[NuovoLab] L'ora dell'addio per Gianni De Gennaro?

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著者: antonio bruno
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L'ora dell'addio per Gianni De Gennaro?
Lorenzo Guadagnucci Comitato Verità e giustizia per Genova
[27 Novembre 2007]

Mi sbaglierò, ma stavolta la carriera di Gianni De Gennaro potrebbe finire
davvero. Le ultime rivelazioni, con la probabile richiesta di rinvio a
giudizio a Genova per induzione alla falsa testimonianza, sono così
umilianti che forse stavolta il «grande capo» della polizia italiana,
attualmente capo di gabinetto del ministero dell’interno, farà davvero quel
passo indietro che in un paese più rigoroso del nostro sarebbe avvenuto
nell’estate 2001, all’indomani del disastroso G8 genovese. De Gennaro è
accusato di avere spinto l’ex questore di Genova, Francesco Colucci,
chiamato come testimone al processo Diaz, a «correggere» la deposizione
resa durante la fase d’indagine, in modo da renderla coerente con quella da
lui stesso fornita. La «prova» di questo aggiustamento, risalente al giugno
scorso, sarebbe contenuta nelle registrazioni di alcune telefonate fra
Colucci e un altro imputato al processo Diaz, Spartaco Mortola, nel 2001
capo della Digos genovese e poi assurto al rango di vice questore di
Torino. Stando agli stralci pubblicati in questi giorni sui quotidiani,
l’«aggiustamento» della deposizione è piuttosto lampante. Colucci dice «ho
parlato con il capo, devo rivedere un po’… fare marcia indietro», e Mortola
intanto gli ricorda qualche dettaglio sulla serata del 21 luglio, in modo
da rinfrescargli la memoria.
Per carità di patria, dovremmo sperare che ci sia un errore, che sia tutto
un equivoco. Che il «capo» di cui parla Colucci non sia De Gennaro, che il
«racconto» di Mortola sia un’innocente rievocazione, che la traballante e
un po’ penosa testimonianza di Colucci al processo sia stata il frutto di
un momento di sbandamento dell’ex questore. Speriamo che sia così. Ma
potrebbe anche essere tutto vero.
Fra venti giorni i pm chiederanno con ogni probabilità il rinvio a giudizio
di De Gennaro, Mortola e Colucci e a quel punto l’umiliazione pubblica per
la polizia di stato toccherà il suo punto più critico. Anche stavolta
qualcuno dirà che c’è la presunzione d’innocenza fino al terzo grado di
giudizio, ma di fronte ai verbali delle telefonate e a un processo che ha
messo a nudo l’arroganza e le piccinerie della nostra polizia, la
credibilità del gruppo dirigente che la guida sarà azzerata. E’ vero che
non c’era bisogno di questa ulteriore inchiesta per concludere che la
polizia italiana ha bisogno di un profondo ricambio e di un’autentica
rivoluzione culturale, ma questi sei anni ci hanno insegnato che la polizia
è ormai un corpo separato, corporativo, che non teme il giudizio
dell’opinione pubblica ed è protetta da una classe politica debolissima,
incapace d’imporre le regole più elementari dell’etica democratica. Si
spiegano così la permanenza al vertice di De Gennaro fino al giugno scorso,
la sua successiva chiamata al ministero e le promozioni accordate in questi
anni a tutti i principali imputati nei processi genovesi. Stavolta però c’è
l’umiliazione pubblica e personale del «grande capo» e potrebbe scattare
l’emergenza all’interno della corporazione. Vuoi vedere che De Gennaro è
diventato di troppo? Non saranno il ministro o il capo del governo a
chiedergli di fare un passo indietro – troppo deboli e succubi di una
logica sfuggita al loro controllo – ma sarà lui stesso a capire d’essere
arrivato al capolinea. Il suo successore e fidato braccio destro, Antonio
Manganelli, ha già fatto sapere tramite un giornale genovese che nel luglio
2001, all’indomani del G8, non concordò sulla valutazione positiva della
gestione della piazza data dal suo capo ed espresse esplicite obiezioni
sulla conduzione del blitz alla Diaz. E l’altro giorno lo stesso Manganelli
ha reso noto che sono stati individuati e segnalati per i provvedimenti
disciplinari del caso, i due agenti protagonisti della nota registrazione
pubblicata nell’estate scorsa, nella quale una poliziotta parla con un suo
collega di «zecche comuniste» e commenta con un gridolino e un esplicito
«uno a zero per noi» l’uccisione di Carlo Giuliani. Due indizi non fanno
una prova, ma non sarà che il nuovo capo della polizia sta prendendo le
distanze dal suo predecessore?