[Lecce-sf] Fw: [antiamericanisti] Giusto per ricordare alcun…

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Autor: Maria Ingrosso
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Asunto: [Lecce-sf] Fw: [antiamericanisti] Giusto per ricordare alcune quisquilie sul Kosovo

----- Original Message -----
From: Slava
To: Slava
Sent: Saturday, December 22, 2007 2:41 PM
Subject: [antiamericanisti] Giusto per ricordare alcune quisquilie sul Kosovo




N.B.: va letta per bene anche la prima nota....



      Avvoltoi sulla penisola  balcanica



      Quando Cossiga, il 6 dicembre,  parlò in Senato di un possibile bombardamento della Serbia (1), nel caso si opponesse  all'indipendenza del Kosovo, molti  pensarono a qualche disturbo senile. Invece no, l'uomo di Gladio è lucidissimo, e il suo intervento s'inquadra perfettamente nel gigantesco puzzle delle manovre imperialistiche che hanno portato alla distruzione della Jugoslavia, e delle pressioni e minacce che ancora infieriscono maramaldescamente, soprattutto sull'etnia serba. Se  ricolleghiamo le parole di Cossiga alla  partecipazione italiana alla  guerra del Kosovo, e alla parte che l'ex presidente vi ebbe, il quadro che ne emerge è chiarissimo. Prima, però, sarà necessario qualche cenno alla situazione internazionale di allora. Si tratta di cose notissime per chi ha seguito quegli eventi, ma  è bene riprenderle per i  più giovani e gli smemorati.


      Le cosiddette trattative di Rambouillet, iniziate nel febbraio 1999, erano una trappola. In realtà l'intervento era deciso da tempo. Si elaborò un documento nel quale si garantiva l'autonomia del Kosovo, non la sua piena indipendenza, ma poi si cambiarono le carte in tavola. Alla vigilia della firma dell'accordo, il Segretario di Stato USA, Madeleine Albright prese l'impegno a garantire, entro tre anni, il distacco del Kosovo dalla Federazione; inoltre s'introdusse un'appendice che prevedeva l'occupazione militare della Federazione Serbia da parte della NATO. Alla Serbia non restò che abbandonare il negoziato. Ecco il giudizio di uno dei peggiori controrivoluzionari di professione, Henry Kissinger: "Il testo di Rambouillet, che chiedeva alla Serbia di ammettere truppe NATO in tutta la Jugoslavia era una provocazione, una scusa per iniziare il bombardamento. Rambouillet non è un documento che un Serbo angelico avrebbe potuto accettare". (Henry Kissinger al Daily Telegraph, 28 giugno 1999, tratto da Wikipedia alla voce "Guerra del Kosovo")


      All'inizio dei bombardamenti  in Serbia (marzo 1999), i portavoce della NATO e del Dipartimento di Stato americano diffusero  la falsa notizia che il governo jugoslavo aveva fatto giustiziare tre leader albanesi: Ibrahim Rugova, Fehmi Agani e Baton Haxhiu, editore del giornale albanese Koha Ditore. Non solo erano tutti vivi, ma Rugova in aprile ebbe un colloquio con  Milosevich. Le menzogne sono un elemento indispensabile alla politica di guerra.



      L'imperialismo italiano voleva intervenire nel conflitto, ma la debolezza del governo Prodi era evidente. La posizione del governo venne espressa in un comunicato di Palazzo Chigi: "L'Italia metterà a disposizione le proprie basi qualora risulterà necessario l'intervento militare da parte dell'Alleanza atlantica per fronteggiare la crisi del Kosovo. Nell'attuale situazione costituzionale  il contributo delle forze armate italiane sarà limitato alle attività di difesa integrata del territorio nazionale. Ogni eventuale ulteriore impiego delle Forze armate italiane dovrà essere autorizzato dal Parlamento." (Comunicato n. 157 del 12 ottobre 1998 -Governo Prodi - http://www.parlamento.it/att/uip/kosovo.htm) 


      Il governo Prodi, dunque, pur aderendo all' "Activation Order" della Nato, aveva limitato l'azione delle Forze Armate al territorio nazionale,  e non aveva autorizzato i bombardamenti da parte dell'aviazione italiana.


      Queste posizioni non bastavano al governo americano, e qui entrò in azione Cossiga. Questi, in previsione della guerra e dell'impossibilità del governo Prodi di affrontarla, riuscì a staccare un gruppo di parlamentari del centro destra,  per formare una nuova maggioranza politica che accettasse la guerra. Si gridò al trasformismo, ma si trattava di un'operazione in tutto e per tutto "atlantica". Gli uomini adatti all'azione militare erano D'Alema alla presidenza e Scognamiglio  alla Difesa.


      Ci sono precise dichiarazioni in merito: sul Foglio del 4 ottobre 2000  Scognamiglio scriveva:"... in Italia avevamo dovuto cambiare governo proprio per fronteggiare gli impegni politici-militari che si delineavano in Kosovo. Prodi ad ottobre aveva espresso una disponibilità di massima all'uso delle basi italiane, ma per la presenza di Rifondazione nella sua maggioranza non avrebbe mai potuto impegnarsi in azioni militari. Per questo il senatore Cossiga ed io ritenemmo che occorreva un accordo chiaro con l'on. D'Alema".


      Sul "Corriere della Sera" del 10 giugno 2001, Cossiga scrisse: "Carlo Scognamiglio ed io, anche contattati con preoccupazione e premura dai rappresentanti dei governi alleati, seguivano con apprensione l'avvicinarsi dell'inizio dell'intervento umanitario nel Kosovo e quindi le operazioni militari contro la Serbia, era ben noto che il governo Prodi non aveva nel suo complesso né la volontà politica né la forza parlamentare per poter prendere decisioni all'altezza del nostro ruolo nella Nato. E questo anche per la presenza, in esso e nella sua base parlamentare, di forti componenti pacifiste comuniste e cattoliche. ...La decisione, la cui responsabilità l'on. Prodi rivendica al suo governo, fu quella di mettere le basi nazionali e Nato a disposizione delle forze aeree dei Paesi alleati per le operazioni aeree contro obiettivi jugoslavi, la cui partecipazione noi peraltro avevamo declinato... Non fu facile per il governo D'Alema passare dalla sola messa a disposizione delle basi al trasferimento sotto comando Nato delle nostre forze aeree, che anche solo sulla base del concetto di difesa integrata, intervennero con missioni di attacco contro obiettivi militari jugoslavi nel Kosovo. Questa è la verità."


      E sentiamo D'Alema: "Vorrei ricordare che quanto a impegno nelle operazioni militari noi siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli USA e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno fatto molta politica ma il loro sforzo militare non è paragonabile al nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L'Italia si trovava veramente in prima linea." (2)


      Questo era il riconoscimento tardivo dell'impegno militare del suo governo in quella detestabile guerra, in aperto contrasto con le menzogne diffuse all'epoca, per far credere che l'aviazione italiana avesse una funzione puramente esplorativa. La guerra, si voleva far credere, la conduceva l'America, e l'Italia doveva soltanto fornire un appoggio logistico, a causa degli impegni Nato. Tra i ministri,  ricordiamo Ciampi, Dini, Diliberto, Fassino, Amato, Rosy Bindi, Edo Ronchi (Verdi), Katia Belillo (Pdci), oltre a numerosi DS. Alcuni di loro cercarono di salvare la faccia dichiarandosi contrari all'intervento, ma si guardarono bene dal dare le dimissioni e denunciare il governo per una guerra, che tra l'altro si sviluppava scavalcando il parlamento e tenendo all'oscuro l'opinione pubblica. D'Alema partecipò persino a una marcia della pace. Anche l'ipocrisia è essenziale alla politica di guerra.


      Furono 78 giorni di bombardamenti "umanitari" sulla Jugoslavia, Kosovo compreso, con la fuga di profughi di tutte le etnie per paura dei bombardamenti. L'Italia  partecipò al macello con 172 "missioni", 6 di ricognizione e 166 di attacchi a terra (come spiegò il colonnello Francesco Latorre al "Giornale di Brescia", Sabato 10 Luglio 1999). Per la sua posizione centrale,  aggiunse il colonnello, "l'Italia è considerata una sorta di portaerei nel Mediterraneo. Non a caso, nel corso dell'Allied Force, l'85% delle missioni ha decollato dalle nostre basi".


      Seguì la pulizia etnica dell'Uck, soprattutto contro serbi e rom, ma anche contro gli ebrei. "Sotto gli occhi 'vigili' della Nato e dell'Unmik si è consumato un  crimine nel silenzio del mondo: dall'ingresso delle truppe Nato a oggi,  200.000 serbi sono fuggiti e altrettanti rom, 1194 serbi e 593 membri di altre minoranze sono stati uccisi, 1300 persone - tra cui albanesi considerati moderati - sono desaparecidos, 1400 le persone invalidate per avere subito aggressioni. Eppure negli accordi di Kumanovo il ritiro delle truppe di Belgrado era condizionato alla protezione delle minoranze, e a   patto che dopo sei anni, alla fine dell'Amministrazione Unmik, la regione sarebbe tornata sotto amministrazione serba." (3)


      Nonostante questo impiego di violenza, inganno, repressione, mascherati da belle parole democratiche e diplomazia, l'occidente deve ora dichiarare il fallimento. I nodi che pretendeva  sciogliere  con una guerra vigliacca, in cui le potenze d'occidente erano coalizzate contro un solo paese, sono rimasti irrisolti.


      Gli Stati Uniti e gli imperialismi europei giustificano il loro appoggio alla secessione del Kosovo, pretendendo di agire in base all'autodeterminazione dei popoli. Ancora una volta si adopera una parola d'ordine rivoluzionaria per giustificare un'operazione reazionaria. In realtà, si vogliono creare nuovi microstati, troppo piccoli per avere una propria vitalità politica ed economica, succubi dell'imperialismo, che vi può installare a piacere basi militari, o farne centri di diffusione della droga,  paradisi fiscali per l'alta finanza. E' il caso del Montenegro, che ha firmato un accordo "bilaterale" con gli Stati Uniti: "Davvero un accordo "bilaterale", tra l'unica superpotenza rimasta sulla terra e uno staterello balcanico di 14mila kmq (meno della Puglia), indipendente a tutti i costi da pochi mesi - adesso si capisce anche perché - con 650mila abitanti (un sesto di quella pugliese) e che non ha ancora nemmeno una legge di difesa che istituisca un esercito e che quindi non ha nemmeno un soldato." (4)


      L'autodeterminazione dei popoli, invece, è una rivoluzione che sgombra il terreno dai residui dei vecchi ordini precapitalistici e dalle dominazione straniere, superando il localismo feudale. La formazione di uno stato nazionale corrisponde in pieno alle esigenze dello sviluppo capitalistico, ed è il terreno su cui borghesia e proletariato possono affrontarsi nella loro contrapposizione di classe. Perché ciò avvenga, occorrono certe dimensioni territoriali e una folta popolazione. Ad ogni minoranza linguistica si deve dare la possibilità di esprimersi nella propria lingua, per quanto minoritaria sia, come nel caso del romancio in Svizzera. Le minoranze alloglotte, specialmente se parlano lingue dominanti in stati vicini, possono avere l'utile funzione di ponte fra i popoli, favorire lo scambio tra le diverse culture nazionali, liberandole dal localismo miope. Altra cosa è invece cambiare continuamente le frontiere, col pretesto di liberare piccole minoranze. Le grandi potenze hanno sempre utilizzato strumentalmente queste etnie minoritarie per indebolire gli stati che volevano assoggettare. Napoleone III si faceva forte di un preteso principio nazionale per giustificare le sue guerre.


      L'occidente "democratico" ha seguito, sia pure con altri mezzi, la stessa politica di spezzettamento dell'Europa centro-orientale portata avanti dalle potenze fasciste. Si dirà che la divisione della Cecoslovacchia, il distacco dell'Ucraina dalla Russia, sono avvenute  senza guerre, ma questo dimostra soltanto che l'azione sotterranea del capitale è spesso molto più efficace, nelle manovre di asservimento dei popoli, delle operazioni militari. Nel caso della Jugoslavia, questo vivisezione "pacifica" non è riuscita, e l'opzione militare ha preso il sopravvento, ma, prima ancora che agissero gli aerei, e venissero lanciate bombe chimiche o all'uranio impoverito, il terreno è stato preparato dalle menzogne e dalle provocazioni.  Ora c'è il grave pericolo che questa infamia si ripeta. La NATO, in gravi difficoltà in Afghanistan, cerca una rivalsa, e potrebbe addirittura  entrare in crisi permanente se non riuscisse a imporre la sua volontà alla Serbia. Motivo di più per  lottare contro questo progetto imperialistico.


      La macchina delle falsità  e delle minacce in preparazione del conflitto si sta mettendo in moto. Per questo, il primo passo della nostra lotta alla guerra deve consistere in un lavoro di demistificazione. Occorre riesaminare le cause delle guerre che portarono alla disgregazione della Jugoslavia, confrontandole con le mille falsificazioni delle versioni ufficiali, in modo che anche le generazioni, che allora erano bambine, possano evitare di cadere nelle vecchie trappole. E' necessario condurre una lotta spietata ai pacifisti della chiacchiera - quelli che parlano sempre di pace e poi votano i finanziamenti delle spedizioni militari. Bisogna chiarire i legami tra le varie lotte, quelle contro le basi militari, contro la presenza di atomiche nel nostro territorio, la denuncia degli effetti dell'uranio impoverito. Noi conosciamo soltanto gli effetti  sui militari morti di leucemia e di cancro, ma quanti sono gli abitanti delle zone contaminate dalla guerra chimica e dall'uranio, morti o malati o le vittime delle cluster bomb. Tutte queste singole lotte e analisi, se collegate fra di loro, ci potranno dare finalmente un quadro veritiero sulla tragedia jugoslava, e avremo finalmente un arma  che, insieme con le lotte e le manifestazioni, ci permetterà di contrastare con maggiore efficacia i mentitori di professione, e gli avvocati della guerra e dell'imperialismo.



      Michele Basso 


      16 dicembre 2007





      Note


      1) Estratti della dichiarazione di voto di Cossiga: "Voto a favore della fiducia al Governo non certo per approvare questa legge inutile. Se poi l'amico Russo Spena, che ha ingoiato l'ampliamento della base di Ederle e che sta per ingoiare il Protocollo del welfare, si accontenta di una norma che è la ripetizione del Trattato di Amsterdam, facciamolo contento almeno per una giornata! Tra qualche ora potrà essere chiamato a votare il bombardamento di Belgrado o di Prijstina, e lo voterà, sono certo che lo voterà. ...
      Voto a favore della fiducia affinché il Governo non cada, e perché quindi non si apra una crisi proprio alla vigilia di eventi che pare tutti, qui, si siano scordati.
      Con la scadenza del 10 dicembre - sempre che il caro amico ministro degli esteri Massimo D'Alema, non riesca a prorogare il termine - il Kosovo dichiarerà unilateralmente la sua indipendenza; gli Stati Uniti seguiranno e la Germania... starà a guardare; e noi lì non siamo a girare la testa dall'altra parte, come in Libano, e non siamo neanche a distribuire scatolette; lì noi abbiamo la giurisdizione su un terzo del Paese e abbiamo l'obbligo, conferitoci dalle Nazioni Unite, di sparare contro chi turbi la tranquillità. Non preoccupatevi, amici della maggioranza, la sinistra radicale voterà anche a favore dei militari che sparano per la pace! ... Il Governo non cadrà neanche sul Kosovo!... Per questo motivo, io voto a favore di tutto, di tutto..." (Dal Resoconto stenografico della seduta n. 263 del 06/12/2007).


      2) "promemoria: d'alema va alla guerra", DOSSIER a cura di Gruppo Zastava Trieste antimperialismo - internazionalismo - solidarietà 338-9116699 zastavatrieste@??? http://digilander.iol.it/zastavatrieste - MARZO 2002. Le citazioni di D'Alema, Scognamiglio e Cossiga, riguardanti la guerra del Kosovo  sono tratte da questo dossier. Particolarmente utile, per la comprensione degli sviluppi politici che hanno portato all'intervento italiano nella guerra, l'articolo di Domenico Gallo "La vigilia della guerra", Date sent: Mon, 12 Mar 2001 20:40:23 +0200 From: CN La Jugoslavia Vivrà <jugocoord@???> Subject: [JUGOINFO] "La vigilia della guerra" di D. Gallo, contenuto nel dossier.


      3) Tommaso Di Francesco, " D'Alema gran testardo: pensa ancora di aver fatto un'azione degna... Balcani, i troppi non-detto di Massimo D'Alema",   Il Manifesto del 24/09/2006. 


      4) "E il Montenegro diventa una base. Accordo fatto. Il patto permette alle truppe Usa di stabilirsi nel paese in permanenza. Come avere una portaerei sempre al largo di Bari", 4 maggio 2007 - Tommaso Di Francesco"Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it).



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      http://www.sottolebandieredelmarxismo.it/





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