrale elettrica sarà a gas, più ecologica
perchè brucia i gas che escono dai pozzi di petrolio, Eni li ricicla così anche
in Nigeria. L'ad Paolo Scaroni afferma che l'estrazione costerà meno che in
Canada, ma non dice che ne sarà delle acque usate per separare sabbie e
petrolio, spiega però a chi servono tutte queste grandi opere. ''Questa grande
centrale - ha detto - rappresenta un passo avanti per lo sviluppo del Congo.
Servirà a sostenere le imprese e l'industria, ma soprattutto a migliorare le
condizioni e la qualità della vita di gran parte della popolazione''. E gli si
dovrebbe credere sulla fiducia, dopo tutto quello che è accaduto e accade in
Nigeria, in un paesaggio devastato, con una popolazione al limite della
sopravvivenza ed una guerra di resistenza in corso.

Nel settore dell'energia si sta poi aprendo la seconda era nucleare che vedrà
come capifila delle cordate imprenditoriali le stesse imprese che oggi
gestiscono le grandi opere, dall'alta velocità ai ponti sugli stretti, dai
nuovi grattacieli agli outlet, dalla raccolta allo smaltimento dei rifiuti.
Nella politica energetica dell'attuale sistema liberista prevale la logica del
massimo profitto d'impresa a più breve termine, ai politici si affida la sua
gestione "emotiva" che azzera qualunque approccio razionale, riducendo "ogni
questione ad una sarabanda di slogan da talk show televisivo". La realtà
percepita ha di nuovo la meglio sulla realtà accertata. Il dogma della crescita
non vuole essere smascherato, ma si vedrebbe che è un re nudo, se si potesse
dare voce ai fatti accertati, agli effetti collaterali prevedibili e previsti.
L'economicità e la fattibilità industriale sono gli unici elementi di decisione
che vengono presi in considerazione nella scelta degli obiettivi di crescita. L'
interesse dei cittadini, la loro salute, e il loro benessere sono interessi
secondari, semmai locali per ricaduta elettorale. Quando gli interessi locali
si contrappongono alle necessità di espansione industriale entra in gioco la
politica "alta", brandendo il manganello del "superiore interesse nazionale".
Si arriva allora a considerare i territori destinati al sacrificio come
territori protetti con presidio militare. Lo abbiamo visto in Campania dove
intere comunità sono state sacrificate all'interesse collettivo, ricattandole
con l'alternativa di una vita tra i rifiuti o a fianco di una discarica
provvisoria. Azzerando così una cultura di fiducia e dialogo tra cittadini e
stato di rappresentanza democratica.

L'unico modo per uscire da questa logica di sopraffazione statuale, iniquità
sociale e irrazionalità progettuale e pianificatoria è quello di smascherare
gli elementi patologici caratterizzanti l'attuale sistema di produzione e
consumo. Iniziando dai sintomi più evidenti della malattia, dalle forme più
subdole e fallaci dello spettacolo del consumo, quelle che ci vogliono imporre
scelte dissennate e dannose nel nome di una visione "sostenibile" del futuro,
sostenibile per i profitti d'impresa e neppure a lungo termine. Occorre
contrapporre a questa illusione, o percezione di realtà alla Matrix, la realtà
degli imbrogli quotidiani che il mercato mette in atto, la realtà della
tragedia incombente dell'aumento dei prezzi del cibo, che acutizza una tragedia
già in atto in molte parti del globo, quella della fame che solo nel 2007 ha
ucciso sei milioni di bambini al di sotto dei dieci anni. dobbiamo mettere in
discussione il SISTEMA, ricordandoci che l'imbroglio quotidiano e i grandi
drammi hanno un unica regia e che è la fame di petrolio che farà dilagare la
fame di pane nel mondo e che è il petrolio a far funzionare le macchine che
producono nuove macchine.

roberto

Vedi anche: http://www.konradnews.it/pdf_riviste/8_2006.pdf