Re: [Lecce-sf] PROIEZIONE PER LA PALESTINA - 26 MARZO ore 20…

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Autore: Cinzia
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Vecchi argomenti: [Lecce-sf] SABATO 22 MARZO ORE 18
Oggetto: Re: [Lecce-sf] PROIEZIONE PER LA PALESTINA - 26 MARZO ore 20.00 CIRCOLO ZEI
*Sinistra Critica vi invita Mercoledì 26 Marzo ore 20.00 presso il
circolo Zei in corte dei Chiaromonte a Lecce

Proeizione del film:*


Jenin jenin







scritto da Moahmed Bakri

prodotto da Iyad Samudi, Mohamed Bakri





Regia : Mohamed Bakri





Una vivida testimonianza sull'attacco portato dalle forze dell'esercito
israeliano nell'aprile 2002 ai danni del campo profughi palestinese di
Jenin, radendolo al suolo totalmente.

Israele per ciò è stato accusato di crimini di guerra da parte di
numerose organizzazioni umanitarie. Particolare attenzione viene rivolta
alla condizione ed alle voci dei bambini, nati e vissuti e destinati a
crescere in perenne stato di guerra con la violenza come compagnia
abituale.





IL PRODUTTORE ASSASSINATO





Iyad Samoudi, il produttore esecutivo di Jenin Jenin, è stato ucciso a
soli 25 anni dall' esercito israeliano il 23 giugno 2002. Quella
mattina, alle 4.30, i soldati erano arrivati per effettuare alcuni
arresti. Se c'era una cosa che Iyad - e, come lui, la maggior parte
degli abitati dei Territori occupati - odiava, era l'umiliazione.

"Una volta mi aveva detto che avrebbe preferito morire",

racconta Bakri che, assieme alla troupe, durante le riprese aveva
dormito nella sua casa.

Così quel giorno maledetto ha preso la porta ed è scappato. Lo hanno
colpito senza ragione. Sposato alcuni mesi prima, senza figli, Iyad
aveva visto Bakri recitare in uno dei suoi film; voleva lavorare per il
cinema e l'aveva dunque ricercato.

"Era un ragazzo sveglio, sempre pronto a scherzare, pieno di vita", dice
il regista. Jenin Jenin è dedicato a lui, che non ha nemmeno avuto l'
opportunità di vedere questo documentario a montaggio finito.



MOHAMMAD BAKRI

Mohammad Bakri è nato in un villaggio della Galilea 50 anni fa. E'
attore di teatro e di cinema, produttore e regista.

Dai primi anni '80 ad oggi ha interpretato moltissimi film, soprattutto
di autori israeliani e palestinesi. Del 1984 è l'intenso ruolo di Issan,
combattente palestinese in carcere, nel film Oltre le sbarre
dell'israeliano Uri Barbash; nel 1991 guida un commando dell'OLP
nell'antimilitarista Cup final dell'israeliano ; nel 1995 è la volta de
La favola dei tre diamanti del palestinese Michel Khleifi (storia di un
bambino che riesce a sognare nonostante viva nella Gaza sotto
occupazione); nel 1996 interpreta il personaggio del "folle" Haifa
nell'omonimo film attraverso cui il regista Rashid Masharawi ci mostra
di cosa è fatta la vita in un campo profughi palestinese; nel 1997 è la
regista algerina Rachida Krim a dirigere Bakri in Sotto i piedi delle
donne, film al femminile dedicato alla lotta di liberazione algerina e
presentato con successo nell'edizione 1998 del Festival Cinema delle
Donne a Torino; sempre nel 1997 Bakri interpreta - e produce - il film
di Ali Nasser La via lattea, una storia ambientata in Galilea negli anni
'60 all'inizio dell'occupazione israeliana; infine, lo scorso anno ha
recitato in Desperado Square di Benny Torati, una sorta di Nuovo Cinema
Paradiso trasportato all'interno di una comunità di ebrei sefarditi che
vive nei pressi di Tel Aviv.

Come regista ha girato due documentari. Prima di Jenin jenin, ne girò un
altro intitolato semplicemente 1948, è dedicato alla memoria della
Nakba, la Catastrofe, che colpì il popolo palestinese all'indomani della
proclamazione dello Stato sionista. Gli anziani intervistati raccontano
come persero tutto, gli orrori della persecuzione e della deportazione,
come divennero rifugiati... E le loro testimonianze sono intercalate
dalle stupende liriche del grande poeta Mahmoud Darwish interpretate da
uno dei più noti gruppi musicali palestinesi, Sabrine, e dalla giovane
figlia di Bakri, Yaffa.





LE CINEPRESE CLANDESTINE DELLA PALESTINA

Intervista a Mohamed Bakri, di Cristina Piccino (Il Manifesto - 15
giugno 2002)



(...) Cristina Piccino - Parliamo del cinema palestinese, di cui sei tra
i protagonisti. Sta crescendo una nuova generazione, penso a Elia
Suleiman, Hany Abu-Assad, regista di "Rana's wedding"

... Mohamed Bakri - In Palestina non esiste un'industria cinematografica.

Ci sono talento, passione per il cinema, voglia di fare più che
conoscenza. Pochi registi sono andati a scuola, hanno avuto
un'educazione professionale, Elia Suleiman o Michel Khleifi, Rachid
Masharawi non ha mai studiato, ha fatto due film imparando sul campo.
Credo però che nel cinema come nella medicina sia impossibile andare
avanti solo con l'improvvisazione, si devono avere delle conoscenze di
base. Inoltre non abbiamo sale cinematografiche, ce ne era una a
Ramallah che gli israeliani hanno distrutto, non abbiamo pubblico perché
la gente deve affrontare problemi elementari come mangiare. Per girare i
nostri film abbiamo bisogno delle coproduzioni, la Palestina oggi è un
punto "caldo" del mondo, questo crea interesse ma al tempo stesso la
dipendenza rende più faticoso essere liberi di raccontare la propria realtà.

CP - Cioè?

MB - Il punto non è fare o meno un film sul paese d'origine, se sono un
buon regista posso girarne uno meraviglioso a Roma. La nazionalità non
dovrebbe diventare un valore. Ciò che conta è la tua storia, l'infanzia,
l'esperienze vissute, quelle caratteristiche che formano la personalità
di ognuno. Nel cinema il cuore è l'essere umano, da qui prendono forma
le storie, i luoghi. Credo che noi palestinesi abbiamo una forza
speciale nella nostra lotta per la dignità. Da 54 anni siamo senza un
paese, senza passaporto, viviamo in uno stato di occupazione eppure
proviamo a esistere, a cercare un'identità. Il cinema è uno strumento
prezioso per tenere vivo nella memoria quanto ci è stato rubato e
distrutto nel 48. Israele continua a accusarci dicendo che siamo
terroristi e che vogliamo annientarli. Ma sanno bene che è falso,
possiamo addurre molti esempi, l'ultimo quanto è accaduto nel campo di
Jenin.

CP - Come hai fatto a girare?

MB - Sono entrato clandestinamente, e solo chi è stato lì può capire
fino in fondo cosa è accaduto realmente. Il terrore della gente e
l'intenzione di distruggere tutto, di uccidere da parte di una macchina
da guerra che stava attaccando un piccolo campo profughi. Non voglio
essere aggressivo nelle mie frasi ma è stato un massacro. Riprendere era
molto difficile, i militari entravano e uscivano, circondavano tutto.
Dentro potevi vedere la tragedia negli occhi dei sopravvissuti, sono
stati giorni molto duri per me e non come palestinese ma da essere
umano. Ero sconvolto, mi chiedevo continuamente come fosse possibile che
un uomo facesse questo a un altro uomo, come fosse possibile tanta
crudeltà. C'erano delle frasi in ebraico sui muri tipo: "Buon soldato,
Jenin è casa tua, proteggila per favore" dove avevano raso al suolo
tutto. Nella moschea, un luogo santo, avevano rovesciato le cassette
delle offerte rubando i soldi, sul muro avevano scritto "Viviamo e
dispensiamo vita", avevano disegnato un sarcastico fumetto con la
colomba della pace. Ovunque c'erano i nomi dei soldati con accanto "Io
ero qui", per umiliarli marchiavano coi numeri i prigionieri.

CP - Il tutto nel silenzio dei potenti del mondo.

MB - In Europa il senso di colpa per l'Olocausto è ancora molto forte e
noi paghiamo per questo. Non posso accettare però che lo sterminio degli
ebrei compiuto da altri ricada su noi palestinesi, ho l'impressione che
neanche le nuove generazioni tedesche abbiamo pagato un prezzo così alto.

CP - Pensi davvero che sia questo? O non altro, per esempio interessi
economici, la politica dell'occidente verso il mondo arabo specie dopo
l'11 settembre?

MB - Non mi piace fare dei paragoni ma è incredibile come l'Europa abbia
pianto per le Twin Towers dimenticando che quanto hanno fatto gli Stati
Uniti in Iraq è molto peggio. C'è un popolo che continua a morire di
fame, di malattie per il quale nessuno si preoccupa o ha simpatia. Mi
rattrista ciò che è accaduto a New York, sono contro ogni forma di
terrorismo ma non posso dimenticare cosa è successo e continua a
succedere altrove. Il problema è che noi arabi non sappiamo usare i
media e se lo facciamo è in modo stupido e primitivo. Non riusciamo a
contrastare l'immagine di terrore in cui ci ha rinchiusi l'occidente.

CP - In Italia viene spesso giocata l'equazione tra critica a Sharon e
antisemitismo. Cosa ne pensi?

MB - Ancora una menzogna. Chi dice questo non vuole ammettere che
l'occupazione, e non la guerra che è altro, è qualcosa di atroce, che ti
deprime, invade tutto, lo spazio fisico e quello interiore. Non possiamo
avere una vita "normale". Una volta qualcuno mi diceva che il suo grande
sogno era avere la patente, guidare un'automobile senza i controlli
della sicurezza. Capisci? Non c'è tempo per nulla sotto un'occupazione,
neanche per l'amore, ci hanno rubato la tenerezza, le telefonate che si
fanno gli adolescenti, i primi baci... Esiste solo l'esercito a cui si
deve fare fronte. Gli israeliani non vogliono la pace, è evidente. E sai
una cosa? Penso che Sharon sia il leader migliore per la causa
palestinese e il peggiore per Israele. E' stupido, li sta distruggendo,
certo non sono contento, vorrei che il sangue si fermasse subito, ora.
Ma lui non vuole e il futuro per questo è molto, molto incerto.