Autore: Antonella Mangia Data: To: lecce social forum, CSSF Oggetto: [Lecce-sf] prosperi sul razzismo- Il Pogrom moderno
Il Pogrom moderno
Adriano Prosperi - La Repubblica
"Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case": proprio voi,
telespettatori, lettori di giornali, guardate e chiedetevi se sono
esseri umani questa donna, quest´uomo e questo bambino che una
fotografia terribile ci ha mostrato caricati coi loro stracci sul
pianale di un´Ape, in fuga davanti a popoli ebbri di sangue.
Così, con le parole di Primo Levi, avrebbe potuto e dovuto
cominciare qualunque reportage sugli eventi di Ponticelli se il
giornalismo riuscisse sempre ad avere una memoria lunga e una
funzione civile, se non si riducesse talvolta a essere la
registrazione muta di orrori quotidiani o la feroce amplificazione
di pregiudizi e razzismi diffusi. Là dove si alzano ancora cumuli di
immondizia le fiamme consumano ora baracche, materassi e stracci
nelle tane dove altri esseri umani hanno trovato un rifugio meno che
bestiale.
La parola pogrom è uscita dalle rievocazioni storiche della Shoah
per diventare realtà. Non è nemmeno escluso che si possa alla fine
scoprire che stavolta – per la prima volta – gli zingari hanno
cominciato a rubare bambini, come voleva il pregiudizio di
quell´Italia contadina che aveva tanti figli e non conosceva altra
ricchezza che la sua prole. Ma c´è un´altra prima volta, questa
certa e indiscutibile, che riguarda noi, gli italiani. Da oggi la
parola «pogrom» ha cessato di indicare solo tragedie di altri tempi
e di altri popoli per diventare la definizione di atti compiuti da
folle di italiani.
Dobbiamo capire perché: e non ci aiutano le grida di incoraggiamento
alle folle inferocite che giungono quasi da ogni parte politica.
Bisognerebbe che qualcuno facesse un esame pacato di quel che è
accaduto nelle nostre città e in quella vasta, informe e desolata
periferia in cui è stata trasformata tanta parte del suolo della
penisola. Come tutti sanno, la mercificazione dei suoli edificabili
è stata una fonte essenziale per risolvere i problemi di bilancio
delle amministrazioni pubbliche. Chi doveva pensare a provvedere di
luoghi vivibili gli emarginati, gli immigrati, i residui gruppi
umani non stanziali, ha fatto tutt´altro.
Una frazione crescente di umanità abita oggi in Italia sotto i ponti
dei fiumi e delle autostrade, vicino alle discariche, in contesti di
discarica obbligata, senza acqua corrente, con stufe di fortuna.
Qualcuno forse ricorda ancora altri bambini oltre a quelli «rubati»
dai rom – i figli di famiglie rom morti nei roghi provocati da stufe
occasionali. E ci sono altre storie che hanno un sapore tristemente
familiare: quella del bambino rom che non vuole più andare a scuola
perché i compagni lo escludono dal gruppo e dicono che è sporco, che
puzza. Anche per gli ebrei dei secoli scorsi si diceva che fossero
sporchi e riconoscibili dall´odore: ma lo dicevano coloro che prima
li avevano chiusi negli spazi stretti e senza acqua dei ghetti.
Ma il problema in assoluto più grave è un altro: come e perché gli
italiani sono diventati razzisti? Come e quando le autorità di
governo prenderanno iniziative serie per l´integrazione civile e per
la tutela giuridica di tutti gli abitanti del paese? Per ora, si
assiste solo a una gara a chi grida di più, a chi trova le parole
più minacciose contro gli sventurati, contro i dannati della terra.
E´ una raffica di provvedimenti di polizia, veri o ventilati, una
gara in cui sono impegnati amministratori locali e poteri centrali
di ogni colore e che sarebbe ridicola se non fosse tragica per gli
effetti di insicurezza e di violenza che provoca. Siamo già alle
ronde. Aspettiamo l´arrivo degli squadroni della morte e delle
polizie fai-da-te.
Certo, se lo sguardo si ferma non su quella fotografia ma sulle
altre che le fanno dissonante compagnia sulle prime pagine – quelle
scattate nelle aule del Parlamento – ci sarebbe di che rallegrarsi.
Non più risse nel Palazzo: anzi un venticello dolce di mutuo
rispetto tra maggioranza e opposizione, un gusto della correttezza,
uno scimmiottamento del perfetto stile anglosassone che fanno
pensare a quelle caricature dei nostri vezzi provinciali in cui
eccelleva Alberto Sordi.
Di fatto nel Palazzo circola un´aria di intesa e di pace che
riscalda il cuore: il governo e la sua ombra camminano lungo la
stessa linea di luce, come si conviene a un paese che ha una
coscienza non più divisa. E tuttavia, è spontaneo per chi ha una
memoria lunga riflettere sulla opposizione speculare tra l´Italia
nuova, quella della pace nei palazzi del potere e della guerra tra
poveri, e l´Italia antica, quella della durissima lotta tra partiti
inconciliabili e dello spirito di solidarietà diffuso in una società
memore della sua storia e delle sue radici popolari.
Oggi il Palazzo e la Piazza appaiono ancora una volta divisi, ma la
loro divisione è di tipo insolito e inquietante. Diceva Francesco
Guicciardini della Firenze del ´500 che «spesso tra il palazzo e la
piazza c´è una nebbia sì folta o uno muro sì grosso che...tanto sa
el popolo di quello che fa chi governa o della ragione perché lo fa,
quanto delle cose che si fanno in India».
Oggi ancora una volta la scena italiana è divisa tra il palazzo e la
piazza.
Ma se allora era il popolo che non vedeva ciò che facevano i potenti
nel palazzo, oggi sono i potenti che sembrano non vedere quel che
accade nelle piazze e nelle periferie di questo nostro paese. O
forse lo vedono: forse il pensiero nascosto dietro tutto quel fair
play è che conviene a chi sta sul ponte di comando lasciare che la
violenza scatenata dal malgoverno sia incanalata contro i soliti
capri espiatori.
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