Autor: Silverio Tomeo Data: A: social forum Assumpte: [Lecce-sf] LA TERZA REPUBBLICA
LA TERZA REPUBBLICA?
Per "esemplificare" si dice che forse siamo arrivati (benvenuti!) nella Terza Repubblica, dopo quindici anni di Seconda Repubblica. Naturalmente siamo sempre nella Prima (e unica) Repubblica, in quanto a istituzioni e costituzione (materiale e formale), ma con successivi cambiamenti di fatto: non siamo da tempo con le stesse culture politiche e con gli stessi partiti costitutivi della iniziale Repubblica - da dopo Mani Pulite, dopo l' '89 e il '91 - e adesso saremmo scivolati nella Terza Repubblica: partito (quasi) unico della destra, raddoppio e maggior peso della Lega, niente Casini tra le scatole, niente sinistre "radical" e ideologiche in Parlamento. (La suggestiva denominazione di Seconda Repubblica, proviene come è noto dall'esempio dei cugini francesi, dove però per arrivare alla V Repubblica ci furono modifiche istituzionali serie e persino produttive in senso sitemico.)
Allora: è davvero finito un ciclo di quindi anni, probabilmente. Qualcuno di noi ha sperato che queste elezioni difficili fossero "costituenti" di una seria sinistra plurale, e invece sono state dissolutive, per adesso. Le vecchie culture politiche, dal berlinguerismo di sinistra sino a una specie di ingraismo in varie accezioni ma non autorizzate, dal vecchio filo-socialismo reale sino alla grettezza operaista, dall'ambientalismo verde dissociato dai movimenti reali alle culture eretiche dell'eterna dissidenza della storia comunista, dalle pretese classiste agli accomodamenti di apparato, dai micropartiti degli eletti sino alla ricerca di un nuovo socialismo, sono tutte implose senza produrre ancora un nuovo pensiero dell'agire collettivo, della giustizia sociale, della democrazia radicale, del cambiamento reale. Non va lontano dal vero chi dice che il Novecento con le sue aporie e tragedie è crollato addossso alle forme politiche della sinistra plurale. Perché la sinistra torni ad essere il "partito della speranza" non basteranno però nuove retoriche edificanti, anche se a volte sono necessarie nell'agire nello spazio pubblico e nel conflitto sociale.
La vittoria senza se e senza ma delle destre non lascia dubbi, il Pd si costituisce in queste elezioni fuori da ogni tradizione socialdemocratica, senza garanzie serie di opposizione, senza forza propria che faccia peso per una futura alternanza di governo. Nel Pd e nel suo elettorato c'è anche sinistra, ma ormai senza più autonoma cultura e forza organizzata, senza autonomia, insomma, il che - aggiunto all'assenza della sinistra colorata in Parlamento - dice che questa situazione è del tutto inedita nella storia repubblicana. Ma quello che sarà di fatto o diventerà il Pd non lo sappiamo ancora del tutto, vedremo il suo ruolo funzionale nella situazione adesso determinata, se sarà di opposizione, di costruzione di una alternativa possibile, di contenimento, o di collusione parziale, o di rassegnazione decennale.
Troppe le forze extracostituzionali e postdemocratiche in gioco in questo giro, e troppo il loro peso!
Ricostruire una sinistra politica non sarà facile, per nessuno, tantomeno per chi ha contribuito di suo a dissolverla, né per chi si rassegna al marginalismo e al minoritarismo ideologico e se ne compiace.
Una sinistra politica che non si è misurata seriamente sulla transizione italiana, sulla riforma della politica, sulle riforme istituzionali, sulle nuove dinamiche sociali, è diventata inessenziale e residuale, e stante questo impalco di fatto elettoral-istituzionale, tende a scomparire. Viene cioè travolta dalla crisi della politica, non dal destino cinico e baro o dal complotto di questo o quello, o dal tradimento di quest'altro!... Certo anche dai suoi errori, dal suo cumulo di errori che poi si fanno gravità e massa critica, venendone così rigettata dal sistema attuale e dalle dinamiche complessive del conflitto reale in atto e dalla sua posta in gioco.
In questo quadro si dovrà difendere non solo una sinistra di resistenza sociale, di opposizione sui contenuti, delle buone pratiche sociali e associative, ma anche difendere uno spazio politico pubblico e plurale sarà decisivo, così come provarsi a gestire in modo virtuoso per il cambiamento possibile l'inevitabile conflitto sociale. Battersi con le armi della critica per un serio rinnovamento culturale è decisivo: non si vive di rendita ad eternum sulla simbologia e la retorica del vecchio movimento operaio. Diventa quindi adesso un problema politico il non disperdere le esperienze e le energie migliori di una sinistra plurale che si è messa in gioco con i movimenti e ha cercato di misurarsi con una speranza di cambiamento globale, e salvaguardare la sinistra diffusa delle buone pratiche sociali associative solidaristiche culturali sociali e della società civile più attiva nelle pratiche della cittadianza, rimarrà come ricchezza e lievito.
Probabilmente siamo in una preoccupante post-Repubblica italiana, con frizioni rispetto alla stessa Europa della Carta di Nizza e del Trattato di Lisbona, che non sarà il massimo ma intanto è, anche come spazio giuridico, e con evidenti fragilità ripetto alla recessione che ormai si coniuga con l'inflazione e la crescita zero, in una situazione di corporativizzazione, dissoluzione individualistica atomizzata ma legata al particulare, all'ideologia dei piccoli proprietari indifferenti al bene comune, al razzismo diffuso mascherato o meno, all'introiezione di reattività della vecchia e nuova destra. Opporre ancora la mitica classe (su cui molto c'è da dire per la sua ridefinizione nei nuovi cicli di produzione e riproduzione) alla società civile è ormai ridicolo, così come ridurre tutti a cittadini consumatori esposti al libero gioco delle opinioni e del mercato elettorale.
Insomma: o la chiamiamo Terza Repubblica (ed è comunque impreciso perché non ci sono per ora nuove istituzioni che la definiscano) o parliamo di post-Repubblica, la situazione è seria e grave, per colpa di molti, di troppi, e certamente per responsabilità collettive.