[NuovoLab] La politica papale va in porto solo in Italia

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La politica papale va in porto solo in Italia
Raffaele Carcano (segretario UAAR)


Non sono tempi facili per la Chiesa cattolica. I processi di
secolarizzazione, nonostante alcuni maldestri tentativi di negarne
l'evidenza, proseguono apparentemente inarrestabili e, anzi,
cominciano a investire anche aree, come l'America latina e gli Usa,
che ne sembravano finora escluse.
Il numero dei non appartenenti a alcuna religione è in crescita quasi
ovunque, così come cresce il numero delle nazioni che improntano la
propria legislazione al principio di laicità, riconoscendo nel
contempo «nuovi» diritti a chi finora era discriminato: donne,
omosessuali, minoranze religiose. In questo contesto, il Vaticano
sembra non riuscire a stabilire un contatto con il mondo
contemporaneo: di qui la sua crescente contrapposizione con realtà,
come ad esempio l'Onu, la Bbc o Amnesty International, che, pur
diversissime tra loro e non certo «laiciste», sono comunque accomunate
su scala mondiale da una credibilità che dovrebbe consigliare maggior
prudenza alle gerarchie ecclesiastiche.
Non è estranea a questo clima la presenza sul trono di Pietro di un
pontefice come Benedetto XVI. La sua recente enciclica Spe Salvi ha
suscitato molte polemiche per i virulenti attacchi all'ateismo e
all'illuminismo, dimenticando quanto quest'ultimo sia alla base delle
migliori conquiste degli ultimi tre secoli: democrazia, eguaglianza,
laicità, libertà di espressione. Il punto di vista del documento è
prettamente europeo: è faticoso avere un respiro universale quando ci
si richiude all'interno del bunker. L'ideologia di Ratzinger sembra
volgersi molto indietro come se l'ossessiva avversione per il
relativismo si fosse trasformata, strada facendo, in una condanna
della stessa pluralità dell'esistente, semplificata in un dualismo da
Them-or-Us, Noi-contro-Loro, che, benché tipico del monoteismo, è più
la caratteristica di una setta che di una confessione religiosa
mondiale.
Benedetto XVI non sembra, al momento, aver ancora individuato una
strategia in grado di invertire la rotta, fatta eccezione per il
vecchio, consolidato e proficuo ricorso all'aiuto del potere politico.
Parte integrante di questa strategia passa per una riscrittura della
storia («le radici cristiane») e finanche dello stesso vocabolario,
con la creazione del concetto di laicità «sana», sconosciuto fino a
pochissimi anni fa: la sua specificazione si traduce nell'esplicita
richiesta di privilegiare i credenti, soprattutto se organizzati sotto
le insegne della Chiesa di Roma. Il problema, per Ratzinger, è che
riverniciature confessionali di questo tipo sembrano trovare ascolto
solo in Italia, l'unico paese dove un Tar e un Consiglio di stato
possono permettersi, nell'indifferenza pressoché generale, di definire
il crocifisso un «simbolo della laicità dello stato».
Il nostro è anche l'unico paese dove i tg riservano l'apertura a ogni
prolusione papale e dove uomini politici, dopo aver probabilmente
perso ogni contatto con la realtà quotidiana, si sono affidati alla
realtà virtuale della tv, traendone l'impressione che l'episcopato
possa spostare chissà quanti voti a loro favore e, eventualità
decisamente assurda, a favore di tutti. L'atteggiamento acquiescente
sembra pervadere entrambi gli schieramenti e lascia i pochi, genuini
esponenti laici in balia di una condizione di inanità tale da
spingerli a porre in secondo piano la rivendicazione di diritti che,
nel resto d'Europa, sono in gran parte oramai acquisiti.
Conseguenze pratiche? Anche quel poco che è stato messo nero su bianco
nel programma dell'Unione (diritti per le coppie di fatto, testamento
biologico, nuova legge sulla libertà religiosa) sembra segnare
definitivamente il passo sotto l'ostracismo dei teodem; proposte di
buon senso, come quella volta a eliminare l'esenzione Ici sugli
immobili ecclesiastici destinati a attività commerciali, ottengono un
sostegno risibile; iniziative popolari, come la richiesta di istituire
un registro per le unioni civili a Roma, vengono impallinate dal Pd in
nome dei supremi interessi della coalizione. Tali interessi vengono
però meno quando, a non votare la fiducia al governo, è la senatrice
dell'Opus Dei Paola Binetti, contro la quale nessuno si è azzardato a
chiedere provvedimenti. Per contro, ci è toccato leggere la
spericolata dichiarazione di D'Alema sui matrimoni omosessuali, in cui
è riuscito a mischiare il rispetto (giuridico!) che si dovrebbe
portare a un sacramento cattolico alla sua personale fascinazione per
una fede che trova la propria forza in un clero e in fedeli sempre più
anziani. Sganciati da un mondo che cambia e dalle realtà più dinamiche
della società, questi politici italiani continuano in tal modo a
praticare quella saldatura con i poteri spirituali. La perdurante
influenza vaticana dimostra che è la politica a rappresentare un
autentico instrumentum religionis. Ma solo quando è disponibile a
lasciarsi usare.


Il Manifesto - 29 Dicembre 2007 - pagina 2
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/29-Dicembre-2007/art9.html