lettera aperta
Caro Alex, ciò che serve è un paziente lavoro
Lidia Menapace
Caro Zanotelli, ti rispondo innanzitutto con le parole di Domenico
Jervolino arrivate neanche a farlo apposta nella mia mail ieri: «Se ci
contentiamo di salvarci l'anima, votare contro (e tutto resta come prima,
anzi peggio) allora Alex ha ragione. Se invece la politica è un lavoro
paziente e faticoso per spostare in avanti gli equilibri nella situazione
data (etica della responsabilità) credo che difficilmente si potrebbe fare
meglio di quanto stanno facendo oggi i compagni al Senato». «Naturalmente
si può discutere politicamente sulla partecipazione al governo ma è
profondamente ingiusto presentare quei compagni come se fossero dei
traditori e additarli al pubblico ludibrio». Parole confortevoli e serie.
La questione infatti non è - di volta in volta - rimanere esterrefatti
perché la Tavola per la pace proprio quest'anno ha tolto la pace dalla
piattaforma della marcia Perugia- Assisi, o perché la Finanziaria viene
votata nel testo concordato in maggioranza, e che è già il frutto di un
lavoro tenacissimo dei compagni e delle compagne che hanno lavorato nelle
Commissioni: la questione è se ci si debba considerare legati al patto di
sostenere questo governo o se invece si viene formalmente sollecitati a
farlo cadere. E la stessa cosa mi sentirei di dire ai compagni del
manifesto quando ci attaccano a sproposito come ieri anche a pagina 4, su
quanto ha giustamente detto Napolitano dei rumeni, accusandoci di silenzio
colpevole perché staremmo cedendo sul decreto sicurezza. Che non è vero e
che è la Sinistra a battersi per ridurre il danno al minimo lo sanno anche
i sassi. Perché fate finta di non saperlo voi? Ho già detto che mi
considero legata al patto con gli elettori, ma sono aperta al dibattito su
questo tema, purché fosse indicato così: bisogna buttare giù questo
governo, e indicare quali vantaggi ne seguirebbero.
Il nodo delle spese militari non è di oggi né di ieri. Abbiamo ereditato
una situazione pressappoco così fatta: le fabbriche d'armi si chiamano
«industrie della difesa» si trovano nel bilancio dello stato tra le spese
produttive e le stesse fabbriche d'armi si considerano orgogliosamente la
colonna portante del bilancio dello stato. Tutto ciò è conseguenza di una
«interpretazione» dell'articolo 11 proposta anni fa dal generale Jean,
secondo la quale la difesa deve intendersi non più come difesa del
«territorio» nazionale, bensì degli «interessi» nazionali ovunque nel
mondo, anche con forze di intervento rapide. Contro questa interpretazione
si batté invano Raniero La Valle, il quale aveva proposto di definire
meglio l'articolo 11 con legge ordinaria per riportarlo al suo significato
autentico.
Oggi (ma bisognerebbe interpellare dei costituzionalisti esperti)
bisognerebbe forse aprire una controversia attraverso la Corte
costituzionale. Di questo tipo mi pare potrebbero essere azioni di
movimento, visto che appelli generici, anche se generosi, non ottengono
nulla.
Infatti, e questa è la seconda grave questione, si è largamente diffusa e
anche ha messo radici una cultura che considera la guerra come una ratio
nemmeno tanto extrema. Non è infatti un mistero che la destra fornirebbe
voti in quantità sulle spese militari: in quantità, ma non gratuitamente e
se il governo si fosse trovato in minoranza su quei capitoli, la sua
caduta sarebbe stata molto probabile.
Come si vede tutto ci rimanda alla questione fondamentale: chi giudica
negative, immorali, vergognose le nostre posizioni, ci chiede di far
cadere il governo? E allora lo dica chiaro e ci spieghi anche che tipo di
appoggio ci darebbe e con quali argomenti in seguito. La situazione è
serissima: personalmente credo che dobbiamo volere che il governo resista
più a lungo di Bush, che consolidi rapporti in Europa per il rientro (ad
esempio) dall'Afghanistan. Una volta raggiunti questi «obiettivi
intermedi» si può discutere di modifiche del governo. E intanto si sarà
visto quale sia la reale forza dei due grandi partiti virtuali che
occupano un dilatatissimo «centro» tutto democratico, tutto moderato,
tutto riformista. Se non siamo capaci di vedere lo spazio culturale,
sociale, politico che resta a sinistra e non mettiamo in opera tutte le
nostre capacità compositive e di raccordo, può capitarci - meritatamente -
di scomparire dalla storia.