[NuovoLab] "Ma quale militarizzazione qui serve la tolleranz…

Supprimer ce message

Répondre à ce message
Auteur: brunoa01
Date:  
À: forumgenova, forumsociale-ponge
CC: forumSEGE, tavolisinistraeuropea
Sujet: [NuovoLab] "Ma quale militarizzazione qui serve la tolleranza mille"
lavoro repubblica

Graciela Delpino, mediatrice culturale ecuadoriana, da diciassette anni a Genova
"Ma quale militarizzazione qui serve la tolleranza mille"

i colpevoli "È chiaro che i colpevoli sono loro, ma quando si punisce è ormai troppo tardi"
l´inserimento "Di fronte ai problemi si chiudono in loro stessi E spesso rispondono con rabbia"
le possibilità "Vi posso assicurare che sono bravi ragazzi, ma noi non gli diamo possibilità"
l´accusa "Mi chiedo come i titolari di questi locali non possano sentire alcun rimorso"
MASSIMO CALANDRI


«L´ASSASSINO è un bravo ragazzo. Come la vittima. Io li conosco bene, li conosco tutti. Bravi ragazzi che potevano essere salvati. Ma ci voleva più sensibilità. E tolleranza, attenzione. Più amore. Da parte di chi amministra questa città, da parte degli insegnanti. Da parte mia e vostra. Perché è la nostra città, è la città di tutti. Perché tutto questo non doveva succedere, e non deve accadere mai più». Graciela Delpino, da 17 anni a Genova. A Quito, in Ecuador, era la direttrice di un carcere minorile. Nel capoluogo ligure è mediatrice culturale, cura i rapporti tra la scuola e le famiglie immigrate, incontra i giovani latino-americani detenuti nelle prigioni liguri. «Ho seguito a lungo Wilfredo, che quattro anni fa fuori da una discoteca aveva ucciso a coltellate un colombiano. E vi posso assicurare che è un bravo ragazzo, appunto. Uno che ha sbagliato una volta e - giustamente - pagherà per tutta la vita. Ma anche uno che, se gli avessimo dato la possibilità, poteva regalare tante belle cose. Voleva fare il maestro di scuola, sapete?».
Un altro ragazzo latino-americano è morto, ucciso dopo una serata trascorsa in discoteca a ballare ed ubriacarsi.
«La prima cosa che mi chiedo è: ma i titolari di questi locali non provano alcun rimorso? Non si sentono almeno un po´ responsabili di queste tragedie? Tra l´altro, mi sembra che il padrone della discoteca di sabato sera sia lo stesso di quella dell´altro delitto. Pensa davvero di aver fatto tutto il possibile per evitare queste tragedie? Io mi rendo conto che è un bel business, cinquecento giovani che entrano e spendono un patrimonio in consumazioni. Però, sarebbe bello se a volte la coscienza avesse la meglio sul portafoglio. C´è una legge che proibisce di somministrare alcolici dopo una certa ora, mi sembra. Ma anche prima delle due di notte, vi sembra giusto continuare a versare da bere a qualcuno che è poco più di un adolescente e - soprattutto - è già ubriaco fradicio?».
Non sarà invece che i primi colpevoli sono proprio questi ragazzi, sempre armati e carichi di rabbia?
«Naturalmente. Codice alla mano, i colpevoli sono loro. Ma quando si punisce, quando si arresta e si condanna, è già troppo tardi. Bisogna pensarci prima. E domandarsi perché i giovani latino-americani si ubriacano, perché sono così facili ad usare il coltello».
Perché?
«Questi sono spesso ragazzi con grandi problemi di inserimento nella società genovese. Il più delle volte hanno raggiunto le loro madri - che da qualche anno avevano trovato lavoro qui - portandosi dietro enormi problemi: sono rimasti soli a lungo, senza una guida, spesso senza un padre. Arrivano e trovano un realtà completamente diversa da quella che hanno lasciato. Una scuola ed una società che non sono pronte ad accoglierli. Parlano un´altra lingua. Si trovano di fronte una madre che spesso non li conosce, e che neppure loro riconoscono. Reagiscono chiudendosi in loro stessi. Frequentando solo connazionali. Rispondendo con la rabbia e la violenza».
Cosa potrebbe fare Genova per loro e per la comunità latino-americana, che nel giro di pochi anni è salita di numero in maniera impressionante?
«Tutto. Ma bisogna che tutte le componenti della società genovese - a partire dalla pubblica amministrazione - facciano il primo passo, mostrando tolleranza e desiderio di interagire. Ci sono più di quarantamila latino-americani a Genova, quasi un decimo degli abitanti. Inutile nascondersi. Il Comune ha cercato di fare qualcosa, in questi anni. Vorrei dire che forse è stato troppo poco, ma in fondo questo è un processo naturale che dobbiamo affrontare tutti insieme. Servono più mediatori culturali, perché a questi giovani va insegnato il rispetto delle "nuove" regole. Provo a spiegarmi con un esempio: nelle assemblee scolastiche, i genitori latino-americani stanno sempre zitti. Perché non parlano bene l´italiano, e non si fidano di comunicare direttamente con qualcuno che - pensano - non può capire i loro problemi. Ma se possono rivolgersi a qualcuno come loro, che parla la stessa lingua, allora si aprono: ed è interagendo che si fa cultura, si cresce insieme».
Tanti adolescenti latino-americani lasciano presto la scuola.
«E´ vero. E allora bisogna anche lavorare sui mediatori di strada. Preparare delle persone che per origine e cultura possono comunicare immediatamente con loro. Comunicare. Ed aiutare nell´inserimento questi ragazzi. Anche il mondo dello sport può essere di grande utilità per "imparare" presto ad essere genovesi e parte di questa società».
Ma oggi fare sport costa.
«Appunto. Però i club, magari d´accordo con il Comune, possono dare una mano alle famiglie. E farli giocare a calcio, a rugby, a pallanuoto. La società, dove possibile, deve sostituirsi a quelle madri che sono costrette a lavorare giorno e notte, e si riducono a controllare i loro figli con un cellulare».
L´amministrazione aveva varato un progetto per fare in modo che le badanti avessero più tempo per stare con i propri figli.
«E´ un progetto. E c´è ancora molta strada da fare. Ma l´importante è agire concretamente. Fare. Leggo spesso di professori universitari che dicono di studiare il fenomeno e organizzano conferenze: preferirei che si facesse meno letteratura, e che i fondi venissero impiegati in maniera più prosaica».
Come al solito, qualcuno invoca più polizia e la "tolleranza zero".
«Dopo il delitto, ho letto un articolo che parlava di Sampierdarena e della necessità di "pattugliarla" giorno e notte. Intanto, il fatto non è accaduto a Sampierdarena. E poi, che c´entrano la "militarizzazione" e la tolleranza zero? Tolleranza mille, dico io. Magari più controlli su chi entra in questi locali da parte di chi li gestisce. E più attenzione, anche da parte della polizia, quando i giovani lasciano la discoteca. Ma con giudizio. E sensibilità. Perché tutti, noi genovesi e noi latino-americani, vogliamo una città vivibile e tranquilla. Una città con tanti bravi ragazzi».


___________________________________
NOCC, http://nocc.sourceforge.net