Intervento del Centro Sociale Zapata sull'esito delle
elezioni politiche 2008
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Non siamo tristi, non ci sentiamo sconfitti, non siamo stati
cancellati, non abbiamo perso.
Questa non vuole essere una provocazione o un paradosso.
Occorre dirlo subito e con chiarezza.
Ciò che è accaduto il 13 ed il 14 aprile era qualcosa di
prevedibile e previsto (tranne che per le dimensioni) ed è
qualcosa che in termini di sconfitta riguarda altri: quelli
della piazza vuota del 9 giugno a Roma, quelli impegnati a
riprodurre ed a rappresentare loro stessi, mentre i soggetti
che in quelle forze avrebbero dovuto trovare rappresentanze
restavano frustrati e sempre meno trovavano un senso nella
partecipazione della sinistra al governo.
Non ci sono meno spazi di un mese o due anni fa. Forse, ce
ne sono di più.
Della distanza tra politica e società parliamo da tempo, e
lo ribadimmo in modo molto chiaro in occasione delle recenti
amministrative.
La sconfitta riguarda un ceto politico che ha dato luogo ad
unoperazione di marketing.
Operazione di marketing per altro fatta male, dato l'esito.
Un'operazione che in campagna elettorale non ha potuto che
fare appello alla mera ed astratta retorica (non fateci
scomparire!!!) o al politicismo (ad esempio l'astruso invito
al voto al senato per l'arcobaleno in modo da togliere in
alcune regioni seggi al Berlusconi. Logica tutta speculare
al voto utile e solo di retroguardia. Chissà, forse
si voleva facilitare un governo di larghe intese.)
Operazioni comprensibili: a niente altro, infatti, poteva
fare appello quel ceto politico autoreferenziale per
chiedere il voto, non aveva certo nulla da difendere
rispetto ai due anni di governo.
Il dibattito tutto auto centrato su come ricostruire la
sinistra lo lasciamo a quel ceto politico, quindi anche
all'ex ministro del defunto governo il quale ora si candida
all'archeologica impresa, ma che forse in questi due anni al
governo non c'era, o se c'era dormiva.
L'unico aspetto per il quale questa sparizione ci riguarda,
è l'aumento di opportunità in termini di autonomia, ora
che è venuta definitivamente meno la mistificazione del
professionismo della rappresentanza e della permeabilità
del comando.
Constatare ciò non significa certo nascondere la natura
autoritaria del governo che va insediandosi o non vedere
come dietro il successo della Lega le insicurezze legate
alla crisi globale vengano capitalizzate in chiave
regressiva, populista ed espulsiva.
E' che la risposta a ciò non può essere legata né alla
riesumazione di feticci né ad un dibattito di natura
organizzativa/burocratica: bisogna costruire facendo.
Bisogna, banalmente, partire dai soggetti e dalle lotte.
Costruire comunità partendo da risposte concrete a bisogni
concreti. E' solo autoconsolatorio commentare il successo
della lega dicendo sono tutti razzisti: va riempito
il vuoto culturale costruendo una pratica ed un immaginario
comunitario inclusivi che contrastino perchè
alternativi ad essa - sul terreno dei bisogni materiali la
risposta leghista, costruendo, in ultima istanza, nuova
democrazia, la democrazia assoluta.
La partita non è elettorale, non è organizzativa o
burocratica, non è sui simboli o sui colori delle
bandiere: è sul terreno concreto del conflitto che la
crisi produce, su quello della resistenza al dominio e su
quello della costruzione di un immaginario nuovo che sia
ricompositivo e che si produca materialmente nelle lotte con
le persone reali, quelle persone che si mettono assieme
prescindendo da astratte logiche di appartenenza
precostituite.
Centro Sociale Zapata