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Autor: Monti Virginio
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A: forumlucca
Assumpte: [Forumlucca] Fw: [antiamericanisti] Kosovo: «Sarà una giornata particolare. Fuori dalla legalità»

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From: daily932000
To: antiamericanisti@???
Sent: Tuesday, February 19, 2008 1:06 AM
Subject: [antiamericanisti] Kosovo: «Sarà una giornata particolare. Fuori dalla legalità»


Intervista Parla padre Ksenofont del Monastero di Prizren, distrutto
nei pogrom del marzo 2004: «Finché c'è la Serbia, noi abbiamo fiducia»

«Sarà una giornata particolare. Fuori dalla legalità»
Il nodo non è il «magico» 17 ma il giorno dopo, quando gli albanesi
capiranno che miseria e mafia continuano
Tommaso Di Francesco

Il Monastero dei Santi Arcangeli, isolato nei pressi di un fiume,
attaccato alla montagna di Prizren, molto bello, è stato assaltato e
distrutto nel marzo 2004, c'è anche un documentario che lo mostra,
(«Enclave Kosovo» di Elisabetta Valgiusti dell'organizzazione
Salvaimonasteri), sotto gli occhi dei militari tedeschi del
contingente Kfor-Nato. Ora la parte dove vivono i monaci è stata
ricostruita. Molti altri monasteri e chiese, ben 150, sono stati
distrutti in Kosovo in questi nove anni di protettorato Nato e Unmik.
Massimo Cacciari ha denunciato la cancellazione «di un patrimonio
fondamentale, l'anello mancante per capire l'iconografia del nostro
Medio Evo». Del resto qui ci sono abituati: il monastero dei Santi
Arcangeli era già stato completamente distrutto nel XVI secolo dai
turchi. A padre Ksenofont, che è un giovane monaco, ha 32, e che
abbiamo conosciuto nel grande monastero di Decani, sempre impegnato a
tessere rapporti con i contingenti, i visitatori, le delegazioni, e
che mostra uno stile aperto e ben informato della contemporaneità,
abbiamo rivolto alcune domande su come vivrà, domani, questa specie di
«giornata particolare». Nella quale la leadership kosovaro albanese
separerà - con l'appoggio di mezzo mondo - in modo unilaterale dalla
Serbia il «Kosmet», vale a dire il Kosovo e la Terra della chiesa (la
Metohja) che ogni serbo considera come fondativa della propria
cultura, storia e religione.

Cosa teme da questa proclamazione d'indipendenza? C'è il rischio di un
esodo dei serbi rimasti?

Sono molto preoccupato. Il mondo sa, guarda più o meno silenziosamente
gli avvenimenti e in qualche modo li approva. Qui siamo stati
testimoni della distruzione di più di 150 chiese e monasteri serbo
ortodossi, un terzo dei quali medioevali, dell'espulsione di più di
250 000 non-albanesi, una vera pulizia etnica, di un culturicidio e di
un un genocidio contro il popolo serbo. Nelo stesso periodo la
criminalità organizzata dei clan mafiosi albanesi non solo non è stata
fermata in Kosovo, ma ha esportato le sue attività in tutta Europa.
Dunque, i risultati della missione internazionale, sia della Nato che
dell'Unmik-Onu, sono stati molto lontani e comunque diversi da quello
che era previsto nella Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza
Onu. Dovrebbe esserci una sorta di maggiore rispetto e un
risarcimento. Invece al contrario, nonostante queste mancanze gravi,
gli Stati uniti e l'Unione europea fanno finta di nulla trascurando
questo disastro per continuare con il loro salto mortale in Kosovo.
Aiutando gli albanesi del Kosovo e Metohija fino al punto di
riconoscere la proclamazione unilaterale d'indipendenza di questa
provincia ancora serba secondo il diritto internazionale. Tutti i
timori della nostra comunità si possono esprimere in una sola
proposizione: con la creazione di questo stato che ha una esplicita
natura mafiosa, con l'amputazione alla Serbia del territorio più
importante per i serbi, si sta creando un luogo monoetnico e
monoconfessionale dove, nonostante le belle dichiarazioni dei leader
politici kosovaro albanesi - però i latini dicevano res, non verba; e
purtroppo di res non è stato realizzato nulla - a lungo termine ci
sarà posto solo per albanesi. Così, all'inizio del ventunesimo secolo
l'Europa civilizzata sta aiutando la nascita di uno stato non solo
monoetnico ed etnicamente pulito, ma anche uno stato criminale e
mafioso, un cancro economico, politico, ma soprattutto morale, ad
limina europeorum.

A Pristina sarà festa. Canti, balli, bandiere a stelle e strisce,
duemila giornalisti sull'evento. Come vivrà questa domenica?

Per noi la domenica, come dice il suo nome, è il Giorno del Signore,
dedicato al signore, alla sua Resurrezione. Così, come ogni altra
domenica, è molto importante, come lo sarà la prossima e quell'altra
ancora. Dal punto di vista politico, qualsiasi cosa succeda domenica
17 febbraio, non ha rilevanza legale. Per raccontare quanto sia ancora
più tragicomica la situazione, è scontato che anche per gli stessi
albanesi il problema non è domenica 17, ma lunedì 18 febbraio, cioè il
giorno dopo. Quando si capirà che questo 17 non e una giornata magica
e che il giorno dopo la festa la realtà rimane sempre quella,
ugualmente tragica, nella miseria e nella disoccupazione nonostante i
giganteschi aiuti internazionali arrivati, e sempre sotto il giogo
della criminalità organizzata.

Il Patriarcato da Belgrado ha dato indicazioni per cerimonie
particolari a Prizren e negli altri monasteri a Decani e Gracanica?

Non aspettiamo questa giornata così particolare. Ogni giorno, in tutti
monasteri e in tutte le parocchie, la Chiesa prega, per i fedeli e
anche per i non fedeli, per gli amici e molto anche per i nemici, per
la pace e la giustizia su questa terra e tra gli uomini, la più
perfetta creazione divina. «Sia la tua Volontà», preghiamo ogni giorno
nel Padre Nostro e ripetiamo le parole evangeliche: «Gloria a Dio nel
più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà».
Preghiamo sempre ed ancora che prevalga la ragione e il compromesso,
la giustizia e la legge. E sarà così. Forse ora siamo in un periodo
nel quale vincono e decidono la forza e violenza, ma verrà il tempo
della giustizia e della verità.

La Serbia ha «annullato» l'indipendenza, non la riconoscerà. Il Kosovo
e la Metohija, la Terra della Chiesa, continuerà a dichiararsi
«Serbia». Che cosa accadrà dopo la proclamazione unilaterale ai
monasteri e ai monaci? C'è il rischio che diventino un "tour
turistico" in una terra ostile e senza più la comunità dei fedeli, o
fuggiti o sempre più terorizzati?

Kosovo e Metohja rimangono terra serba. Le decisioni illegitime non
possono cambiare questo fatto. Fino a una decisione legale, risultato
di un compromesso e di un accordo sia per la Chiesa serba che per la
popolazione serba. Ma i rischi che lei indica ci sono tutti. In Kosovo
negli ultimi otto anni sta prendendo piede una specie di
«kosovarizzazione» del patrimonio culturale e spirituale serbo ed
ortodosso. Stanno riscrivendo la storia, e all'improvviso i nostri
monasteri e le nostre chiese, alcune quasi millenarie, stanno
diventando le «antiche chiese illiriche, arberesh, albanesi». I vari
ministeri del governo provvisorio del Kosovo albanese pubblicano
opuscoli, libri e guide dove si offrono questi «tour» senza menzionare
il fatto che questo patrimonio appartiene alla chiesa serbo ortodossa
o al popolo serbo. Un aperto e violento culturicidio, che nessuno
cerca di impedire o di sanzionare. Il ruolo della Chiesa, nonostante
tutte le difficoltà, rimane quello di dare conforto, con l' immortale
ed eterno: sursum corda! e fare di tutto per aiutare il nostro popolo
a rimanere e sopravvivere. Finché esiste la Serbia noi siamo legati ad
essa. Non dobbiamo perdere la fiducia, anzi dobbiamo avere coraggio.
Nulla è perduto. Nella speranza che il mondo non farà danni così
irreparabili che la via imboccata non risulti a quel punto una strada
senza ritorno.



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