Le parole-chiave della campagna elettorale
La campagna elettorale è entrata nel vivo di un dibattito intenso e molti candidati sono impegnati a individuare i tratti di una loro presunta originalità che possa giustificare la richiesta di voto agli incerti che nel nostro paese sappiamo essere molti. Leggendo i giornali e seguendo la politica "da vicino" credo di poter essere in grado di definire un abbozzo di vocabolario della politica contemporanea che ci aiuti a orientarci nel circuito complesso di una politica propagandata. Vi propongo in ordine alfabetico sei parole-chiave a cui sono riconducibili una serie di discorsi e temi che toccherò in modo necessariamente schematico:
ambiente: si tratta di una questione strategica e dirimente portata alla ribalta dai media soprattutto per l'enfasi (giusta) riposta sulla emergenza rifiuti in Campania e sull'accusa (sbagliata) scagliata contro gli ecologisti tacciati di essere la causa della difficile soluzione del problema per la loro contrarietà alla modernizzazione delle infrastrutture. Tutti i politici si dicono ecologisti, pochi sono quelli che prendono atto e affermano che la tutela ambientale può essere garantita solo attraverso la messa in discussione del nostro modello di produzione e di sviluppo che, basandosi sulla crescita quantitativa del Pil, ha raggiunto dei livelli improponibili di insostenibilità ambientale. A questo bisogna aggiungere una critica radicale agli attuali modelli di consumo che sono oggi altrettanto insostenibili, rendendo quindi necessaria la determinazione, anche attraverso un supporto normativo, di nuove consuetudini sociali che puntino alla riduzione degli sprechi e al risparmio energetico.
americanizzazione: questo elemento è giocato su due piani, quello simbolico e quello propriamente politico e istituzionale. Il primo caso è evidente nell'esplicito richiamo alla retorica di Barak Obama recuperata da Veltroni e dal corrispettivo riferimento a McCain da parte di Berlusconi. Sul piano politico emerge un disegno attorno a cui entrambi i leader convergono. Sia il Pd che il Pdl puntano a riscrivere le regole del gioco per creare le condizioni di un sistema governato da un super-presidente eletto direttamente dal popolo, dentro un quadro politico costruito sui parametri di un bipartitismo perfetto per quanto coatto. Due partiti a vocazione governista, moderatamente alternativi, ma simili sulle linee essenziali della politica (affari internazionali, economia, valori nazionali). Ne fuoriesce un quadro forzatamente semplificato con un potenziale astensionismo diffuso, grande potere ai gruppi di pressione e una società civile vitale ma che fatica a rendersi incisiva in un sistema politico impermeabile ad essa. La politica si identificherebbe con la sola dimensione di governo e larghe fasce di popolazione (migranti, operai, precari) rischierebbero di rimanere senza rappresentanza politica.
antipolitica: si tratta di un sentimento generalizzato di sfiducia nei confronti del ceto politico a cui da anni si cerca di ovviare cercando di distogliere l'attenzione dei cittadini dirottandola dai fatti ai simboli. Prima ricorrendo all'enfasi riposta sul voto alla persona (primi anni Novanta), oggi attraverso la mitologia del nuovo gestito e organizzato però secondo logiche vecchie. Dietro di ciò si legge la tendenza ormai abbastanza consolidata di ridurre la politica a comunicazione politica e il discorso (logos) in retorica, intesa come chiacchiera finalizzata a operazioni di marketing svuotata di contenuti e rattrappita nelle forme verbali.
conoscenza: è la grande assente di questa campagna elettorale. Tutti ne affermano il valore strategico ma nei fatti la riducono a una semplice voce di spesa su cui risparmiare. Ecco che il centrodestra è silente mentre i democratici propongono addirittura di trasformare le Università pubbliche in fondazioni private. C'è chi afferma al contrario il valore della conoscenza come bene comune non mercificabile né privatizzabile, tanto più dentro le dinamiche di un capitalismo globale che, oltre a rigenerarsi nella crisi, assume sempre più i caratteri di un capitalismo cognitivo, in cui la domanda di sapere esteso e condiviso è un nodo decisivo del conflitto sociale, perché sempre più diventa fondativo di una richiesta non astratta di uguaglianza. Occorre dunque un sistema pubblico di ricerca e produzione culturale che esalti questa domanda anziché mortificarla.
laicità: si tratta di un nodo cruciale per l'organizzazione della politica in una società moderna che richiama le polemiche relative all'esigenza di garantire una scienza libera dentro istituti di ricerca laici e plurali e la prepotenza delle gerarchie vaticane che cercano sempre più di interferire nelle decisioni politiche. Torna in auge la storica questione cattolica, senza rendersi probabilmente conto che i cattolici italiani sono da tempo molto più avanti di chi si proporrebbe di rappresentarli, esprimono in maggioranza un punto di vista laico, agendo secondo un'etica sociale che distinguono dalla morale confessionale in cui pure si riconoscono. Da qui diventa inevitabile il riferimento alle questioni bioetiche come l'aborto e al tentativo di trasformare questioni che attengono alla coscienza individuale in oggetto di propaganda elettorale. Oltre al chiaro e di per sé deprecabile intento strumentale, si legge in questo il tentativo già storicamente fallito di contrapporre la "vita" (del feto) alla "libertà" (della donna), riproponendo un conflitto etico insanabile che spetta alla politica ricomporre. Si ripropone lo spettro della madre mortifera facendo esplodere l'atavica paura maschile di essere al mondo per la casualità di una scelta femminile e non grazie ad essa. Torna in auge il pensiero delle donne che già negli anni Settanta presero atto che nell'aborto vive lo scacco della dipendenza della sessualità maschile dove esiste coincidenza tra piacere e coito. Dietro la lotta contro l'aborto si cela l'esigenza (ossessione) maschile di esorcizzare la sua paura di negare la vita affermandone una sacralità che non esiste e ritorcendo questa paura contro la donna e le sue aspirazioni all'autodeterminazione.
lavoro: un tema scottante su cui convergono le posizioni dei principali antagonisti in questa campagna elettorale che si riconoscono entrambi nell'idea di una presunta equidistanza tra capitale e lavoro, come se fossero dotati dello stesso potere contrattuale, come se non esistessero i proprietari da un lato, che decidono e ricattano, e i lavoratori trasformati in merce e sacrificati in nome del profitto. Tutti parlano della necessità di tutelare i giovani ma solo alcuni fanno esplicito riferimento alla necessità di uscire dal dramma della precarietà, di risolvere una volta per tutte la questione salariale attraverso un politica seria di redistribuzione e, come nel resto d'Europa, l'introduzione del salario sociale (o reddito di cittadinanza).
Potrei aggiungere altri temi pure importanti come quelli relativi alla tassazione e alla questione morale, ma le ultime righe vorrei spenderle sulla mitologia del "voto utile" dietro la quale si percepisce un movimento centripeto generatore di un filo bianco che unisce Pd e Pdl. Credo che la prospettiva di una evoluzione "consensualista" in una società di tradizione "conflittualista" possa solo creare nuovi inciuci e nuove frammentazioni che non solo mortificherebbero la rappresentanza di ampie aggregazioni di interessi sociali ma non risolverebbero, a mio avviso, neanche il tanto auspicato (anche dal sottoscritto) obiettivo della governabilità.
Fabio de Nardis
(coordinatore Dipartimento Nazionale Università e Ricerca Prc)
www.fabiodenardis.splinder.com