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Auteur: blanca
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À: forumlucca
Sujet: [Forumlucca] Pro-Life
Non aggiungo commenti. Semplicemente ci sono opinioni che devo
circolare.

Baci

ILa

Ps.
Ah, solo una cosa, il mifepristone, cioè il RU-38486, la pillola
abortiva di cui parla la Aspesi è diffusa in tutta Europa tranne in
tre paesi.

http://it.wikipedia.org/wiki/Mifepristone



LA STORIA
Il ritorno del maschio
di NATALIA ASPESI, La Repubblica

Non era mai capitato neppure ai tempi tragici della
clandestinità, quando i giornali non pubblicavano per
pudore la parola infamante, aborto; quando
prosperavano cliniche con professoroni che liberavano
a caro prezzo dall'incomodo le signore abbienti.

Mentre le altre, una moltitudine silenziosa di donne
umiliate, precipitava nelle mani di improvvisate
mammane (che venivano anche chiamate per non offendere
i lettori, fabbricanti di angeli) o si arrangiavano
malamente da sole. Di clandestinità, allora, sino
all'approvazione della legge 194 nel 1978, spesso le
donne morivano o restavano per sempre rovinate.

Pare insopportabile, in tempi che dovrebbero essere
civili, essere costretti dal vergognoso episodio al
Policlinico di Napoli, a ricordare, riraccontare per
l'ennesima volta, storie del passato di solitudini
femminili desolate, dato che quella legge vige da 30
anni e ha fatto precipitare il numero di aborti (dal
1982 del 44%).

Ai tempi della criminalizzazione, quando per il nostro
codice l'aborto era ancora un delitto 'contro
l'integrità e la sanità della stirpe', per esempio nel
1968, al 53° congresso di ostetricia a Bologna, si
parlò di 3.500.000 aborti procurati l'anno, stabilendo
quindi che nel periodo fecondo due donne su tre
abortivano. Era probabilmente una esagerazione, tanto
che l'Onu parlò per l'Italia di 1.200.000 aborti: nel
2006 sono stati 130.033, un bel salto.

La legge puniva da 2 a 5 anni sia la donna che chi
l'aiutava ad abortire, se si arrangiava da sola, il
delitto pareva meno grave e la pena era più mite, da 1
a 4 anni. In realtà la legge chiudeva tutti e due gli
occhi: in dieci anni, dal 1955 al 1965, le statistiche
giudiziarie parlano di 150 casi di aborto procurato,
mentre quelle mediche ne registrano milioni.

Quel dolore solo femminile ce l'hanno ricordato il bel
film rumeno 4 mesi tre settimane e 2 giorni di
Cristian Mungiu, Palma d'oro a Cannes nel 2007, (che
ha scioccato per la ripresa del feto) e ancor prima
Mike Leigh in Il segreto di Vera Drake, Leone d'oro
alla Mostra di Venezia 2004, e addirittura nel 1988,
Claude Chabrol, con Un affare di donne.


Ma ciò che è avvenuto nell'ospedale napoletano, è
talmente clamoroso e cinico da rasentare un atto di
terrorismo, come terroristica sta diventando la
campagna pro-life che potrebbe stravolgere sino alla
ferocia l'andamento di quella elettorale.

Susanna Tamaro, che lancia in questi giorni il suo
nuovo romanzo, Luisito, invitata da Giuliano Ferrara a
entrare nella lista dei suoi candidati anti-aborto, ha
gentilmente rifiutato, con una lettera pubblicata ieri
sul Foglio, dichiarandosi tuttavia con lui 'nella
passione con cui tu porti avanti questa tua lotta per
la vita'.
Probabilmente non sapeva ancora dell'irruzione di ben
sette poliziotti nell'ospedale napoletano, con
interrogatori alla madre ancora sotto anestesia, ai
medici, alla vicina di letto, e al sequestro del
'corpo di reato', il feto.

Un evento così punitivo, tenebroso e inutile
(l'intervento rispettava la legge) segna l'inizio di
una guerra per niente etica e del tutto politica, per
assicurare al movimento di Ferrara e quindi alla
destra l'appoggio elettorale della potente macchina
del clero, una guerra che potrebbe farsi sempre più
feroce e vergognosa. E intanto i già pochi medici che
non si sono dichiarati obiettori di coscienza, dopo
questa offensiva poliziesca, adesso saranno sempre più
tentati di farlo; ma non basterà a convincere le donne
che hanno deciso di abortire, a cambiare idea, solo
che potrebbe succedere che, pur in presenza di una
legge che lo consente, non avranno altra scelta che
tornare ai tempi della clandestinità, rivolgendosi a
medici magari obiettori e molto costosi, come è già
capitato, o a Vere Drake si spera più abili del
passato, o a trafficanti di Ru486.

Le nuove vittime saranno soprattutto le immigrate,
abbandonate a se stesse e a una vita precaria che
potrebbero non voler imporre a un incolpevole
nascituro. E' interessante che i nostri pro-life che
odiano la vita e soprattutto il potere delle donne sul
loro corpo, un tempo patrimonio maschile di scambio,
abbiano scelto come primo campo di battaglia quella
parte della legge che sposta al secondo trimestre di
gravidanza la liceità dell'aborto terapeutico se il
feto risulta malformato al punto da assicurargli, se
dovesse nascere, una morte precoce o una vita-non
vita, e alla madre, ai genitori, un futuro di
inevitabile quotidiana sofferenza. E alla società
quell'organizzazione di cure e aiuto che oggi non
riesce ad assicurare a tutti i cittadini e non solo a
quelli colpiti da handicap.

Puntando per ora sull'aborto terapeutico lo
ingigantiscono come una specie di genocidio, che non
è, arrivando al 2,7% di interventi dopo la 13esima
settimana; e cui obbligano a immaginare una parvenza
di vita in quel feto malato, con inevitabili dubbi,
disagio, sensi di colpa. E' inevitabile che poi si
passerà, malgrado le attuali assicurazioni,
all'assalto agli articoli di legge che consentono
l'aborto nel primo trimestre, in uno scontro assurdo
attorno a una legge di cui qualsiasi donna credente e
no può non servirsi, non impedendo però alle altre,
sempre di meno, di farlo.

Ciò che è impressionante in questa offensiva lunatica
è che tutti quei raduni di alte gerarchie in veste
nera e zucchetto cremisi, tutte le perorazioni di
agguerriti e spesso mendaci predicatori cosiddetti
laici, avvengono tra maschi. A parte qualche sporadica
donna (Binetti, Scaraffia, Tamaro, e altre) è
soprattutto maschile la piccola folla che vuole
decidere su qualcosa che riguarda solo il corpo della
donna, il suo cuore, il suo futuro, il suo legame col
figlio. Una sofferenza, un senso di impotenza, una
paura che gli uomini non conosceranno mai, per cui
alla loro spietata etica in difesa astratta di una
generica vita, dovrebbe sovrapporsi il rispetto per
chi sceglie di non diventare madre, di non volere
mettere al mondo un figlio non desiderato o casuale
cui non potrà assicurare il necessario amore.

Questi paladini di qualcosa che chiamano vita
soprattutto pensando di dare lustro politico alla
loro, sanno poco dei tempi, sino a qualche decennio
fa, in cui gli uomini erano bravissimi a far di tutto
per portare a letto una ragazza, a lasciarla
disgustati perché un gentiluomo sposa solo una vergine
e, nel caso la sedotta pasticciona rimanesse incinta,
a lavarsene le mani, nell'approvazione generale: 'Non
sono stato io!' era il nobile grido. Mi assicurano che
anche oggi, le sventate che non si preoccupano da sole
di difesa contraccettiva, se lo sentono dire da quelli
che si chiamano sportivamente partners, cui non passa
per la testa che anche loro hanno delle
responsabilità.

Prima del liberatorio '68, c'erano ancora genitori che
cacciavano di casa le ragazze madri il cui figlio
senza padre diventava il bastardo. Adesso la modernità
suggerisce altro: e per esempio in Desperate
Housewives la perfetta Bea per non fare brutta figura
coi vicini, nasconde la figlia nubile incinta e fa
finta di essere lei la madre attempata del bambino che
nasce. Ma in passato, importava a qualcuno il destino
di una madre e di un figlio colpevoli di non avere un
pater familias? Importa oggi a qualcuno che si
inginocchia davanti a una non meglio specificata vita
(pur che sia in forma di embrione o feto, perché le
migliaia di donne, vecchi e bambini che muoiono
orrendamente in Darfur non suscitano il minimo
interesse)?.

In tutto questo sterile vociare, con eventi vergognosi
come quello di Napoli, manca una voce, non quella dei
politici o dei teologi o dei medici che infatti dicono
la loro, manca quella degli eventuali padri. Le donne
alla fine, sono sempre sole, ogni responsabilità di
vita è troppo spesso solo loro. Non basta offrire
elemosine, come se avere o non avere un figlio fosse
solo una questione di soldi. Non basta chiamarle
assassine come ha fatto ridicolmente e colpevolmente
Ferrara: si tratta di un termine storico, anzi antico.


Un indimenticabile vecchio articolo di Guido
Ceronetti, lo scrittore che sosteneva la necessità
della legge che liberasse le donne dal marchio di
criminali (contro la stirpe poi) cominciava più o
meno: "Un'assassina ogni mattina mi rifà il letto,
un'assassina mi prepara la colazione,
un'assassina...".

(14 febbraio 2008)





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