Da Newsletter O.L.I.
Osservatorio Ligure sull'Informazione
G8/1
TORTURA, UN MARCHIO
SU GENOVA 2001
Quando nel 2001 a Bolzaneto uomini e donne della legge hanno mortificato, violentato e torturato era passato solo un anno dalla approvazione a Bruxelles della "Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea". L'articolo 4 della Carta recita "Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a trattamenti inumani o degradanti". Il catalogo compilato dai magistrati genovesi circa i fatti avvenuti nella caserma di Bolzaneto e le notizie che ne ha dato la stampa non lasciano dubbi: a Bolzaneto la tortura c'è stata, non casuale ma programmata e di gruppo.
Finalmente, ha scritto Rodotà (Repubblica 28 marzo 2008) il silenzio istituzionale è stato rotto; nessuno può più trincerarsi dietro il "non sapevo". Purtroppo quanto è stato detto in aula dai pubblici ministero, non ha trovato nell'informazione nazionale - sia pure con l'eccezione di Repubblica (articoli di D'Avanzo, Cassese e Onida, 18-20 marzo 2008) - l'eco che sarebbe stato auspicabile. Neppure il sistema politico ha reagito come sarebbe stato necessario; parole di circostanza e nessun impegno. Eppure le democrazie, i paesi civili, ha scritto Rodotà, avrebbero l'obbligo di affrontare i loro vuoti, le loro inadeguatezze; nel caso di Bolzaneto la inquietante assenza di norme che colpiscano la barbarie che si è consumata e che potrebbe ripetersi.
La campagna elettorale in corso "avrebbe dovuto favorire il parlar chiaro, gli impegni netti". Ad esempio "perché non dire subito che la prima proposta di legge (o la seconda o la terza, non importa) sarebbe stata proprio quella volta a colmare la vergognosa lacuna dell'assenza di una norma sulla tortura, che rende inadempiente l'Italia... di fronte all'umanità intera?".
Anche la proposta di una Commissione parlamentare d'inchiesta - ha aggiunto Rodotà - potrebbe non essere sufficiente o divenire un espediente per rinviare a chissà quando i necessari provvedimenti. Già oggi infatti, "pur con le lacune della legislazione penale, sono possibili impegni istituzionali e politici, vincolanti almeno per il futuro ministro dell'Interno: ricorso a tutti gli strumenti amministrativi disponibili per emarginare chi è stato protagonista di quelle vicende; pubblica condanna, senza troppi distinguo, nel momento stesso dell'assunzione dell'incarico".
Perché invece si tace? si chiede Rodotà. "Perchè -è la sua risposta- la fabbrica della paura è divenuta parte integrante della fabbrica del consenso", e l'enfasi posta sul bisogno di sicurezza porta all'eclisse della cultura dei diritti.
A dargli ragione basterebbe fare il conto di quante riunioni ufficiali, a Genova negli ultimi 5 anni, sono state dedicate al tema della "sicurezza" e della "tolleranza zero", e quante ai comportamenti inqualificabili vissuti durante il G8.
(m.c.)
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G8/2
QUEI MANDANTI POLITICI NON TANTO MISTERIOSI
Che l'Avvocatura dello Stato sia stata autorizzata a presentare pubbliche scuse al processo G8 in corso a Genova, per le torture (anche se il codice le chiama diversamente) avvenute nella caserma-prigione di Bolzaneto, è un segnale che qualcosa si muove. Così almeno viene letto da chi vuol credere ostinatamente nelle istituzioni, dopo la lunga sequenza di fatti che fanno perdere ogni fiducia: basti pensare non solo all'impunità assicurata (è ormai prossima la prescrizione dei reati), ma alle promozioni che hanno premiato tutti, nessuno escluso, i funzionari responsabili di tante efferatezze.
Ora forse sarà possibile anche quel processo alle responsabilità politiche che, commissione d'inchiesta parlamentare o meno, si dovrà pure aprire. Perché non basta colpire come vanno colpiti poliziotti, medici e uomini (ma anche donne) della Penitenziaria che si distinsero come aguzzini, fino ad arrivare allo stesso capo della polizia, a quanto pare implicato. La giustizia non può fermarsi a costoro, deve arrivare a chi sollecitò la "lezione ai comunisti" come prova di forza del governo berlusconiano appena insediato. Che ci facevano in quelle ore a Genova, nel quartier generale dei carabinieri, il vicepresidente del Consiglio, Fini, e il suo scudiero locale Bornacin?
Non si può neppure dimenticare però un'altra presenza più che significativa, proprio sul teatro delle torture, nel lager di Bolzaneto, dove la notte delle violenze c'era lo stesso ministro della giustizia, Castelli, insieme ad alcuni magistrati-ispettori. Solo che non si accorse di niente o quasi. Notò qualcosa di "curioso": tutti quei prigionieri fermi in piedi, dietro le sbarre, braccia alzate e testa contro il muro. Provò perfino a chiedere spiegazioni e gli risposero che si trattava di misure precauzionali: se non li avessero tenuti così immobili quei giovani si sarebbero azzuffati tra loro appartenendo a gruppi contrapposti. Stupefacente è che un ministro ci creda e che ancora oggi ripeta: "Anche gli operai stanno ore in piedi e nessuno parla di torture". Fa male solo il pensiero che un ingegnere così potrebbe tornare a governarci.
(c.a.)
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