[NuovoLab] sovversione di stato

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il manifesto 30.11.07

Sovversione di stato
Gabriele Polo

Un processo da pilotare, scansare, svuotare. Con una serie di false
testimonianze rese da rappresentanti dello stato per difendere
un'istituzione dello stato.
Anche a costo di screditare, svilire, immobilizzare un'altra istituzione
dello stato.
Il tutto diretto dai massimi vertici di chi dovrebbe garantire la sicurezza
dei cittadini e, invece, tutela solo se stesso e il suo potere.
Genova, G8, processo per i fatti della Diaz: quello che pubblichiamo a
pagina 3 è il racconto di un tentato sopruso contro il diritto, per coprire
la messa in mora del diritto durante due terribili giornate di un'estate di
sei anni fa.
Le false testimonianze dei dirigenti di polizia su indicazioni dell'allora
capo della polizia Gianni De Gennaro (poi promosso a capo di gabinetto del
Viminale), il tentativo di smontare l'inchiesta sulla mattanza della Diaz
attaccando il magistrato inquirente e la partecipazione a tale disegno
dell'attuale capo della polizia, Antonio Manganelli, possono essere letti
come una «semplice» difesa di interessi personali o come una «nobile»
tutela dell'onorabilità di corpo.
Ma probabilmente c'è qualcosa di più profondo e grave.
Sappiamo tutti cos'è stata Genova 2001, nell'evidenza delle violenze e
degli abusi. Sappiamo qual è stato il suo senso politico,
nell'indiscubilità del dominio che nessuna piazza avrebbe più dovuto
contestare. Ma sappiamo meno quale ridefinizione dei poteri dello stato si
sia praticata in quei giorni tra piazza Alimonda, la scuola Diaz e la
caserma di Bolzaneto.
Ora, l'inchiesta che dovrebbe portare (condizionale d'obbligo) al rinvio a
giudizio di Gianni De Gennaro ci aiuta a capire meglio.
L'accusa per De Gennaro è d'istigazione alla falsa testimonianza, cioè una
regia tesa a coprire e difendere il sistema costruito dall'ex capo della
polizia: una gestione dell'ordine pubblico totalmente svincolata dal
controllo della magistratura. Genova, l'assalto alla Diaz fatto in assenza
di alcuna tutela di legge (il magistrato avrebbe dovuto essere come minimo
informato), rivelano una sovversione interna allo stato: prima un uso tutto
politico - appoggiato dal potere esecutivo - dell'ordine pubblico, poi la
polizia che si appropria del potere d'arresto e di persecuzione penale.
La rappresentazione esemplare di cosa avrebbe dovuto essere quella
struttura centrale di Ps (nata poi nel 2006) costruita a immagine e
somiglianza dell'Fbi, il modello americano che bypassa la magistratura
tanto caro a De Gennaro, che con gli apparati Usa ha ottimi rapporti.
Da qui le bugie («siamo stati attaccati»), le false prove (le molotov
«trovate» alla Diaz), le false testimonianze per smontare il processo.
A che punto sia arrivata tale degenerazione lo indicherà la sorte del
processo di Genova.
Quali argini esistano ancora a una gestione autoritaria e «indipendente»
dell'ordine pubblico, quali limiti abbiano i suoi dirigenti, lo dovrebbe
dire il governo.
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La «prova falsa» che giustificò la Diaz, un artificiere capro espiatorio e
l'inchiesta dei pm
La vendetta delle molotov scomparse
Simone Pieranni

«Quelli della Digos avevano detto "ah ce le riprendiamo"». Marcellino
Melis, responsabile del nucleo artificieri della Digos genovese, mentre
attende una chiamata, parla con un suo collega delle bottiglie molotov
scomparse. Ricorda la loro presenza dentro un sacchetto. E conclude: «Però
non lo posso dire al magistrato». E infatti Melis, ascoltato dal pool di pm
che indagano, contro ignoti, sulla sparizione delle molotov della Diaz, non
dice niente. Per questo, alla luce delle intercettazioni in possesso della
magistratura, è l'unico iscritto nel registro degli indagati, per false
dichiarazioni ai pubblici ministeri.
Tutto inizia il 17 gennaio 2007: i difensori dei poliziotti a giudizio
chiedono di poter vedere le famose molotov affinché siano convalidati gli
eventuali riconoscimenti in aula. Le bottiglie però non si trovano più. Il
presidente Barone decide che varranno i riconoscimenti fotografici, ma la
tensione sale. Parte un'indagine interna alla questura di Genova, chiusa in
fretta e furia in pochi giorni. De Gennaro, allora capo, manda a indagare
nel capoluogo ligure Giuseppe Maddalena, dirigente di polizia e direttore
interregionale per il Piemonte, Liguria e Val D'Aosta. La conclusione è tra
il laconico e il fatalista: le bottiglie devono essere state distrutte per
sbaglio. Viene fornita la cronistoria della loro esistenza: il 6 agosto
2001 le molotov sono repertate all'interno del fascicolo contro i 93
manifestanti pestati e poi arrestati alla Diaz; il 16 agosto le prende in
consegna l'artificiere Melis e le porta in questura: è la prassi per il
materiale ritenuto potenzialmente pericoloso; il 28 agosto vengono portate
alla polizia scientifica: i tecnici devono effettuare i rilievi per le
impronte digitali; il 10 settembre 2001 la scientifica trasmette i rilievi
a Dominici, dirigente della squadra mobile di Genova, che li invia alla
Procura; tra il 9 e il 14 settembre 2001, per ordine del procuratore capo
di Genova, Francesco Lalla, presso lo stadio Carlini viene fatto brillare
materiale esplodente di varia natura. Poi il nulla.
Nel documento della questura genovese si lascia intendere che le due
bottiglie molotov potrebbero essere state distrutte per errore, indicando
il nome dell'artificiere, tale Marcellino Melis, come probabile sbadato del
caso. Quest'ultimo, in realtà, nelle sue consuete relazioni sulle sue
attività, annota tutto in modo molto preciso: è stato anche ascoltato nel
procedimento contro i 25 manifestanti condotto dai pm Canepa e Canciani.
Durante la sua deposizione Melis è stato preciso nello spiegare le
procedure, la documentazione fotografica con le quali solitamente si
procede alla distruzione dei reperti. Inoltre gli artificieri ricevono un
indennizzo quando distruggono, previa autorizzazione, prove processuali.
Nel caso delle due molotov della Diaz, invece, nessuna nota, nessuna foto e
nessun indennizzo.
Le bottiglie, riconosciute come prova falsa solo nel giugno 2002, quando si
scoprì che anziché essere rinvenute alla Diaz erano state ritrovate in
corso Italia, risultano evaporate. Ne parla perfino l'inglese Bbc, ma il
caso non si risolve. L'inchiesta interna della questura genovese risulta
affrettata e allora la procura apre un fascicolo contro ignoti e comincia
ad ascoltare tutti gli artificieri, gli uomini della Digos di Genova e
chiunque, anche in passato, avesse potuto avere a che fare con le
bottiglie: l'ipotesi della distruzione dolosa accidentale non convince i
pm. In mezzo alle intercettazioni e alle indagini sul caso ci finiscono
proprio Mortola, Colucci e De Gennaro.

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"Eppure il vento soffia ancora...." Pierangelo Bertoli (1942 - 2002)

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