Repubblica Genova
Solo la mancata ratifica in Italia di norme internazionali che risalgono
al 1989 impedisce la condanna sino a 10 anni di carcere
"Così torturavano a Bolzaneto"
I pm ricostruiscono una notte di vergogna e barbarie
Tortura. Quella terribile parola che in Italia non è contemplata nel
codice penale, ieri ha fatto irruzione nell´aula del tribunale in cui i pm
genovesi stanno pronunciando la requisitoria del processo della caserma di
Bolzaneto, la prigione del G8 del 2001. Un lungo resoconto di abusi e
umiliazioni inflitte ai reclusi. «Tutto ciò - spiegano i magistrati
dell´accusa - è potuto avvenire, come in ogni caso di tortura, grazie a
quel meccanismo fatto di omissioni per cui i responsabili non vengono
puniti e le vittime terrorizzate hanno paura di denunciare i
maltrattamenti subiti. La parola chiave è: impunità».
"Le torture dell´inferno Bolzaneto"
I pm accusano: se esistesse la legge, condanne sino a 10 anni
Tutto sotto gli occhi benevoli e compiaciuti dei pubblici ufficiali
La non ratifica di norme internazionali e la prescrizione incombono
In aula la cruda e terribile cronaca dei fatti del G8 rievocata dai
magistrati
MASSIMO CALANDRI
TRATTAMENTI inumani, crudeli. Degradanti. In una parola: torture. Nella
caserma di Bolzaneto i rappresentanti dello Stato, quelli che in teoria ci
dovrebbero proteggere dai criminali - gli agenti e i carabinieri, i
poliziotti della penitenziaria, i generali e i vice-questori - hanno
violato tutte le convenzioni internazionali. E prima ancora la loro
dignità. Di pubblici ufficiali, di uomini. La procura ha citato quei sette
disegni di legge che solo per una questione di tempo non sono ancora stati
trasformati in una norma del nostro codice: i colpevoli avrebbero
altrimenti rischiato dai quattro ai dieci anni di reclusione. Ma non
importa, e al diavolo la prescrizione che tra un anno cancellerà tutto.
Ora contano solo le parole della pubblica accusa, perché nessuno
dimentichi. Perché non accada più. Nel corso della requisitoria di ieri,
il pm Patrizia Petruzziello ha elencato una serie di episodi. Ed è stata
un´esposizione sofferta, dolorosa, sconcertante.
Perché non si è trattato solo delle violenze fisiche subite dai 209 ospite
del "centro di detenzione temporaneo". Sappiamo delle dita spezzate ad un
giovane no-global. Dei pugni, dei calci, delle manganellate su persone
inermi. Delle bruciature con accendini e mozziconi di sigaretta, delle
bastonate alle piante dei piedi. Delle teste sbattute contro i muri, del
taglio dei capelli. Del "comitato di accoglienza" che faceva passare i
poveretti per un corridoio di guardie. E giù botte.
Ma anche le parole, gli insulti, le umiliazioni sono tortura. E´ tortura
costringere un ragazzo a mettersi carponi ed abbaiare come un cane, per
poi urlare: "Viva la polizia!". E´ tortura obbligarne un altro in piedi in
infermeria, nudo, e minacciarlo con un manganello: «Però tutto sommato il
comunista non è male. Ci ha un bel corpo, ci ha un bel culo. Quasi quasi
me lo farei... sì, perché no? Ce lo possiamo anche fare questo
comunista... allarga bene le gambe, compagno, perché ti faccio... ». Lo è
impedire ad uno di andare in bagno, perché subisca l´umiliazione di
urinarsi addosso e resti con i vestiti sporchi. E´ tortura deridere la
ragazza che chiede un assorbente, o mostrare ad una madre le fotografie
dei propri figli sogghignando: «Questi non li vedrai per un bel po´». Lo è
ordinare di gridare "Che Guevara bastardo", oppure "Viva il duce". Il
pubblico ministero ha ricordato che le minacce più frequenti erano nei
confronti delle donne: «Entro stasera vi scoperemo tutte», «Avrebbero
dovuto stuprarvi tutte come in Kossovo». C´è un ragazzo che in infermeria
- nudo - viene fatto appoggiare con la faccia al muro, e un agente gli
sussurra all´orecchio: «Ora io faccio l´uomo, e tu la donna».
Sono storie raccontate in aula negli ultimi due anni e con precisi
riscontri. Storie rispetto alle quali gli imputati - persone in divisa,
vale la pena ripeterlo - hanno risposto con tanti «non ricordo», «non so»,
«non ho visto». Il pm Petruzziello - con il collega Vittorio Ranieri
Miniati - ha ricordato come «nel sito penitenziario di Bolzaneto non sia
stata posta in essere da alcun detenuto una condotta di reazione nei
confronti dei custodi». Rifacendosi ai parametri indicati dalla Corte
Europea dei Diritti dell´Uomo, il magistrato ha spiegato che «i
trattamenti provati come inflitti a Bolzaneto sono stati inumani e
degradanti». «Tali situazioni si sono potute realizzare per il grave
comportamento anche omissivo di pubblici ufficiali, o comunque con il loro
consenso tacito o espresso». «Non c´è poi stato un momento o una fase
particolare, il trattamento è stato esteso sostanzialmente a tutte le fasi
della permanenza dei detenuti». «Sono stati adottati tutti quei meccanismi
che vengono definiti di ‘dominio psicologico´ al fine di abbattere la
resistenza dei detenuti e di ridurne la dignità». «Tutto ciò è potuto
avvenire, come in ogni caso di tortura, grazie a quel meccanismo fatto di
omissioni (la negazione delle responsabilità, le mancate indagini da parte
dei responsabili delle strutture, l´assenza di punizione degli esecutori
materiali) per cui i responsabili non vengono puniti e le vittime
terrorizzate hanno paura di denunciare i maltrattamenti subiti. La parola
chiave è: impunità».
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Carlo
Forum Per La Sinistra Europea - Genova
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