[inquieto] riflessione su anarchismo sperimentale

Üzenet törlése

Válasz az üzenetre
Szerző: deserto dei tartari
Dátum:  
Címzett: caffa mailing List
Tárgy: [inquieto] riflessione su anarchismo sperimentale
preso da indymedia toscana... http://toscana.indymedia.org/article/2413



        Il movimento anarchico da sempre è un movimento particolarmente
        sperimentale, più o meno consapevolmente c’è da sempre un
        richiamo costante alla sperimentazione, da quando si descrive
        l’esperienza di un’occupazione di un centro sociale fino
        all’analisi di momenti rivoluzionari come la Comune di Parigi,
        la rivoluzione del ’36 in Spagna, passando per l’esperienza punk
        del ’77 fino alla Banda del Matese, ecc. 




Lo scopo di questo articolo è la chiarificazione di una serie di “nuove
idee” che in maniera embrionale hanno interessato parte del movimento
anarchico negli ultimi anni. Credo che ogni nuova forma di conoscenza
avvenga in maniera ipotetico-sperimentale, ovvero in un processo in cui
l’individuo in maniera del tutto irrazionale, attraverso un complesso
confronto con i dati in suo possesso, formula delle ipotesi e poi in
maniera non sempre consapevole e sistematica li confronta
sperimentandoli con la realtà a esso circostante.

In queste pagine cercheremo di descrivere una possibile applicazione
delle metodologie ipotetico-sperimentali alle battaglie rivoluzionarie
degli anarchici. In realtà il movimento anarchico da sempre è un
movimento particolarmente sperimentale, più o meno consapevolmente c’è
da sempre un richiamo costante alla sperimentazione, da quando si
descrive l’esperienza di un’occupazione di un centro sociale fino
all’analisi di momenti rivoluzionari come la Comune di Parigi, la
rivoluzione del ’36 in Spagna, passando per l’esperienza punk del ’77
fino alla Banda del Matese, ecc.

DEDUTTIVISMO E INTUIZIONISMO: DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA

Metodologie “scientifiche” diverse da quella ipotetico-sperimentale sono
il metodo assiomatico-deduttivo e il metodo intuitivo. Generalmente si
tende a credere che questi siano i soli metodi possibili di conoscenza,
si crede anche che uno escluda l’altro, in realtà essi sono “due facce
della stessa medaglia”.

I deduttivisti accusano chiunque non la pensi come loro di essere degli
intuizionisti, viceversa gli intuizionisti accusano di scientismo tutto
coloro che credono nell’analisi critica. In realtà il metodo assiomatico
non avrebbe senso senza il ricorso all’intuizione: chi sostiene che ogni
concetto ne implica logicamente un altro, e così via, ritiene che prima
o poi ci sarà un concetto primo immediatamente vero che si può
raggiungere solo con l’intuizione.

E’ una credenza comune a tutti gli assiomatici, da Aristotele a Russell,
infatti, se la conoscenza fosse infinita, in un sistema rigorosamente
logico si potrebbe dimostrare tutto e il contrario di tutto, mandando in
frantumi tutta la struttura rigida di deduzioni: infatti in un sistema
logico senza un principio intuitivamente evidente non si può mai sapere
con certezza se tra i principi non ancora scoperti ce ne sarà uno in
contraddizione con il sistema.

Se il deduttivismo ha bisogno, nelle sue estreme conseguenze,
dell’intuizione, dall’altro canto anche gli “artistoidi” e gli
intellettualoni da strapazzo non potrebbero sostenere la forza della
loro conoscenza pura ed immediata, se non esistesse al mondo una
conoscenza mediata. Che senso avrebbe parla di immediato in un mondo
dove non c’è il mediato? Che senso avrebbero i simbolismi senza una
realtà concreta da rappresentare? Per quanto ci sforziamo non è neanche
pensabile un’intuizione immediata e irrazionale senza una realtà fatta
di deduzioni mediate e razionali.

Cosa c’entra tutto questo con l’anarchia? Moltissimo. Il movimento
anarchico è un movimento rivoluzionario che vuole rovesciare e il
sistema esistente, abbattere l’autorità e costruire un modo senza
sfruttamento, senza confini e senza galere. In altre parole il movimento
anarchico vuole modificare la realtà. E’ quindi di estrema importanza
osservare che la storia ci ha insegnato che la realtà viene modificata
attraverso la sperimentazione di ipotesi alternative al mondo
esistente.

La conoscenza di tipo deduttivo ha un limite enorme: non è ampliativa.
In essa le conclusioni sono implicite nelle premesse. A implica
logicamente B, ogni guerra implica logicamente una debolezza del
capitalismo (come dicono i marxisti-leninisti), ogni tecnologia implica
logicamente un attacco alla natura (come dicono i primitivisti), ecc. Ma
di fatto quando una conoscenza non è ampliativa essa è immobile.

Una concezione assiomatica significa la difesa gelosa delle proprie
posizioni e il disprezzo per idee nuove, credendo che la disgregazione
della rigorosità della propria logica politica sia un elemento di
debolezza e non di forza: significa in altre parole preferire
l’omegeneità della propria organizzazione alla crescita del movimento
rivoluzionario.

Non essere ampliativi significa non accettare al proprio interno
posizioni non in linea, significa non aderire a lotte non deducibili dai
santi principi enunciati dai Maestri (che essi si chiamino Marx Mao
Stalin, o Bakunin e Malatesta poco cambia), significa per un trotzkista
non fare il partito con un non trotzkista, per un anarchico comunista
non lottare con un anarchico individualista e viceversa per un
individualista disprezzare le lotte sociali.

L’assiomatico crede appunto che ogni passaggio sia la conseguenza logica
della premessa, crede che solo da A=A si fa la rivoluzione, mentre
sappiamo che paradossalmente le concezioni identitarie non solo non
ampliano il soggetto che le predica, ma addirittura col passere del
tempo lo indeboliscono e lo rimpiccoliscono.

La metodologia sperimentale diversamente produce elementi nuovi, amplia
le nostre conoscenze inserendo nuove idee assurde non razionalmente già
calcolate nel concetto precedente. L’anarchia è anch’essa quindi
un’ipotesi, di fronte ad una realtà insopportabile alcune persone hanno
ipotizzato una realtà diversa e l’hanno chiamata anarchia. Non è affatto
scontato che l’anarchia un giorno ci sarà, il compito dell’anarchismo è
quello di sperimentare quest’idea meravigliosa con la consapevolezza
però che, come ogni esperimento, esso potrebbe anche fallire.

Kropotkin ad esempio che sostiene la tendenza naturale all’anarchia su
questo singolo aspetto aveva torto, dato che non esistono tendenze
naturali, fili evolutivi prestabiliti da seguire.

IL PREZZO DA PAGARE

Il prezzo da pagare è altissimo. E non è detto che sia sempre
tatticamente sopportabile. Il prezzo da pagare è quello di rinunciare
alla certezza che l’anarchia un giorno ci sarà per accontentarci della
consapevolezza che dobbiamo essere noi “bravi” a costruirla, è quello di
rinunciare ad una visione ideologica della realtà in cui è
immediatamente deducibile dai nostri ideali vedere chi sono gli “amici”
e chi i “nemici” per una visione più complessa.

L’anarchismo sperimentale quindi ha il compito di costruirsi in base ai
dati esistenti, poi ricomporsi, ricominciare dai fallimenti, formulare
ipotesi diverse da quelle fino ad ora conosciute, ritornare sui suoi
passi, ripartire di nuovo, ecc. E’ un processo estremamente caotico, ma
non per questo disconnesso dalla realtà: anche se le ipotesi vengono
formulate in modo non razionalmente deduttivo esse hanno un legame, se
pure non totalmente comprensibile, con la realtà concreta di chi le ha
formulate, con gli esperimenti che ha già fatto, con lo sfruttamento di
cui è stato vittima, ecc.

- Facciamo l’esempio anarco-ecologista, di grande attualità in questi
anni di innalzamenti climatici e catastrofi naturali.

Il prezzo da pagare per un individuo che ama la natura è quello di
interrogarsi sulla possibilità o meno dell’ipotesi primitivista, di
comprendere davvero se questa ipotesi è effettuabile, se in un mondo del
genere i miei bisogni egoistici e individuali saranno appagati. E’ stato
fino ad ora semplice dire “io amo la natura”, ne deduco che “io attacco
chi distrugge la natura”, ne deduco che “la scienza attacca la natura”,
ne deduco che “io sono contro ogni scienza”, ne deduco che occorre
tornare all’età della pietra. E’ sicuramente più difficile colpire
militarmente chi distrugge la natura, con la consapevolezza di voler
costruire qualcosa di positivo che effettivamente migliori lo stato
dell’ecosistema. E’ facile dedurre alle estreme conseguenze i nostri
desideri, un po’ più complesso è effettivamente realizzarli.
Confrontando l’ipotesi primitivista di Zerzan con quella più
semplicemente antiindustriale di Kaczinsky, personalmente mi rendo conto
che la seconda è sicuramente più facile da attuare, anche se la prima è
più argomentata scientificamente; questo a sottolineare il fatto che non
è solo la rigorosità del pensiero che rende “migliore” una strategia
rivoluzionaria.

L’anarchismo sperimentale sostiene che è venuto il momento di pagare il
prezzo di questa difficoltà. Il prezzo da pagare è continuare una
strategia rivoluzionaria, quindi anche con mezzi illegali e armati, pur
esponendosi alle critiche, da una parte, di chi crede che tu sia un
moderato perché ti poni degli obbiettivi più concreti e meno radicali,
dall’altra, della repressione dello Stato. E non è detto che sia un
prezzo tatticamente sempre sopportabile.

- Un altro prezzo altissimo è quello del rifiuto di assiomi astratti
come la non violenza, da sostituire con un rapporto concreto e
sperimentale con la realtà, che sappia dirci di volta in volta quale è
il mezzo migliore in una determinata situazione.

Ancora una volta logici rigorosi della rivoluzione e anime pie
dell’intuizione non sono poi così distanti: infatti si prende un
principio morale e immediato, la non violenza, lo si santifica e lo si
astrae dalla realtà, e poi si deduce da questo principio una serie di
assiomi indiscutibili. Esattamente il contrario di un approccio
sperimentale alla rivoluzione, un approccio che prevede lo sviluppo di
ipotesi diverse (esempio: violenza, controinformazione, sciopero della
fame, barricate, guerriglia, volantinaggio, resistenza passiva, ecc), si
sceglie la migliore in base ai dati raccolti in episodi passati e la si
esperimenta per vedere se è in grado di farci raggiungere l’obbiettivo
desiderato.

- Ultimo esempio, per ora, è il tema anticarcerario.

La distruzione delle galere è uno degli scopi degli anarchici; sia le
galere fatte di sbarre, sia le galere del lavoro, della città, della
scuola, della famiglia. Ma ancora una volta il rifiuto delle galere non
può essere astratto e fine a se stesso, ma concreto e fine a me stesso.
L’obbiettivo non può essere la creazione di un nemico a cui dedicare il
nostro tempo, l’obbiettivo è di tirare fuori le persone che in quelle
galere si trovano.

Mi riferisco ad esempio al testo di Bonanno, un compagno a cui
culturalmente devo tanto, Contro l’indulto, in cui presenta una tesi
inaccettabile. Non si può essere a priori contro l’indulto perché questo
determina la pacificazione delle lotte carcerarie. Lo scopo non è
combattere la pacificazione dello Stato astrattamente, lo scopo è quello
di non vivere in carcere. Un provvedimento come l’indulto ha fatto
uscire degli individui in carne ed ossa dal carcere, persone che oggi
possiamo abbracciare, con cui possiamo parlare, con cui possiamo fare
l’amore, insomma persone fisiche non concetti astratti di rivolta.

Per me, poter rivedere amici marocchini ed albanesi al bar, dopo aver
saputo che non li avrei rivisti per anni, mi ha dato una gioia
incommensurabile, una gioia che va oltre la rigorosa e razionale
adesione ad un pensiero come quello anarchico che mai dovrebbe scendere
a patti con lo Stato.

Un indulto come quello ad esempio di questa estate ovviamente ha dei
limiti enormi: non è stata una ripiegata dello Stato di fronte a rivolte
e proteste, di fronte a campagne di azioni dirette ed attentati,
piuttosto purtroppo questo indulto sarà occasione per i secondini di
riprendere fiato e di continuare i loro sporchi esperimenti su un numero
più gestibile di prigionieri. Non è un caso che da quando Diliberto ha
istituito i GOM, da quando esistono campi magnetici che controllano ogni
carcere, da quando Dorigo denuncia l’uso del controllo mentale su di se
e su altre decine di detenuti, da allora non ci sono state più grosse
rivolte nelle carceri.

IPOTIZZARE E SPERIMENTARE NUOVE IDEE

Di fronte ad una realtà che cambia si sente il bisogno di liberarsi
dalle vecchie concezioni e formularne altre più adeguate per la
comprensione del presente e poi per decidere dove indirizzare
l’intervento rivoluzionario.

Cosa significa essere proletari, ad esempio? Chi sono questi proletari?
Gli operai, i precari? Oppure proletari sono i milioni di morti di fame
e di epidemie in Africa? Un commerciante, che in quanto tale nella
visione classista dovrebbe essere un borghese, afgano che vende oppio e
armi per quattro soldi è più o meno “rivoluzionario” di un salariato
italiano cosciente e iscritto al sindacato? Per usare vecchi termini è
più rivoluzionario il clandestino che vende fumo nelle periferie e dorme
per strada o il salariato che “vende il suo lavoro” in cambio di
cellulare e lavatrice? Per fare un esempio recente è più rivoluzionario
il rivoltoso delle periferie parigine che insorge contro la repressione
della polizia o l’iscritto al Partito Comunista Francese che organizza
le ronde per difendere i quartieri dalle fiamme della rivolta?

Di fronte a questa nuova complessità della realtà quali sono le risposte
del movimento rivoluzionario classico? Quali sono le nuove idee
ipotizzate e sperimentate? La realtà non è mai complessa, la realtà è
sempre se stessa; sono i cervelli umani che sono complicati e nel
momento che di fronte ad una realtà nuova si usano idee vecchie essa ci
può apparire complessa, quando se ne ipotizzano con successo delle nuove
e più adeguate essa allora ci apparirà più semplice.

Serve una struttura di pensieri in grado di chiarificare chi è il nemico
oggi, quali sono i suoi strumenti, quali sono i suoi servi, quali sono i
suoi punti deboli; allo stesso modo mancano delle idee che ci dicano chi
sono i soggetti rivoluzionari nuovi, come agisco, come dovrebbero agire
per indirizzare la conflittualità in senso libertario, su quale fuochi e
in quali direzioni devono soffiare gli anarchici.

CONTRO UNA VISIONE DUALISTICA DELLA REALTA’

La nostra civiltà si fonda sul concetto di dualismo, basti pensare ai
concetti di Bene e Male, o ai contrari di Eraclito, o alla lotta tra
classi nella visione marxista, alla dialettica hegeliana e molti altri
esempi ancora si possono fare.

Il dualismo, come ogni concezione imposta dall’alto e da applicare ad
ogni fenomeno naturale, è un concetto profondamente antilibertario,
assiomatico e antisperimentale. Non si può racchiudere la complessità
delle motivazioni che spingono un individuo alla ribellione ed alla
conflittualità con il potere politico ed economico, in un semplice
scontro tra “idee” (le classi in fin dei conti sono delle idee),
piuttosto dovrebbero essere le idee ad essere prodotte per rappresentare
il più adeguatamente possibile i fenomeni; ciò significa che quando
un’idea non è più adeguata abbastanza a ciò che con essa si vuole dire
ne va ipotizzata una diversa. Come abbiamo visto le definizioni storiche
di classi sociali non sono adeguate a descrivere le nuove insorgenze nel
mondo povero e poverissimo, ma neanche nelle periferie europee e
statunitensi, né ci aiutano ad individuare chi è il soggetto
rivoluzionario e se ne esiste uno.

Al contrario del dualismo l’anarchia, come la realtà, è multiforme,
complessa, eterodossa. Vediamo alcune forme di dualismi nella politica e
i loro limiti fondamentali:

- Il dualismo destra-sinistra.

Secondo questa visione del panorama politico le posizioni dei
conservatori sono di destra, mentre quelle dei progressi sono di
sinistra. Questa impostazione nasce durante la rivoluzione francese e
rappresenta bene l’era moderna, che è proprio l’era della dialettica e
del dualismo.

E’ chiaro che l’ipotesi anarchica non può essere sperimentata in questa
concezione. Noi siamo conservatori quando vogliamo difendere le nostre
foreste e le nostre montagne dall’industrializzazione, dal pregresso
tecnologico; ma siamo progressisti quando vogliamo superare le razze e i
confini, quando lottiamo contro il patriarcato e il sessismo. Come
possiamo definire la complessità di questa posizione nella dicotomia
destra-sinistra? Come possiamo dirci di sinistra quando lottiamo contro
lo sviluppo delle tecnologie, quando facciamo campagne contro la
psichiatria, quando ipotizziamo teorie anticivilizzatrici, quando
sperimentiamo il “rinselvatichimento” come progetto principale
dell’anarchia verde? Come possiamo dirci di destra quando lottiamo
contro lo sfruttamento, contro il dominio dello Stato, contro la guerra,
contro gli eserciti e contro le galere, quando attacchiamo gli interessi
della nazione e colpiamo i “servitori della patria”?

Io, per esempio, ho avuto un’ aspra discussione con il compagno Lucio
Garofalo, che scrive su anarchaos e si definisce anche lui anarchico,
perché egli sosteneva che bisognasse andare a votare per il referendum
sulla fecondazione assistita, mentre io in quell’occasione mi trovavo
più vicino alle posizioni della Chiesa che a quelle delle
multinazionali. In una visione dicotomica della realtà io sarei potuto
apparire come un reazionario, come un maschilista, come una persona di
destra; ma è chiaro che vedere la complessità delle miei posizioni di
allora in un’ottica dualistica è molto limitativo. Io infatti sono
assolutamente contrario al dominio patriarcale e fermo oppositore dei
dogmi della Chiesa, eppure non ho votato perché consideravo
un’evoluzione pericolosa della scienza capitalista la ricerca sugli
embrioni, perché consideravo un desiderio borghese quello di avere un
figlio a tutti i costi mentre nel mondo ci sono persone che non sanno
cosa dargli a mangiare ai propri figli, perché consideravo più
importante la lotta delle donne nei paesi islamici che non possono
abortire rispetto a quella delle occidentali ricche che hanno 6mila euro
da investire per comprarsi un figlio (questo il prezzo dell’operazione
in Italia). Argomentare allora la mia posizione nell’ottica del dualismo
destra-sinistra sarebbe stato impossibile e denigratorio nei miei
confronti.

- Il dualismo tra Stato e capitale.

Sia i marxisti che i capitalisti si sono molto impegnati nel farci
credere che gli interessi dello Stato siano contrapposti a quelli del
mercato, e quindi quando c’è uno stato forte il marcato è meno libero e
viceversa. Si pensi ad esempio alla tesi leninista che il comunismo
rappresenta la supremazia della politica sull’economia, una tesi
paradossalmente antimaterialista poiché predica in sostanza la
supremazia delle idee sulle cose, concezione sicuramente contraddittoria
nel pensiero marxista. Recentemente dal mondo no-global sono emerse le
teorie del nuovo Toni Negri che ha addirittura ipotizzato la fine dello
stato-nazione e la nascita dell’era delle multinazionali.

Ma il dualismo tra Stato e mercato è solo un’apparenza che viene
smascherata da un minimo di osservazione della realtà. Non potrebbe
infatti esistere nessun sistema economico senza la produzione di una
burocrazia e di un esercito che lo amministri e lo difenda. E infatti
non esiste nessun sistema del genere, gli stessi economisti “illuminati”
si sono da tempo resi conto che neanche gli Stati Uniti sarebbero un
nazione “puramente” capitalista, anzi proprio negli USA l’ingerenza
dello Stato nelle faccende economiche assume proporzioni enormi: si
pensi ai tanti imprenditori finiti in galera per non aver rispettato le
severissime regole che lo stato USA impone al mercato e al diritto di
concorrenza. Sono stati proprio gli americani “di sinistra” ad
inventarsi il welfare, inoltre in un mercato “libero” non sarebbe
neanche pensabile una spesa decisamente antieconomica come quella che
gli statunitensi devono sostenere per mantenere il loro esercito, un
spesa che non produce crescita economica se non per i fabbricanti di
armi e che è superiore al costo degli eserciti di tutte le altre nazioni
del mondo messe insieme, una spesa che grava sulle tasche degli
statunitensi, che incrementa il loro debito e incrina il loro PIL,
eppure una spesa che il capitalismo dona volentieri allo Stato perché
resti forte difensore dei suoi interessi.

E’ chiaro che gli anarchici non possono credere a questo dualismo, dato
che gli anarchici vogliono superare il sistema capitalistico, ma lo
vogliono fare distruggendo lo Stato. Lo Stato non solo non sembra
scomparire ma oggi è più forte che mai, uno Stato che ha dei mezzi
militari neanche immaginabili fino a 20 anni fa, come i raggi laser e le
armi ad energia, uno Stato che finanzia e sperimenta mezzi pericolosi
come il controllo mentale, uno Stato che crea regimi speciali nelle
carceri, polizie sempre più potenti e servizi segreti sempre più
impuniti. Lo Stato non sta crollando e gli anarchici lo sanno bene,
quando lo Stato crollerà ci sarà l’anarchia, anzi se lo Stato dovesse
crollare e lo sfruttamento continuare ad esistere quella sarà proprio la
prova definitiva del fallimento degli esperimenti anarchici. Secondo me
comunque questa ipotesi è del tutto priva di fondamento, dato che oggi,
come e più di ieri, lo Stato è il mezzo con cui il capitale esercita il
suo dominio.

Oggi sicuramente più che in passato, con le forze socialdemocratiche che
ritornano al potere. Negli ultimi decenni infatti l’economia si è legata
allo Stato in maniera più stretta del solito. Questo legame lo descrive
benissimo Bonanno ne La rivoluzione illogica: «Ad un certo punto il
capitale, spogliandosi del suo aspetto avventuroso caratteristico della
pirateria inglese e della nuova frontiera americana, si manifesta nella
cruda evidenza di se stesso: come flusso ininterrotto di produzione di
strutture di potere attraverso il ruolo necessario dell’economia. In
questa fase esso è pronto ad eliminare una struttura intermedia del
mercato – quella dei portatori di denaro – sostituendovi una struttura
di tipo diverso, quella dei portatori della organizzazione Stato».

- Il dualismo tra organizzazione e antiorganizzazione.

E’ il più sentito tra gli anarchici, interessa molto di meno agli altri.
Come ogni dualismo è amplificato nell’era moderna dove di fronte ad una
realtà più complessa del passato, c’è l’esigenza di idee chiare: o sei
libero o sei servo dell’organizzazione, o sei parte della struttura
rivoluzionaria o sei un elemento irrazionale piccolo borghese fine solo
a te stesso. Di fronte a questa semplificazione io credo che
l’anarchismo sperimentale debba provare a ipotizzare idee alternative
alla costrizione poco libertaria del “o stai con me o contro di me”. Un
po’ come il discorso fatto sopra sulla violenza, così anche
l’organizzazione può essere utile come può essere dannosa, è una
questione di opportunità. Qui sta la difficoltà dell’anarchismo
sperimentale, quello che dicevamo “il prezzo da pagare”, non accettare
modelli preimpostati e ipotizzare di volta in volta le soluzioni più
adeguate allo scopo che si vuole raggiungere.

E’ chiaro che le organizzazioni “eterne” sono sempre dannose, poiché
esse tendono a sopravvivere oltre lo scopo immediato e quindi lo pongono
in secondo piano: non sono più finalizzate all’attacco e alla
distruzione dello Stato, ma se questo attacco incrina la loro
sopravvivenza lo condannano come provocatorio. Sono utili invece le
organizzazioni con strategie a breve e medio termine, con tattiche
fantasiose, innovative e sperimentali. Ad esempio organizzarsi contro la
costruzione di un inceneritore creando gruppi di discussione con la
popolazione locale, oppure organizzazioni che hanno il compito di
supportare i compagni e le compagne finite/i in galera dopo
un’operazione repressiva, od organizzazioni nei luoghi di lavoro. Le
Unioni, come le chiama Max Stirner, si sciolgono quando il loro scopo è
stato raggiunto, quanto l’inceneritore non viene più costruito, quando i
compagni e le compagne in carcere sono di nuovo liberi/e, quando hai
raggiunto l’aumento per il quale ti eri impegnato.

Lo scopo degli anarchici non è quello di conquistare il palazzo del
potere e metterci la nostra bandiera sopra, il nostro scopo è fare la
rivoluzione, farla con tutti gli insorti, e non utilizzare le
insurrezioni per scopi autoritari e di avanguardia. La rivoluzione la si
fa con i vecchietti del quartiere che insorgono contro l’inceneritore
che ha portato morti e tumori, con i colleghi di lavoro, con quelli che
assaltano i supermercati perché non possono comprarsi ciò di cui hanno
bisogno, con chi incendia i pozzi di petrolio perché inquinano le falde
acquifere del villaggio, ecc. Non succederà mai nella storia che tutte
queste individualità saranno unanimemente anarchiche, chi aspetta quel
momento per dare fuoco alle polveri o è cieco di fronte alla realtà o è
un codardo! Piuttosto dobbiamo portare nei momenti di rivolta uno
spirito il più possibile libertario e il meno possibile autoritario,
essere presenti nello organizzazioni che nascono dal basso, ma mai
creare le Sante Organizzazioni con scopi teorico-strategici che hanno
tempi lunghissimi.

- Il dualismo tra i generi.

Pur essendo nemico dell’impostazione patriarcale della nostra società ho
sempre preferito al termine femminismo il termine antisessismo. Non è
solo una questione astratta di nomi, per cui l’antisessismo sarebbe
migliore in quanto “più neutrale”, ma per fattori concreti sperimentati
negli ultimi anni. Infatti se pur nella stragrande maggioranza dei casi
le vittime sono le donne e gli autoritari gli uomini sarebbe pericoloso
generalizzare il processo di oppressione in una questione meramente
sessuale. Ad esempio i centri sociali femministi che negli anni settanta
scrivevano “vietato l’ingresso ai maschi”, provocando un’autorità
identica e contraria a quella che volevano combattere; in fondo ma che
colpa ne ha un uomo per dover vedersi reclusa una parte del mondo?

L’anarchia è un concetto contrario ad ogni forma di confine e per ogni
essere vivente, di qualsiasi genere esso sia. Per esempio i comunisti
autoritari seguaci di Marx nell’ottocento predicavano la dittatura del
proletariato, mentre gli anarchici e in particolare Bakunin sostenevano
che questa sarebbe stata un massacro, che avrebbero sostituito ad una
autorità un’altra; a questi i comunisti rispondevano che i proletari
erano gli oppressi e che per prima cosa dovevano conquistare il potere,
poi si sarebbe visto. Allo stesso modo oggi, pur se le donne sono
maggiormente vittime della violenza del sessismo, non per questo va
ipotizzata una battaglia di un solo genere contro il patriarcato e non
magari affrontata una battaglia di tutti e di tutte contro ogni
autorità.

E’ ovvio che i dati concreti parlano di una violenza assolutamente
sproporzionata contro le donne, una violenza contro la quale il
movimento anarchico deve scagliarsi: è ovvio quindi chi sono le oppresse
e chi sono gli oppressori. In ogni caso il ruolo degli anarchici
all’interno del movimento rivoluzionario non è quello di monopolizzarlo,
ma, come dicevamo prima, di farne parte in maniera orizzontante e
libertaria, cercando di contrastare nelle insurrezioni e nella futura
ipotetica rivoluzione ogni atteggiamento autoritario, ogni degenerazione
stalinista in cui le oppresse divengono carnefici.

UN APPROCCIO DINAMICO PER L’INSURREZIONE

L’approccio quindi dell’anarchismo sperimentale nei confronti
dell’insurrezione non è rigido e statico, ma fluido e dinamico, sempre
pronto a modificarsi e a creare nuove idee da sperimentare. Nel
paragrafo precedente abbiamo visto quattro forme di dualismi
particolari, ho scelto infatti proprio queste quattro forme perché il
nostro approccio critico nei loro confronti è in ognuna diverso: nel
dualismo destra-sinistra noi non siamo né di destra né di sinistra e
critichiamo la stupida dicotomia dall’esterno, nel dualismo tra capitale
e Stato noi affermiamo che essi sono la stessa cosa e che vanno
distrutti entrambi, nel dualismo tra organizzazione e antiorganizzazione
noi diciamo che le forme vanno scelte a seconda delle opportunità del
momento, nel dualismo tra generi noi stiamo dalla parte delle oppresse
ma sosteniamo che l’oppressione vada distrutta e non semplicemente
capovolta.

Non esiste quindi una sola realtà verso cui guardare allo stesso
identico modo, se guardiamo il dualismo tra destra e sinistra come
guardiamo il dualismo tra generi, ad esempio, rischiamo di scegliere una
parte e dimenticare il ruolo che essa ha nei meccanismi del potere; al
rovescio se guardiamo il dualismo tra generi come guardiamo il dualismo
destra-sinistra, cioè in maniera “equidistante”, dimentichiamo chi sono
le oppresse e indirettamente verrebbero favoriti gli oppressori; così
come non possiamo comportarci nei confronti del dualismo tra mercato e
Stato come facciamo per l’organizzazione, perché così si comportano gli
opportunisti che scelgono quale mezzo usare per influenzare il mercato o
il potere in un certo modo, ecc.

Non esiste uno schema identico con cui la realtà si forma, è
inaccettabile la visione dialettica per la quale c’è una tesi e
un’antitesi universali, in cui se scegliamo di stare con la tesi (le
donne, gli oppressi, ecc.) allora per rigore logico non possiamo in
altri casi porci equidistanti nei loro confronti (la destra e la
sinistra) oppure esserne sintesi (l’organizzazione); non esiste nessun
rigore logico a cui dobbiamo uniformarci.

Di fronte a questa complessità diventa difficile capire chi è il nemico
e come combatterlo. Se però si guarda oltre la nebbia che si è alzata
con gli ultimi mutamenti del panorama politico, si scopre che i nemici
sono sempre gli stessi, lo Stato e i padroni, e che gli strumenti da
usare sono sempre quelli che la situazione concreta ci mostra più
utili.

ANALISI DI ALCUNE ORGANIZZAZIONE E EVENTI RIVOLUZIONARI IN ITALIA

Allora analizziamola questa realtà presente, fuggiamo della semplici
chiacchiere astratte e andiamo a vedere quali possono essere gli
strumenti giusti per rivoluzionare il mondo. Per ora mi fermerò
nell’analisi semplice di alcune organizzazioni e di alcuni episodi più o
meno rivoluzionarie che ci sono stati in questi ultimi anni in Italia;
tanto per dare un’applicazione attuale alle teorie sperimentali di cui
abbiamo parlato sopra.

Ad esempio la tipica organizzazione anarchica di natura “assiomatica” è
la Federazione dei Comunisti Anarchici, essa infatti si struttura
secondo un modello piramidale dove troviamo 1) un principio primo, la
linea teorica generale, condiviso da tutti i comunisti anarchici; 2) una
strategia a cui i militanti con “unità di intenti” aderiscono nel
momento che scelgono di far parte della FdCA; 3) delle visioni tattiche
e di strategie particolari a breve termine determinate nei Congressi e
sulle quali è possibile dissentire. Un’organizzazione di questo tipo
rappresenta il modello esattamente inverso di quello ipotizzato dal
metodo sperimentale: ovvero una realtà oggettivamente, ma
inspiegabilmente, insopportabile e quindi da modificare, l’unità di
azione e in alcuni casi di organizzazione su temi specifici, e l’ipotesi
di un’alternativa più radicale come può essere l’anarchia o il
comunismo. Io proprio su battaglie specifiche, come l’analisi delle
problematiche economiche e sociali a breve termine, mi sono trovato
spesso in sintonia con le posizioni della FdCA, mentre la FdCA chiede
prima l’unità di intenti e poi la condivisione di strumenti occasionali.

Per passare agli episodi rivoluzionari mi interessa fare il paragone tra
tre diverse modalità di lotta: il metodo del “partito armato”, con gli
omicidi politici delle “Brigate Rosse-Partito Comunista Combattente”; le
azioni delle “Cellule di Offensiva Rivoluzionaria”; il metodo
dell’azione diretta informativa-spettacolare, portata avanti da alcuni
gruppi autonomi che aderiscono alla “Federazione Anarchica Informale”.

Le azioni delle BR-PCC sono state quelle più eclatanti, quindi quelle in
cui il messaggio poteva potenzialmente giungere a più persone, ma anche
quelle, di conseguenza, che hanno sollevato le reazioni più sconcertate.
Uccidere qualcuno è sempre un gesto terribile, un gesto che va calcolato
attentamente. Si potrebbe molto discutere di strategia e condannare
quella del centralismo leninista di cui le BR sono portatrici, ma qui mi
interessa piuttosto fare degli esempi tattici per scopi sperimentali.
Proprio da un punto di vista sperimentale io ho notato soprattutto che
l’omicidio Biagi ha avuto molto più “successo” dell’omicidio D’Antona:
mi è capitato spesso mentre esco dal lavoro o mentre vado a farmi una
bevuta economica al bar, di incontrare persone che nutrono un profondo
rancore verso l’uomo che fu il collaboratore del ex ministro Maroni, un
uomo che teneva lezioni e sperimentava leggi su come sfruttare meglio la
gente, un uomo a cui è stata dedicata una legge come la legge 30 che
prevede contratti precari anche di un giorno, che isola l’individuo da
lavoratore come gli altri a “collaboratore a progetto”. Un tipo un
giorno usò una frase che mi ha colpito e amaramente divertito: «Se
faccio questa vita è colpa di quel porco di Biagi, non potevano
ucciderlo prima? In questo maledetto paese non solo i treni ma anche i
terroristi arrivano sempre tardi!». Per l’omicidio D’Antona questa
reazione popolare non c’è stata, si è percepito di meno, secondo me, chi
era questo D’Antona, cosa faceva e che danno provocava alla “classe”.

Chiaramente le mie analisi sono fatte in ottica sperimentale, un’ottica
che non interessa minimamente i brigatisti, nei loro deliri sono
convinti di aver “colpito il cuore dello Stato” e nessuna analisi
riuscirebbe a dissuaderli; come non interessa ai brigatisti la
diffusione delle loro idee, altrimenti non produrrebbero quelle lunghe,
noiose e illeggibili rivendicazioni. Però analizzare questi episodi, che
in un certo modo hanno fatto la nostra storia recente, può essere sempre
utile. Per esempio, sempre sperimentalmente, io mi sono fatto un’idea
delle ragioni di questa diversa partecipazione di massa alle due azioni
delle BR-PCC: nel primo caso c’era al governo il centro-sinistra e
l’opposizione era minoritaria, uccidere uno sconosciuto in quel contesto
significava terrorizzare e dividere anche quelle poche persone che si
opponeva al governo D’Alema e alla sua politica di guerra e
sfruttamento; nel secondo caso, invece, Presidente del Consiglio era
Berlusconi e si stavano preparando i più grossi scioperi mai visti in
Italia in 20 anni, pochi giorni dopo l’omicidio ci sarebbe stata una
enorme manifestazione della CGIL a Roma contro il governo, insomma
milioni di persone odiavano le proposte di Maroni e dei suoi
collaboratori. Da un ottica quantitativa, che tanto piace ai partiti
armati leninisti, nel governo D’Alema c’erano mettiamo un milione di
persone che esprimevano conflittualità verso la classe dirigente e anche
se ne avessero “pescato” uno avrebbero appena raggiunto i mille
simpatizzanti; nel governo Berlusconi con un conflittualità
quantitativamente più diffusa è chiaro che il successo del gesto sarebbe
stato maggiore. Vediamo come il dualismo destra-sinistra di cui
parlavamo prima è stato un freno enorme alla diffusione del pensiero
brigatista.

Le azioni delle COR, al contrario, sono state quelle meno eclatanti,
conosciute praticamente solo nei territori in cui esse si sono svolte.
Per quanto si tratti di metodologie più utili e secondo me anche
eticamente più condivisibili, il progetto generoso di “unire comunisti,
anarchici e antimperialisti” è passato nel più totale silenzio. Anzi,
paradossalmente si è creata più confusione e più informazione nel
momento degli arresti di alcuni compagni che nel momento delle azioni;
un po’ come è successo anche pochi giorni fa per la montatura sul
“Partito Comunista Politico Militare”, che esisterebbe da anni ma che
non ha mai fatto azioni.

Secondo me invece bisognerebbe capovolgere questo rapporto, secondo cui
trovi più solidarietà quando lo Stato colpisce un innocente rispetto a
quando tu colpisci lo Stato. Purtroppo è un’ottica difensiva che non
dipende dalla reale volontà degli individui coinvolti, ma anche dalle
condizioni oggettive in cui lo scontro emerge; proprio per questo
un’analisi sperimentale della situazione potrebbe essere utile.

In fondo le azioni che hanno avuto più “successo” e meno repressione,
sono state quelle fatte dalla Federazione Anarchica Informale, o meglio
da alcuni suoi gruppi, mentre altri autonomamente hanno portato avanti
attacchi di cui sono venuti a conoscenza meno persone. Da un punto di
vista offensivo alcuni gesti sono riusciti a finire all’interno del
circo mediatico e quindi alcuni messaggi sono arrivati anche alle
orecchie di molti sfruttati che non sono coinvolti nel “movimento”.
Faccio sempre degli esempi particolari e personali per rendere l’idea:
conosco molte persone che vivono quotidianamente l’oppressione, ma che
non si interessano di politica, non vanno alle riunioni, non fanno parte
delle poche decine di persone che vanno ai presidi sotto i carceri per
l’Italia, non entrano nei centri sociali, si fanno le loro 6 o 8 o anche
10 ore di lavoro e tornano a casa o vano a giocare a carte al bar e a
farsi una bevuta. Individualità che, giustamente a mio parere, nel poco
tempo libero che hanno, non vogliono sprecarlo in un centro sociale con
giovani rivoluzionari e intellettuali impegnati (mantenuti dai
genitori). Eppure a queste persone è capitato decine di volte di
accendere la TV la sera e sapere che c’è stata una certa azione,
dedicata magari ad un morto ammazzato di botte in carcere o trivellato
ad un posto di blocco; e siccome si tratta di soggetti che in carcere ci
sono già stati, o che di perquisizioni e percosse ai posti di blocco ne
hanno subiti, chiaramente non per politica ma magari per possesso di
droghe o per piccoli reati, molte volte capita che si comprano il
giornale o che ti chiedono in che sito trovare o se glie le stampi tu le
rivendicazioni.

Ora io chiaramente non so se è proprio questo tipo di appoggio che
cercano i gruppi e gli individui che fanno parte della Federazione
Anarchica Informale, esso non è chiaramente chiesto in nessun documento,
eppure io ho voluto portare a conoscenza per arricchire il dibattito i
dati sperimentali che ho raccolto nella mia realtà. Probabilmente le
opinioni, all’interno degli stessi gruppi rivoluzionari, sono diverse e
quindi non tutti la pensano allo stesso modo.

E’ però un dato di fatto importante che, al di la se a colpire siano gli
anarchici o i comunisti, i veri oppressi a cui dedicare la nostra
attenzione oggi, non sono quegli elementi avanzati abbonati alle riviste
di movimento o militanti di circoli, ma proprio quelle persone che per
la loro situazione non hanno né mezzi né tempo e né voglia di fare
politica a livello professionale, eppure ogni tanto esplodono assaltando
supermercati, riprendendosi le fabbriche e i quartieri, o quando sono
soli e in pochi attaccando con azioni violente i simboli di ciò che
considerano ingiusto. Azioni forse tecnicamente inadeguate, che per
capacità materiali non vanno oltre il comune “teppismo”, ma che
esprimono una certa sincerità nella loro voglia di conflitto.

Io penso che se non ci mettiamo dalla parte di queste persone, non
riusciremo mai a capire quali sono le modifiche di questa società, come
si pone oggi il rapporto tra Stato e capitale, quali sono gli obbiettivi
a medio e a breve termine, e dove dobbiamo intervenire.

Michele Fabiani

michele@???




Aggiungi i tuoi commenti >>
visualizzazione stampabile con i commenti atom feed of commentsrss feed
of comments RSS and atom feeds allow you to keep track of new comments
on particular stories. You can input the URL's from these links into a
rss reader and you will be informed whenever somebody posts a new
comment. close help RSS and atom feeds allow you to keep track of new
comments on particular stories. You can input the URL's from these links
into a rss reader and you will be informed whenever somebody posts a new
comment.
hide help
vedi storie per data | feature | ultimi commenti | immagini

Visualizza prima i commenti più recenti
Visualizza solo i titoli dei commenti
save preference
Commenti (1 of 1)
Vai al commento: 1
risposta a Michele
author by compagnapublication date sab 09 feb, 2008 11:15

Questa volta Michele qualcuno ha postato un vero e proprio saggio
filosofico tuo!
e io non sono una filosofa, la mia formazione è quella di una
sindacalista di base;-)
sono una ferroviera in pensione che si è fatta tutta la trafila dei cub,
dei consigli, dei comitati autonomi.
Provo lo stesso a risponderti, a confrontarmi con te.
Intanto non sono d'accordo che il processo cognitivo avvenga" in maniera
del tutto irrazionale", è vero la conoscenza avviene attraverso ipotesi
ed
sperimenti"attraverso un complesso confronto con i dati in possesso" che
poi si confrontano con i dati della realtà circostante; ebbene tutti
questi
passaggi mi paiono razionali e non irrazionali.

Ora io credo che ipotizzare e sperimentare non sia una peculiarità solo
degli anarchici, ma di qualsiasi rivoluzionario libertario.Senza ipotesi
di
un mondo altro e senza i tentativi di sperimentare queste ipotesi non
c'è rivoluzione; è quella che io definisco utopia creativa..
Ora tutto questo tuo discorso critico su dettutivismo e intuizionismo,
tutta la tua critica a questi approcci deterministi al processo
conoscitivo, la dove dici che bisogna essere ampliativi, io capisco bene
cio' che ce tu
intendi dire, ma di questi tempi può ingenerare nei meno avveduti delle
confusioni, su cui vari opportunisti possono giocare.
"paradossalmente le concezioni identitarie non solo non ampliano il
soggetto che le predica, ma addirittura col passere del tempo lo
indeboliscono e lo rimpiccoliscono".
Sai quanti opportunisti su una frase come questa si fiondano per
giustificare le peggio ammucchiate!
Allora qui ribadisco che tu stai parlando di essere ampliativi in
direzione rivoluzionaria. e tra rivoluzionari-

Infatti non è A= A che fa la rivoluzione, ma A+ A che faranno la
rivoluzione.

Nel senso che A ed A con le loro differenze, con le loro diversità e
peculiarità solo se hanno coscienza dell'insopportabilità della non vita
presente possono fare un cammino comune rivoluzionario.
Ora come marxista sai che io invece sono convita che il futuro sarà
Anarchia, ossia quando non ci saranno più le classi non ci sarà più né
proprietà né leggi che la tutelano, quindi niente Stato, niente
ministri, niente,giudici, niente galere, niente CAPI, eh, si cari
borghesi del cazzo che state sempre a cercare il CAPO tra di
noi, mentre noi vogliamo un mondo senza CAPI!!!!!

Comunque hai ragione l'importante è sperimentare questo volontà e questo
sogno in divenire che abbiamo, io che sono capa tosta sono convinta che
si realizzerà, ma l'importante è sperimentarla questa unica via di
salvezza: LA RIVOLUZIONE:

Condivido che la via rivoluzionaria sia un percorso dialettico, che vede
la sperimentazione, appunto, di tutte le forme di lotta, secondo i tempi
e il
grado di coscienza di quelli che la debbono fare, che per me lo sai è il
proletariato,valutando bene i rapporti di forza, il terreno di scontro e
tutte quelle cose che in una guerra, perché quella è, si chiamano
tattica e strategia.

In merito all'indulto Michele pure io sono stata contro, è vero i
prigionieri sono usciti, per poco però, le galere sono di nuovo piene,
era e
resta un obiettivo riformista, fatto per le necessità di rendere più
gestibili le galere; non ci possiamo accontentare di risultati limitati
e caduchi, i nostri sforzi debbono tendere all'abolizionismo della
carcerazione, cioè all'abbattimento di questa società che fa passare la
maggior parte delle persone dal carcere sociale alla galera e che
garantisce ogni impunità per i potenti.
Bisogna anche avere ben chiaro in mente che una società senza galera
anche quella ci sarà solo quando la classe degli sfruttatori non avrà
più il potere.Ma è importante ribadire questo scopo finale perché tutte
le "rivoluzioni" che si sono realizzate nel tempo hanno sempre lasciato
la galera.

Ma che tu sia stato contento nel vedere esseri umani liberi ,se pure per
poco, mi dice ancora una volta della tua dolcezza e umanità.

E siccome abbiamo parlato di proletari e tu chiedi chi sono i proletari
ora,caro Michele, ti dico che i proletari sono tutti quelli che hai
citato gli operai, i precari, e quelli che muoiono in Africa e in tutto
il mondo, tutti sono proletari, Michele, tutti noi che siamo ridotti a
merce, e od ora anche in merce-carne da cannoni in maniera massiva.
.Tutti anche se non tutti hanno la coscienza di
essere proletari.
Di sicuro il rivoltoso delle Banliueues è un proletario l'iscritto al
partito comunista francese, beh, sappiamo quello che è!!!!
il clandestino che vende fumo e il salariato che vende il suo lavoro,
non sono rivoluzionari nessuno dei due, tutti e due partecipano al
perpetuarsi del Sistema Capitale.

Allora di destra e sinistra non parlo, perché in effetti ne ho piene le
tasche come tutti gli abitanti di questo paese di destra e sinistra!!!!!
Pensa te che ora non solo ci appallano con la campagna elettorale, di
nuovo,nostra ma pure con quella americana!!!!
Destra e sinistra li mando a fare in culo, e via.
Invece mi interessa affrontare il problema del dualismo.
Non solo la nostra civiltà, Michele, è fondata sul concetto di bene e
male,qualsiasi civiltà è stata fondata ed è fondata sul dualismo bene e
male, dai primordi della storia a quella islamica a quella cattolica a
quella ebrea. a quella protestante a quella laica, se ancora ce n'è
una!....: bene quello che è conforme a chi è al potere, male
quello che è contro il potere e le sue leggi.
Il concetto ha un'origine religiosa che poi è stato ribadito anche nel
trionfo della rivoluzione borghese, tanto che i rivoluzionari francesi
avevano il culto della dea Ragione, agli Dei o al Dio nei vari processi
storici è subentrata la divinità Stato.
Quindi se è vero, per me, che la realtà e il processo conoscitivo non
può leggersi né capirsi in maniera manichea :conflitto bene male, che
risulta riduttivo di fronte alla complessità dei fenomeni, resta però
indubitabile il fatto che
tale dualismo non è stato inventato, diciamo così', ma nasce anche
quello da una sperimentazione e da un sentire reale proprio di ogni
individuo, su cui il potere innesta poi le sue codificazioni.
Se uno mi dà una randellata in testa senza ragione o per ragioni sue,
Michele, io lo avverto come male, non solo per il dolore ma anche per
l'ingiustizia che subisco, e su questo che poi si innesta il meccanismo
della riparazione del torto , voglio che il randellatore sia punito,
voglio un risarcimento al danno subito, e questo fa capire il perché
l'accettazione della legge e della galera sia così diffuso, come è
difficile ipotizzare una società senza galera.
In merito alla questione del dualismo, esce la differenza tra te e me e
cioè la differenza fra un anarchico ed un comunista, un anarchico in
effetti da una lettura sempre individuale della realtà, un marxista
invece da una lettura di classe, su questo punto non ci piove, per me,
le classi sono due: sfruttatori e sfruttati, padroni delle marce merci e
del capitale e prestatori di merce lavoro, quindi il nemico è sempre
quello è sempre lui il Capitale, concordo con te, invece sul fatto, che
bisogna oggi individuare e analizzare qual'è il suo punto di debolezza
oggi per "indirizzare la conflittualità in senso libertario".

Dualismo Stato e capitale:

Una cosa è quello che dicono, mi riferisco ai capitalisti e ai loro
servi, sia amministratori che intellettuali, una cosa è la realtà.
Lo Stato è sempre visto come un super-partes, un regolatore del
conflitto, anche di quello tra capitale e lavoro, che debbono essere
ristretti nei limiti che lo Stato codifica, la fruibilità di tali limiti
e la loro definizione cambia secondo le esigenze del Capitale di cui lo
Stato è lo strumento di attuazione nella realtà tangibile; per cui in
momenti di ampliamento di mercato si avrà il cosi detto welfare, in
momenti di crisi acuta come l'attuale
si ha l'abolizione di tutte le tutele del welfare.
Questo a prescindere dalla codificazione destra sinistra, che sono
codificazioni di comodo, per restare all'esempio degli Stati uniti di
cui parli, non si capirebbero le posizioni di schwarzenegger, il
governatore della California che è divenuto un paladino
dell'ambientalismo pur essendo di destra, se non si tenessero presenti
gli interessi che rappresenta.
Lo Stato con i suoi governi destri e sinistri resta il comitato d'affari
della borghesia.
Tu mi dici, e giustamente, pure i comunisti hanno lasciato l'apparato
Stato, infatti ma quelli avevano fatto una rivoluzione socialista non
comunista!
A parte il fatto che finché ci saranno altri Stati dovrai per forza
tenere uno Stato, dato che il mercato è globale, ora ancora di più,
perché bisogna metterselo bene in testa ora come ora O LA RIVOLUZIONE
SARA' MONDIALE O NON SARA'!
Questo perché mondiale è il capitale e mondiale è la classe che gli si
oppone il proletariato.

Ora io non sono affatto una fan di Totonno Negri,
però debbo dire che le sue analisi partono bene e poi finiscono male,
finiscono cioè a portare acqua al mulino del capitale.
Perché, Michele, è fuor di dubbio che il governo reale dell'economia è
nelle mani delle multinazionali e che gli Stati nazione sono in profonda
crisi sono superati, non ha caso è stata creata l'Europa unita e una
costituzione europea: gli Stati Nazione di Napoleonica memoria ora come
ora non servono alle esigenze del mercato globale.
Dello Stato Nazione resta solo l'apparato repressivo, destinato a breve
termine ad essere soggetto del tutto alla polizia internazionale, agli
eserciti internazionali.
Che lo Stato Nazione non conta più un cazzo basta che pensi
all'assoluzione per la strage del Cermis, dove uno Stato che ha le
multinazionali più forti ha avuto la supremazia su uno Stato più debole
economicamente.
In ogni caso di debolezze sempre si parla quando si parla di Stato
Nazionale, infatti gli Stati Uniti d'America, questa cosiddetta potenza
che vuole imporre il suo dominio su scala mondiale, poi nella realtà ha
tutto il suo debito interno nelle mani della Cina, altro Stato
sfruttatore dei proletari alla grande; tanto che le ripetute crisi
borsistiche che vediamo in questi ultimi tempi sono la causa di
conflitti tra multinazionali di vari Stati, da quelli cinesi a quelli
arabi a quelli europeo a quelli russi.
Il bastone del comando sta in mano alle multinazionali che in massima
parte sono a capitali di origine mafiosa, quindi in ultima analisi
possiamo dire che il bastone del comando sta in mano alle mafie.
Lo Stato Nazione Michele serve ora come ora per controllare e
incarcerare il proletariato e per incarcerare quelli che dicono le cose
che dici tu e che dico io.Serve solo per fare finanziarie che ci
affamano per gli interessi delle multinazionali, e per elargire aumenti
di 1.135 euro al mese per i parlamentari che fanno i servi delle
multinazionali nel parlamento, mentre le pensioni come la mia sono
quelle che sono: roba che se ti scaldi non mangi se mangi non ti scaldi!
E le spese per gli armamenti non sono antieconomici per nulla, quello
delle armi è l'unico mercato che tira, come si suol dire, in ogni caso
serve per incrementare gli introiti delle multinazionali, appunto, e
serve anche per esercitare il controllo e la sottomissione a livello
globale.
Non ci sarà mai uno Stato capitalista che abolirà la struttura dei
portatori di denaro, che stato capitalista sarebbe?
Qui c'è un flusso di capitali ininterrotto !
talmente mondiale e ramificato che qualche magistrato che voleva vederci
un pò chiaro ha dovuto gettare la spugna, figurati!
Questo per dirti che tu e Bonanno mi pare che avete una concezione
idealista dello Stato e del capitale.
Da quanto detto fino ad ora è evidente che non sono d'accordo
sull'organizzazione parcellizzata,
e transeunte che si fa su problemi specifici e su questioni particolari,
la realtà è così complessa che c'è bisogno di una organizzazione che
abbia il quadro generale di questa complessità, il problema reale
dell'organizzazione per me resta sempre uno, avere la capacità di creare
una organizzazione duttile e nello steso tempo ferrea nella sua
determinazione, dove ci sia un equilibrio armonico fra esigenze
individuali e corpo collettivo della classe, dove non si riperpetuino i
ruoli di comandati e sottoposti, un organizzazione che in sé prefiguri
già i rapporti che si vogliono istaurare in futuro, quando non si
prenderò nessun palazzo di inverno,ma tutti vivremo in libertà e
sostegno e amore reciproco finalmente!
Per questo non mi metto a parlare delle varie organizzazioni che hai
analizzato tu, perché mi hanno rotto pure quelle Michele!
Che stanno a ripresentare in varie salse sempre la forma partito, coi
soliti soloni che decidono tutto.
No, dico, dimmi te se io mi debbo mettere a parlare, per esempio, delle
BR, che pigliano uno, lo mettono al gabbio senza sapere cosa cazzo
farci,dimmi te se io debbo parlare di qualcuno che dice di fare il
rivoluzionario per poi finire a fare il carceriere e di fatto inventare
il 41bis!

No ci hai ragione tu i nostri referenti sono
" proprio quelle persone che per la loro situazione non hanno né mezzi
né tempo e né voglia di fare politica a livello professionale, eppure
ogni tanto esplodono assaltando supermercati, riprendendosi le fabbriche
e i quartieri, o quando sono soli e in pochi attaccando con azioni
violente i simboli di ciò che considerano ingiusto. Azioni forse
tecnicamente inadeguate, che per capacità materiali non vanno oltre il
comune “teppismo”, ma che esprimono una certa sincerità nella loro
voglia di conflitto".

Ti mando un caro saluto Michele e spero di rivederti presto e di fare
questi discorsi di persona, guardandosi in faccia, che parlarsi di
persona è tutta un'altra cosa.

sai chi sono;-)