Autor: FAI Torino Datum: To: cerchio Betreff: [Cerchio] Torino: "prima o poi, brucerete anche voi"
Torino: "prima o poi, brucerete anche voi"
Lunedì 10 dicembre si è tenuta a Torino una grande manifestazione in solidarietà alle vittime della Thyssen Krupp, i 4 morti bruciati vivi in un reparto privo di misure di sicurezza.
Il corteo ufficiale si è dipanato da piazza Albarello a Piazza Castello di fronte alla Prefettura, dove non sono mancati i fischi nei confronti della dirigenza di CGIL, CISL e UIL.
Successivamente una buona parte dei manifestanti ha deciso di proseguire verso la sede dell'Unione Industriale in via Fanti.
C'erano gli operai della Thyssen Krupp, con lo striscione della fabbrica, i sindacati di base (Cub; Cobas, Sdl), anarchici, antagonisti, lavoratori con le bandiere della UILM e della CGIL, o semplicemente con le mani in tasca ed il bavero alzato per difendersi dal freddo e dalla tentazione delle lacrime.
Nella centrale ed elegante via Roma i negozi di lusso avevano le serrande alzate e le luci accese, ma il corteo operaio ha imposto che le serrande calassero giù e le luci si spegnessero.
Il padre del più giovane degli operai morti nell'acciaieria, sommessamente urlava, diretto ai padroni, "prima o poi, brucerete anche voi".
Di fronte alla sede dell'Unione Industriali sono volate uova ed un unico grido: "assassini".
Di seguito il testo del volantino diffuso durante il corteo dalla FAI Torinese.
Uomini e no - La strage del lavoro
10 euro. Questo è il costo della ricarica di un estintore. Questo è il valore della vita di un uomo per i padroni della Thyssen Krupp. Per i padroni di ogni dove in questo mondo diviso in uomini e no.
La strage della Thyssenkrupp del 6 dicembre 2007 svela solo a chi fino a qui ha voluto tener gli occhi chiusi o fatto finta di non vedere, che ogni giorno viene combattuta una sanguinosa guerra tra il capitale e il lavoro, meglio, che la vita di chi lavora è sempre in pericolo e che uno dei destini di chi lavora è quello di perderla, la vita, per la "pagnotta".
Della guerra in Afganistan nulla ci fanno vedere, salvo quando muore uno dei "nostri", come un "eroe". E neppure della guerra che qui viene combattuta in ogni fabbrica, in ogni "boita" ci fan vedere e sapere nulla, se non le fredde statistiche che a fine anno contano i morti e gli infortuni sul lavoro.
Gli operai bucano il video solo quando bruciano come torce in gruppo, non tutti i giorni quando almeno quattro di loro (media nazionale degli ultimi anni) perde la vita.
Lo stabilimento ora della Thyssenkrupp fu della Fiat e poi della Teksid, sempre gruppo Fiat, e poi passò di mano fino agli attuali proprietari. Che questo stabilimento decisero di chiudere, assieme a quello di Terni, per delocalizzare in Cina e altrove. Terni per il momento si è salvato e Torino doveva chiudere entro il giugno prossimo; il reparto dove è accaduta la strage doveva chiudere a febbraio 2008. Ma fino all'ultimo bisognava produrre, in qualsiasi condizione, sotto il ricatto del licenziamento, della mobilità, di non riuscire più a dare alla propria famiglia una vita decorosa. Tutti coloro che hanno lasciato che quegli uomini lavorassero nelle condizioni che ora sono sulle prime pagine di tutti i giornali nazionali (misure di sicurezza inesistenti, turni di 12 ore di lavoro) sapevano perfettamente quel che facevano: accettavano come normale il rischio che quegli uomini morissero, voce messa a bilancio, costo certamente compensato dall'immane sforzo di quei duecento operai che negli ultimi mesi hanno lavorato in Thyssenkrupp facendo quello che prima si faceva in più di trecento.
Nella nostra Italia scaccia rom, dove si cerca di scrivere leggi elettorali un po' più tedesche o un po' più spagnole, dove il neonato Partito Democratico si dice equidistante da capitale e lavoro, tutti i giorni i lavoratori sono mandati al macello sotto il ricatto del prendere o lasciare, tanto fuori c'è la fila per prendere il tuo posto.
Nella Torino tutta luci d'artista e sbornia post olimpica, dove si progettano scintillanti grattacieli e devastanti TAV, dove si è "sempre in movimento, always on the move", versione subalpina e postuma della "Milano da bere", c'è chi all'una di notte, quando nei cento locali scorre la "movida notturna più attraente d'Europa" (così ha scritto La Stampa di recente), crepa orrendamente in condizioni di lavoro ottocentesche. Il fatto è che non è solo, il fatto è che tutti i giorni, tutte le ore, tutti i minuti, c'è chi per vivere rischia di morire, scambiando il rischio della propria morte con il tozzo di pane che gli permette di continuare a vivere: e a rischiare di morire.
L'orrenda strage di Torino ha mostrato la cruda realtà di ogni giorno.
Non bastano le lacrime postume, il cordoglio istituzionale, la pur doverosa solidarietà alle famiglie delle vittime. Occorre girare pagina. E per farlo non basta qualche estintore e qualche controllo in più, perché la mancanza di misure di sicurezza non è che la punta dell'iceberg dell'ingiustizia di classe, dello sfruttamento dei pochi sui molti. Chiamano benessere e ricchezza nazionale i profitti dei padroni. Sarebbe tempo di cambiare il senso alle parole ed alla storia e chiamare ricchezza la salute, il benessere e la libertà di tutti. A 7 operai di Torino è stato cancellato il futuro in una fiammata straziante. A noi tutti lo cancellano ogni giorno, ora per ora, mentre lavoriamo per il profitto di lor signori.
Riprendiamoci la vita, riprendiamoci il futuro, espropriamo i saccheggiatori, devastatori ed assassini che siedono nei consigli di amministrazione! Neghiamo un futuro al capitale!