«Le molotov? Ok, fatte sparire»

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secolo xix

«Le molotov? Ok, fatte sparire»
G8, le intercettazioni

Dalla ripicca di due agenti per un turno festivo è partita l'inchiesta che tocca De Gennaro

GENOVA. «Le molotov sospette? Le hanno fatte sparire, portate via».
Lo dice uno dei poliziotti che doveva custodirle.
E nell'intreccio delle intercettazioni telefoniche che hanno messo nei guai l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, accusato d'aver istigato l'ex questore di Genova Francesco Colucci a mentire sul blitz alla Diaz, spunta la telefonata che più di altre allunga ombre sul comportamento degli agenti nel corso delle inchieste G8.
Una conversazione che dimostra, secondo la procura, non solo che le bottiglie incendiarie furono introdotte nell'edificio dalle forze dell'ordine e non dai noglobal.
Ma soprattutto che la loro scomparsa, clamorosa, registrata nel gennaio scorso e capace di mettere a rischio le udienze agli imputati dei pestaggi nella scuola, è stata frutto d'una consapevole sottrazione alla custodia degli artificieri, e del trasporto in un luogo «particolare» affinché fossero distrutte.

giochi esplosivi.
Il telefono sotto controllo, il primo tassello d'un domino che coinvolgerà, oltre a De Gennaro, persino l'attuale capo della polizia Antonio Manganelli, è quello di Marcellino M., un artificiere in servizio presso il nucleo regionale "Liguria". La sua è un'utenza «marginale», fatta ascoltare dal sostituto procuratore Vittorio Ranieri Miniati per far luce su un'altra vicenda: la denuncia di un collega accusato di aver dichiarato ai superiori lo smaltimento di residuati bellici, che in realtà nono sono mai stati distrutti e furono ritrovati successivamente in un armadietto.
Una storia di per sé inquietante, poiché secondo l'indagato l'accusa nei suoi confronti è stata mossa da altri due artificieri solo per vendetta, dopo una "sgradita" compilazione dei turni domenicali.
Fatto sta che Marcellino M., estraneo al primo giallo, ma facente parte dell'ufficio dove avvengono ripicche e si materializzano bombe che dovevano essere distrutte, parlando con un amico si tradisce e fa capire «senza ombra di dubbio» che la scomparsa delle molotov è dolosa.
Non solo: nella chiamata su cui si concentra l'attenzione dei pm, fornisce elementi «inequivocabili» che confermerebbero come ad appropriarsene sia stato un altro poliziotto, e come la distruzione del materiale sia avvenuta in un luogo diverso da quello in cui erano conservate.
Ecco perché viene aperto un fascicolo d'inchiesta che contempla le ipotesi di «peculato» (ovvero l'appropriazione di un bene nella disponibilità della pubblica amministrazione compiuta da un incaricato di pubblico servizio) e il «porto abusivo di armi da guerra», poiché le molotov vengono trasportate da un'altra parte.
Non è stato Marcellino M. ma, insistono i pubblici ministeri, qualche collega che evidentemente conosce e di cui non vuole rivelare il nome.
Gliene chiedono conto nel corso di un delicatissimo interrogatorio in procura (il verbale è stato visionato dal Secolo XIX), durante il quale i magistrati lo incalzano più volte con frasi del tipo «si sta mettendo nei guai per gli altri», «non difenda a tutti i costi i suoi superiori», «ma lei vuole proprio pagare gratis».
Marcellino M. non parla ed è indagato per falsa testimonianza.

REGISTRI MANCANTI. Le lacune da colmare restano profonde.
Le molotov sono state forse distrutte al posto di altro materiale esplosivo, che non dovrebbe più esistere e invece non è stato smaltito?
E ancora: chi ne ha curato gli spostamenti e il deposito nei quasi sei anni che hanno separato il G8 e l'ultimo scandalo? L'indagine amministrativa, subito aperta dai vertici della pubblica sicurezza per far luce sulla clamorosa defaillance, è affidata al ispettore interregionale Giuseppe Maddalena, da molti chiamato confidenzialmente «Beppe» nelle intercettazioni.
Lo stesso, in un verbale di «sommarie informazioni» anch'esso visionato dal nostro giornale, dichiara di propendere per un «caso fortuito» e di non sapere bene chi nel tempo si è potuto materialmente avvicinare agli ordigni. I pm lo incalzano: «Ma come, il 99% delle operazioni degli artificieri è registrata con assoluto scrupolo in ogni passaggio, mentre dell'1% rappresentato dalle molotov non si sa quasi nulla, non c'è una traccia cartacea?».
Maddalena tentenna, e alla domanda su chi era incaricato di consegnare le bottiglie agli artificieri fa il nome di Spartaco Mortola, ai tempi del G8 capo della Digos di Genova e indagato insieme a Colucci e De Gennaro per le false testimonianze sul blitz.

FALSE TESTIMONIANZE. Ecco allora che la procura decide d'intercettare Mortola, il quale a sua volta è continuamente contattato dall'ex questore del capoluogo ligure Colucci, agitatissimo poiché il 3 maggio scorso dev'essere interrogato sulla Diaz:
«Il capo mi ha dato le sue dichiarazioni, devo uniformare la mia versione alla sua e mi ha detto di fare marcia indietro su certe cose».
Il mosaico è sempre più grande e coinvolge ormai i big della polizia, tanto che negli ultimi giorni a Colucci, Mortola e De Gennaro è stato notificato l'avviso di conclusione delle indagine, con ogni probabilità preludio d'una richiesta di rinvio a giudizio.
«Dopo aver letto i verbali - spiegano ora gli avvocati Piergiovanni Iunca e Alessandro Gazzolo - si fa davvero fatica a capire quale sia il suo ruolo di istigatore, di suggeritore.
Di fronte al profluvio di parole di Colucci, resta quasi sempre in silenzio e gli ricorda solo cose già conosciute, già agli atti».
Nelle intercettazioni compaiono spesso le testate giornalistiche e i loro articoli.
In un colloquio si parla anche del Secolo XIX.
Mortola dialoga con un altro poliziotto: «Hai visto il Secolo? Gliel'hai dato tu quel filmato?».
«Io no!». «E allora chi c... gliel'ha dato?
È il nostro filmato, ho riconosciuto le nostre scritte».
«Io no e non riesco a capire chi». «Mah, mistero».

matteo indice
marco menduni

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