[Incontrotempo] Dopo il 12 dicembre

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Auteur: corrispondenze metropolitane
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À: incontrotempo
Sujet: [Incontrotempo] Dopo il 12 dicembre
Dopo il 12 dicembre.
E’ appena passato il 12 dicembre, anniversario della
strage che inaugurò una stagione di bombe: Piazza
Fontana. Era il 1969: al culmine della protesta
studentesca (con gli studenti che uscivano dalle
università per “andare alla fabbrica” – come si diceva
allora) si corse il “rischio” che questa potesse
saldarsi con la grande offensiva operaia dell’“autunno
caldo”. La politica delle stragi, quindi, trovava la
sua iniziale ragion d’essere nel tentativo di impedire
che si determinasse tale unione.
Il ricordo di quella giornata oggi appare sbiadito,
nonostante inziative apprezzabili, come quella
svoltasi mercoledì 12 a piazza Fiume a Roma, promossa
dalla Rete Antifascista Metropolitana. Eppure a
partire dalla strage di piazza Fontana è possibile
avviare una riflessione su dinamiche che, con tutte le
diversità del caso, si ripropongono ancora oggi,
percorrendo una sorta di filo rosso di cui non è
difficile seguire la traccia.
Oggi, infatti, a 38 anni di distanza, il potere
costituito muove dalla medesima logica, portando
ancora avanti il tentativo di diffondere l’insicurezza
e la paura collettiva per raggiungere le finalità, che
gli sono proprie, di ordine e di controllo sociale.
Però il contesto in cui opera è diverso, così come
differenti sono, in parte, gli strumenti adottati nel
perseguire i propri obiettivi. In una fase in cui
l’agire dei settori proletari fatica a ritrovare forme
stabili di organizzazione e di lotta, è la prevenzione
di uno scenario conflittuale a determinare gli scopi
dell’attuale politica repressiva. Si può leggere così
la campagna mediatica degli ultimi mesi, che ha
scatenato in tutto il Paese una vera e propria caccia
ai rom ed ai romeni, creando un clima di paura e
insicurezza tale da giustificare l’adozione di
provvedimenti razzisti dal sapore fascisteggiante
(leggi Decreto Espulsioni, stralcio del liberticida
Pacchetto Sicurezza, approvato “d’urgenza” dal
Consiglio dei Ministri).
Un aspetto che deve far riflettere è che la
manovalanza è rimasta sostanzialmente la stessa.
Certo, durante la stagione delle stragi, i fascisti
lavoravano su committenza dello Stato: oggi, il loro
nesso con le istituzioni è meno diretto. Rimane il
fatto che le aggressioni fasciste che si sono
succedute, soprattutto negli ultimi tempi, a Roma e in
altre città, non solo sono puntualmente rimaste
impunite, ma sono state lette come espressione
“dell’esasperazione e del senso di insicurezza della
gente”, svolgendo quindi una funzione cardine per
l’approvazione delle norme securitarie.
Così l’aggressione ai romeni a Tor Bella Monaca e
svariati altri episodi, nonché i periodici
attacchinaggi dal sapore xenofobo, lungi dal
configurarsi come atti estranei alle compatibilità
democratiche, servono a puntellare e consolidare il
potere (sia a livello cittadino romano, sia a livello
nazionale) e a mantenere uno clima di paura
all’interno del Paese.
Secondo la Rete Antifascista Metropolitana, il potere
costituto sta dando vita ad una vera e propria
strategia della paura. E’ una ipotesi da valutare con
attenzione. Il fatto è che oggi le bombe non servono:
dato il livello attuale del conflitto sociale, è
sufficiente l’arsenale mediatico a scatenare vere e
proprie ondate di terrore, funzionali alla repressione
e ad una richiesta collettiva di maggiore ordine.
Negli anni ’70 erano le stragi a svolgere questa
funzione. Il 1969 costituisce da questo punto di vista
la data centrale per capire le dinamiche di quel
periodo. La bomba alla Banca Nazionale
dell’Agricoltura (che provoca 17 morti e 88 feriti)
viene collocata dai neofascisti di Ordine Nuovo al
soldo dello Stato, in un’ottica di rafforzamento e
consolidamento del blocco di potere dominante e di
contrasto dei “nemici interni”, cioè dei movimenti che
si dispiegavano nelle piazze. A pagare sono gli
anarchici, cui viene addossata la responsabilità della
strage fin dal giorno stesso, ad inevitabile
conclusione dell’opera d’infiltrazione condotta dai
fascisti (Mario Merlino) per conto dei servizi
segreti.
Pietro Valpreda viene indicato dai giornali come il
“mostro” ed un ferroviere, Pino Pinelli, viene
“suicidato” dal quarto piano della Questura milanese
il 15 dicembre.
Ricordare la strage di Piazza Fontana, oggi, è non
solo doveroso, ma soprattutto necessario a leggere
l’attualità attraverso la lente della storia del
conflitto sociale, mettendo a fuoco le diverse forme
con cui il Potere, utilizzando la paura e
l’insicurezza (create ad arte), consolida se stesso e
giustifica le proprie politiche repressive. Ancora più
utile è ripartire dall’unità di classe tra italiani e
immigrati, sostenere le lotte di questi ultimi, per
una più concreta opposizione alla “politica del capro
espiatorio”, che ha tra i suoi fini quello di mettere
i proletari gli uni contro gli altri, evitando che si
conduca una lotta comune. Oggi, infatti, in assenza di
un movimento consistente e radicale come quello del
’68/69 da contrastare, vi è comunque interesse a
stroncare sul nascere qualsiasi spinta
all’autorganizzazione delle masse popolari.
Esserne consapevoli, saper individuare dove e come
agisce l’opera di prevenzione dei conflitti da parte
dello Stato, è già una buona base per opporsi alla
strategia della paura.
Roma, 15 dicembre 2007



Corrispondenze metropolitane – collettivo di
controinformazione e d’inchiesta
(riunione ogni martedì, ore 21, in via Appia Nuova
357)
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