[Forumlucca] Corsi e ricorsi storici

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Autore: massimiliano.piacentini@tin.it
Data:  
To: forumlucca
Oggetto: [Forumlucca] Corsi e ricorsi storici
Il suo nome è tornato a circolare in questi ultimi giorni, perché
rimase ferita dalle cariche della polizia durante la manifestazione
contro la guerra nei Balcani, a Firenze, nel '99, e perché, da
consigliera regionale (prima di Rifondazione e poi del Movimento per la
Confederazione dei comunisti), presentò un esposto (puntualmente
archiviato...) contro quei violenti e gratuiti pestaggi contro i
manifestanti.
Sto parlando di Orietta Lunghi, donna molto intelligente
e profonda.
L'ho conosciuta solo "di sriscio", ma le persone come lei,
che hanno un'idea altissima della politica e la svolgono con una
passione straordinaria, restano impresse.
Per questi motivi, voglio
riproporre alcuni stralci di un suo articolo/analisi di qualche tempo
fa.
E' del 2000, ma è attualissimo e dimostra che cosa sono i famosi
"corsi e ricorsi storici".

massimiliano

PROVACI ANCORA, SAM !
- di
Orietta Lunghi

A marzo, non ripresentandoci alle elezioni, il gruppo
regionale chiude.

1990/2000
Dieci anni di presenza istituzionale e
politica che termina come esperienza ma che non prende congedo
dall'impegno militante per il processo di riaggregazione dei comunisti
e delle comuniste (...).

(...) Uscire dalle istituzioni non è stata
una scelta, piuttosto una condizione. Una scelta invece è stata quella
di non farne una ragione d'abbattimento eccessivo (...)

(...) E'
un'illusione anche pensare di poter rappresentare, all'interno delle
istituzioni, istanze proprie di un blocco sociale antagonista ancora
lontano da esprimersi in forme omogenee a livello sociale.
Anzi,
quest'illusione di rappresentanza antagonista è pericolosa in quanto
determina una condizione ottimale per ghettizzare i rappresentanti
eletti su specifiche questioni sociali.
Lo spezzone di movimento che li
ha votati chiederebbe, come obiettivo prioritario il raggiungimento di
risultati concreti su una singola questione, casa salute etc.
La
necessità di portare a casa risultati su specifici obiettivi, comporta
obbligatoriamente il porsi in termini subalterni, che è condizione
diversa dalal mediazione verso le maggiornaze, in quanto queste sono
detentrici di politiche e poteri complessivi e non parziali.
Gli eletti
sono quindi esposti a rapporti compromissori con gli esecutivi in
quanto non possono rompere sulle questioni generali dovendo non rompere
mai il filo della trattativa su una parzialità.
Da questa condizione di
subalternità oggettiva, all'inglobamento nelle logiche istituzionali,
il passo è breve, nonostante le intenzioni e non è detto si salvino gli
antagonisti.
Ne abbiamo visti di compagni entrare per suonare e uscirne
suonati.
Le istituzioni, i sindacati etc, sono in questo addestrate
sirene (...).

(...)Istituzioni come la Regione, le Province, gli
stessi Comuni, a parte il protagonismo d'alcuni sindaci, nella
sostanza, non possono, oltre le chiacchere, praticare, com'è stato per
una lunga fase, e proporre il concetto stesso d'autonomia né in termini
amministrativi e tanto meno politici.
E infatti, nulla di più ridicolo,
dal mio punto di vista, della riproposta in questa fase questione
(falsa e noiosissima) del decentramento/accentramento, riferendosi alle
istituzioni locali.
La Politica ha conosciuto nel nostro paese un reale
scontro tra campi d'interesse contrapposti, per cui era reale, anche se
quasi mai praticata a fondo, una disomogeneità di comandi tra politica
conservatrice del Governo e politiche locali di sinistra. Ma oggi?
Un
esempio su tutti:
quanti ordini del giorno sono stati votati e
approvati contro la guerra d'aggressione alla Jugoslavia e alla Serbia,
o addirittura contro la guerra, nelel Regioni, Comuni, e Provincie
d'Italia?
Altro che accentramento/decentramento, l'omologazione e la
compattezza sono state impressionanti.
Oggi questo bagaglio culturale e
politico dell'autonomia locale che aveva proprio senso politico, non ha
ragione di esistere e lo stesso modello di federalismo che avanza è una
truffa, un camuffamento per raggiungere una maggiore omogeneità
funzionale ad un processo generale di riorganizzazione capitalistica
tra aree forti dei diversi Stati europei(...).

(...)L'unico ruolo che
i comunisti possono avere nelle istituzioni è quello di portarci l'urto
della politica complessiva (...)

(...)Questo è il ruolo che abbiamo
cercato di avere nelle istituzioni in termini dignitosi e senza
sbavature.

(...)Siamo stati persuasi, almeno per un periodo, che
Rifondazione poteva, pur con i limiti cui era nata, essere l'avvio di
un evento politico nuovo e non un generoso strascico del passato.
In
seguito, per successivi passaggi politici, l'analisi riguardo al
partito ha portato alcuni di noi a misurare una distanza che è poi
diventata insanabile.(...)
(...)Ma la rottura con Rifondazione non è
avvenuta per il clima d'invivibilità democratica, per la durezza della
convivenza politica o per stanchezza. Avremmo resistito a tutte le
sette piaghe d'Egitto, se ve ne fossero state le condizioni politiche.
Molti di noi non possono scordare un ormai lontanissimo Comitato
Centrale in cui Bertinotti legò le sorti di P.R.C a quelle del Governo
Prodi. Credo che quel passaggio segnò l'inizio della rottura anche se
questa si è verificata in seguito.
Ma è stato anche appassionante,
almeno fino ad un certo punto, il confronto/scontro politico con tanti
compagni e compagne e mi auguro davvero che questo possa riprendere
quando i nodi verranno al pettine.
Militare in un partito e
segnatamente in un'organizzazione composita come P.R.C, vuol dire
misurarsi con il gruppo sociale da cui il partito è costituito,
questione complessa per definizione perché relativa a storie, pratiche,
culture, comprendenti i legami tra amici, affini e perfino con
concezioni da sempre avversate, fattori di cui tenere conto nel
muoversi politicamente con avvedutezza tattica, quasi un giuoco
avvincente se non si perde di vista l'obiettivo.
E' poi un'esperienza
molto bella trovare omogeneità, generosità, scambio utile per la
costruzione comune di un agire politico, questioni che ripagano delle
inevitabili delusioni che si incontrano militando insieme.
Cose
importanti queste per qualsiasi militante e, dal mio punto di vista,
conferma che la vita di partito, fintanto che è possibile trovarci una
ragione plausibile per militarci, è un'esperienza positiva che molti
faticano a lasciare specialmente in assenza d'alternative pronte...
Certo, se si valuta che la direzione di marcia del partito non è quella
della ricostruzione di un pensiero e una prassi rivoluzionaria, ma
quella di finire per far parte di una variabile di sinistra nell'alveo
delle compatibilità capitalistiche, dopo aver combattuto, conviene la
rottura e tentare altro.

Come è importante oggi riflettere, su quello
che, secondo il mio punto di vista, è il fallimento politico di
Rifondazione.(...)
(...)Ci si può spellare le mani per le lotte
zapatiste entrando nel cuore del capitale europeo, accettandone la
politica monetaria.
Lottare contro la flessibilità e approvare il
pacchetto Treu.
Lottare per gli immigrati e votare la legge Turco
Napolitano.(...)

(...)Oggi si assiste ad un P.R.C che si appresta a
tornare a casa, velleitario e sconfitto, mostrando la consistenza
pressochè aerea della propria tenuta ideologica e politica e perfino
tattica, visti i tempi sfalsati delle rotture e dei ritorni. (...)

(...) Questi giudizi pesanti da parte di chi non ha prodotto ad oggi
agganci forti per il progetto politico per cui lavora, possono sembrare
arroganti e forse un po' lo sono.
Ma l'arroganza quando non è
settarismo non è forse il peggiore difetto se almeno consente di
sperimentare qualcosa d'altro, fuori dalla gabbia dell'omologazione.
E
in oltre, queste valutazioni non valgono davvero per tutti i compagni e
le compagne e soprattutto non possono valere per quanti, specialmente
giovani, si sono iscritti a P.R.C in termini consistenti, magari con
qualche speranza, oggi cosa rara e preziosa da proteggere e
salvaguardare (...)

(...) Della Regione Toscana, del Consiglio etc. in
"chiusura" è meglio non dire nulla a Bilancio.
Li facciamo fare alla
Giunta, i bilanci.
Il nostro bilancio non è in rosso.
E' rosso.
Dalle
istituzioni, oggi nemiche ma utili, usciamo.
Non è un bene ma ne
usciamo bene e tanto basta.
Abbiamo da fare anche fuori dalle
istituzioni il lavoro non mancherà, casomai i soldi.
"Nel mezzo della
controrivoluzione imperante i comunisti devono rendersi conto di quanto
accade".
Già porsi questo compito e porlo ai compagni, perché da soli
si riesce di capire il giusto di quanto accade, è un'impresa
impegnativa.
Buon tema alla ragione, all'intelligenza e alla passione
per l'obiettivo di un mondo migliore.

I comunisti e solo loro, per
primi nella storia l'hanno fatto una volta.

PROVACI ANCORA, SAM !