[NuovoLab] Brigatisti torturati in una chiesa

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Szerző: Carloge
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Tárgy: [NuovoLab] Brigatisti torturati in una chiesa

Secolo xix

«Brigatisti torturati in una chiesa»
la liberazione del generale americano dozier
Salvatore Genova, funzionario di polizia, conferma alla procura di Venezia le sue accuse


VENEZIA. L'interrogatorio, «riservato», è avvenuto al palazzo di giustizia di Venezia, due ore ininterrotte di rivelazioni al procuratore aggiunto Carlo Mastelloni sulle sevizie ai brigatisti negli anni di piombo, sulle squadrette di tortura che sarebbero state organizzate dal ministero dell'Interno - decisive per esempio nella liberazione del generale americano James Lee Dozier, rilasciato a Padova il 28 gennaio 1982 grazie a una "soffiata" - e sui fondi neri usati per "convincere" alcuni Br.
Ne ha parlato ieri pomeriggio Salvatore Genova, ex funzionario della Digos e fra i liberatori di Dozier, ascoltato come «persona informata dei fatti» nell'ambito d'un procedimento aperto dalla procura veneta dopo un esposto dello stesso Genova e una lunga inchiesta del Secolo XIX, pubblicata nel giugno 2007.
Per orientarsi bisogna tornare indietro di sette mesi, alle polemiche sollevate da Michelangelo Fournier, funzionario impegnato al G8 che durante il processo sui pestaggi alla Diaz riferì ai giudici di aver assistito a scene da «macelleria messicana». Negli stessi giorni, riallacciandosi a quel ragionamento e deciso a levarsi parecchi sassolini dalle scarpe alle soglie della pensione, Genova (all'epoca dirigente della Polfer ligure) riferì di un uso «sistematico» della tortura già negli anni '70 e '80, fornendo nomi e circostanze assai precise. Parlò d'un gruppo specializzato in sevizie denominato "i cinque dell'Ave Maria" che avrebbe, fra gli altri, abusato della fidanzata d'un fiancheggiatore Br nei giorni del sequestro Dozier, per indurre il compagno a parlare. Non solo: ancora il superpoliziotto raccontò che lo stesso drappello di persone veniva inviato dall'Ucigos (l'ufficio centrale antiterrorismo) in tutt'Italia per risolvere con la tortura le situazioni più estreme. Citò il caso di Ennio Di Rocco, brigatista romano finito nelle mani dei picchiatori le cui informazioni permisero di arrestare Giovanni Senzani. «Persino la Cia - aggiunse - si stupì dei metodi usati dalla polizia italiana». Genova allungò inoltre ombre molto pesanti sul percorso professionale di altissimi funzionari della pubblica sicurezza: «Diversi fra coloro che gestirono il sistema-torture, grazie all'oscurantismo e al silenzio sulle pagine più imbarazzanti e violente, hanno goduto di favori e intrapreso carriere vertiginose».
Indicazioni analoghe sono contenute in un esposto indirizzato, qualche mese dopo le dichiarazioni sulla stampa, al procuratore capo di Venezia Vittorio Borraccetti, il quale a sua volta ha delegato il fascicolo all'aggiunto Mastelloni. E non è un caso che sia stato scelto proprio Borraccetti come primo interlocutore. Perché all'epoca dell'affaire Dozier , quando lavorava come sostituto a Padova, fu uno dei più coinvolti negli accertamenti sul terrorismo e sui soprusi denunciati dai brigatisti fermati. A seguito di quelle segnalazioni Salvatore Genova fu indagato (mai processato poiché nel frattempo era stato eletto alla Camera nelle liste del partito Socialdemocratico), ma non era stato possibile estendere l'indagine a livelli più alti, ai veri torturatori insomma. Anche la Corte d'Assise di Padova, nel formulare il giudizio nell'unico procedimento aperto in materia, ribadì per bocca del presidente Francesco Alliprandi «la probabile esistenza d'una struttura organizzata destinata al compimento delle torture», la cui entità e livello non sono mai stati accertati.
«Succedeva esattamente quello che i terroristi hanno denunciato - ha riferito ieri l'ex Digos davanti al magistrato -: li legavano con gli occhi bendati, com'era scritto persino su un ordine di servizio, quindi erano costretti a bere abbondanti dosi di acqua e sale. Questa era solo la prima fase, poi si andava in crescendo e le informazioni decisive per liberare Dozier arrivarono con i soprusi praticati dentro una chiesa sconsacrata». Difficile, si conferma in ambienti giudiziari, che si configurino reati non coperti dalla prescrizione, sebbene lo stesso Mastelloni non consideri il suo lavoro concluso. L'obiettivo è risalire al capo dei "Cinque dell'Ave Maria" (un ex questore oggi residente a Napoli), che al nostro giornale confermò l'esistenza di un corpo parallelo e occulto.
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Carlo

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