[inquieto] primva vera 2008

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著者: deserto dei tartari
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To: caffa mailing List
題目: [inquieto] primva vera 2008
...occorre riflettere, a tutti i livelli, su tutte le possibilita` che
        stiamo portando avanti, nelle loro diverse espressioni, e
        ragionare su cosa non funziona – e riprendere da li`, da
        quell'inceppamento qualora ne riusciamo a vedere una via
        d'uscita, senza illusioni, e senza menare il can per l'aia.


        Ad esempio, un tentativo su cui siamo inceppati da anni e'
        quello del mutuo appoggio. Ci siamo resi conto che, per
        funzionare, ha bisogno di un minimo di organizzazione, e questa
        spontaneamente non si e' costituita. 


        Perche'? 
        I legami che ci potevano tenere insieme in una dimensione
        “sociale” non hanno retto all'impantanamento in dinamiche da
        gruppetti, quasi in competizione tra loro. Forse la dimensione
        “sociale” non era abbastanza ricca e interessante da creare essa
        stessa coesione... ed e' stata divorata dalle tensioni!
        Tensioni che mai escono fuori in maniera esplicita perche' si
        preferisce custodirle privatamente (sono poi le voci di
        corridoio, quelle si' che corrono, a fare il loro porco
        lavoro!) 
        il deserto generale - questo deserto di rapporti che
        condividiamo da
        anni - e' arrivato al fondo del barile: non si prova neanche
        piu` ad
        affrontare collettivamente un problema, perche`... non si
        riconosce piu` l'esistenza di un collettivo! L'assemblea e'
        ormai retaggio
        vetero-antiquato.


        I problemi individuali vengono lasciati a risoluzioni anch'esse
        individuali – in qualche caso, questo ha come conseguenza che in
        certi posti uno non ci mette piede fino a che non si decide a
        “rivedere” la sua strategia...rimanendo questa pur sempre una
        risoluzione individuale.


        E' evidente che un percorso condiviso su queste basi e'
        difficile. Rimane invece possibile, tra tutti coloro che non
        hanno conti in sospeso e che nel caso li abbiano, sono riusciti
        a tirarli fuori, riprendere a piene mani la propria esistenza,
        la propria rabbia, la propria iniziativa, la propria volonta' a
        non starsene con le mani in mano (magari avendo trovato
        un'occupazione 'alternativa' soddisfacente possibilmente di
        routine che non stanchi troppo il cervello). 


    loro, voi, noi, io sono termini che meritano piu' attenzione, dal
        momento che nella decadenza attuale del linguaggio diventano
        categorie – quante volte e con che rabbia esce fuori quel 'voi';
        quante poche volte viene affermato quel 'noi'. L'io se ne sta
        nell'alveo esistenzialista.
        Si ha quasi timore, di quel 'noi'. Non si sa bene a chi
        riferirlo. Ci si impantana nella palude dei confini, del
        dualismo dentro / fuori... Non si puo' cogliere un confine tra
        il dentro e il fuori. 
        Con imbarazzante semplicita', si utilizza a piene mani il
        “loro”,
        riferito a tutti gli esterni alla nostra cerchia, dimenticandosi
        di
        definire da chi e' costituita quella “nostra” cerchia... 


        La riflessione che il peggior sbirro non e' quello che veste la
        divisa, facile da riconoscere, esterno a noi, ma lo sbirro
        interno, ne e' il rovescio della medaglia.  


        Una delle cose da cui partiamo e' definire quel noi, che in
        qualche modo serve a dare forza, a dare voce. quando abbiamo
        chiaro in mente a chi ci si riferiamo. 
        Per questo ci riferiamo a un noi aperto, non al noi di un
        gruppo. 
        Al noi di una posizione, quella che prendiamo di fronte alla
        realta'. 
        Con un'apertura al confronto per quello che riguarda il “che
        fare”: ma avendo gia' intrapreso delle strade. Non essendo
        legati mani e piedi ad uno “stile di vita”, ad un lavoro, a un
        rapporto chiuso (dentro un gruppo, dentro se stessi, dentro una
        o piu` coppie), ma piuttosto alla convinzione in quello che si
        sta facendo. In altre parole, determinati a farlo. 


        Il 2008 sara' per molti portatore di trasformazione -lo dicono i
        ching-, all'insegna del nomadismo -lo aggiungiamo noi- ... c'e'
        chi aspetta il 2012 a scendere in campo (gli acquariani), ma
        sara' ormai troppo tardi per loro e comunque sono abituati ad
        aspettare.
        non sara` un nomadismo ripiegato su se stesso, ma con
        l'intenzione di mettere le basi per quelle che potranno
        diventare relazioni future – mettendoci dentro tutto, tutto
        quello che riusciremo a portarci dietro, come bagaglio materiale
        e immateriale.
        un nomadismo collettivo, al passo del piu' lento. Equipaggiati
        di tutto punto, arrivando in un luogo l'idea sara' quella
        dell'autonomia.
        Imparando dalle lezioni del passato a non volersi mischiare a
        priori con dinamiche e organizzazioni altrui. L'autonomia prima
        di tutto. Spendere periodi di tempo non misurabili dagli orologi
        moderni, che battono al ritmo del capitale. Battendo la propria
        strada, in forma e sostanza, manifestando la propria presenza,
        dar forma a quel “noi” e a quella “posizione”. 


        Darsi voce, che equivale a prendersela, e con essa cantare
        quella
        pratica “destabilizzante, distruttiva, che si pone come forza
        creativa” come suggeriscono cantastorie di tutti i tempi. 


        Questa prima-vera 2008 e' solo una piccola parentesi – una
        piccolissima fetta di quell'ammasso senza forma che e' il tempo
        e lo spazio a nostra disposizione. Da ora in avanti quello che
        intraprendiamo e' il tentare di dargli nuovamente una forma, a
        questo tempo e a questo spazio, a noi consona.  Sempre piu'
        isolati, nell'azzoppamento globale, due cose le abbiamo chiare: 


        la prima, che non ci bastera` mai cio` che abbiamo e cio` che
        facciamo. Un tempo si diceva, vogliamo tutto e subito. Ora,
        scendendo a piu' miti consigli, togliamo quel subito. Ma ne
        facciamo una questione di tempo.


        la seconda, l'intenzione di ri-imparare a stare sulle proprie
        gambe. La dipendenza dal sistema e' una cancrena che siamo
        intenzionati ad
        estirpare. Con tutto il tempo che ci vuole, per quello che si
        mostra come un percorso lungo, di riappropriazione dei saperi e
        delle pratiche che ci sono state sottratte.  


        Somari non siamo e non diventeremo, nonostante l'impegno di
        preti, cittadini, rifognati...  sinistri in generale che
        quotidianamente si impegnano a mantenere viva l'idea di un
        sempre piu' squallido mondo tecno-militar-democratico di
        sudditanza alla carota; e nonostante botte, galera e
        repressione, bastonate che in caso di reticenza
        all'addomesticamento forzato si fanno sentire sempre piu'
        infuriate. 


        Gli stati colpiscono, e sono botte da orbi, generalmente a senso
        unico...  rimane sempre chiaro che nessuna repressione potra'
        mai
        soffocare l'idea della liberta'.


        Con tanti auguri per un 2008 di pace a tutti