Autore: FAI Torino Data: To: cerchio Oggetto: [Cerchio] Torino: storia di ordinaria repressione
Torino: storia di ordinaria repressione
Sono le sei del pomeriggio in una Torino uggiosa e bagnata. Le strade a Vanchiglietta, quartiere popolare a ridosso del centro, sono piene di gente. Un poliziotto, dicono a caccia di rapinatori, chiede i documenti ad un ragazzo che rifiuta e fugge inseguito dal tutore del disordine statale. Pistola alla mano, la canna puntata ad altezza uomo, il poliziotto corre tra la gente. Alcuni cittadini, tra cui tre anarchici, che hanno assistito alla scena si intromettono chiedendo il perché di quella pistola spianata a rischio dell'incolumità di tutti. Con gli uomini in divisa non si discute: arrivano le volanti che fermano i tre compagni portandoli in questura. Più tardi due verranno rilasciati, mentre alla ragazza è confermato l'arresto.
Nel giro di un paio d'ore un gruppo di persone si riversa in strada, bloccando corso Regina e chiedendo a gran voce il rilascio dei compagni fermati.
Un tentativo di partire in corteo viene impedito dalla polizia che carica, disperdendo i manifestanti, due dei quali verranno fermati e successivamente arrestati con l'accusa di resistenza aggravata.
La sera si conclude con un presidio davanti alla questura, in una nottata bagnata e silente.
Un poliziotto in mezzo alla folla con le armi in pugno non fa notizia: fa parte di un quadro di ordinaria repressione al quale i più finiscono con l'assuefarsi. Finché non ci scappa il morto. Negli ultimi due anni ben otto immigrati sono stati ammazzati a Torino durante controlli di polizia, ma non si è mai andati oltre poche righe di cronaca nera. C'è voluto il tifoso sparato in autostrada da un killer in divisa per bucare i media, altrimenti tutto rimane nell'ombra di una "normalità" feroce.
Per chi non ci sta, per chi chiede ragioni, per chi non accetta il ricatto della paura, scatta la repressione. I fermi, gli arresti, le cariche, la galera.
Ogni giorno, all'ombra della mole, si mangiano un pezzo della nostra vita, strappano un lembo della nostra libertà, della libertà di tutti. Lo fanno in nome di un'emergenza "sicurezza" inventata ad arte per chiudere ogni spazio di autonomia, per tappare la bocca a chi dissente a chi crede che questo non sia il migliore dei mondi possibili.
Hanno emanato leggi degne di un regime autoritario, per buttare fuori i poveri, gli immigrati senza lavoro, i senza casa: lo fanno in nome della democrazia, la terribile democrazia reale dell'ambulanza fatta saltare in Iraq, delle truppe di occupazione che fanno la guerra in Afganistan, dei poliziotti che scorazzano per i nostri quartieri seminando la paura.
Lo fanno in nostro nome, fidando nel timore, nella propaganda, nell'abitudine a chinare la testa di fronte ai potenti.
È tempo di alzare la testa, spezzare l'indifferenza, rompere il silenzio.