LA STORIA SIAMO 
NOIPerché un evento storico come la mobilitazione contro 
il G8 del 2001, di straordinaria potenza e di innovazione delle forme di 
partecipazione politica, non venga riscritto nelle aule di tribunale.Per 
impedire che 25 persone a Genova e 13 a Cosenza paghino, con secoli di carcere e 
milioni di euro, la volontà di rivalsa sul fatto che 300.000 persone scesero in 
piazza nel 2001 contro i padroni del mondo.Perché questi processi con 
imputazioni assurde e anacronistiche come il reato di "devastazione e 
saccheggio" e con le loro prossime sentenze, non diventino un'ipoteca sulla 
libertà di manifestare di tutti i movimenti.Perché Genova, come nel 2001, si 
faccia portatrice di un mondo senza frontiere, contro ogni forma di razzismo, 
contro politiche securitarie ed espulsioni di massa che mettono a rischio le 
libertà di tutti.Le promozioni di De Gennaro e di molti altri dirigenti 
delle forze dell'ordine coinvolti nei fatti di Genova, la sicura prescrizione 
dei processi contro i poliziotti imputati per il massacro della scuola Diaz e le 
torture della caserma di Bolzaneto, l'archiviazione del processo per l'omicidio 
di Carlo Giuliani, così come la bocciatura della commissione parlamentare 
d'inchiesta sulla gestione dell'ordine pubblico in quelle giornate, 
rappresentano un'ulteriore offesa ai movimenti e uno schiaffo alla città di 
Genova.*Invitiamo a ripartire da Genova per mobilitarci contro chi devasta 
la nostra storia e saccheggia le nostre vite*.
PER ADERIRE: lastoriasiamonoi@???
LA STORIA NON SI RISCRIVE NEI TRIBUNALI. 
IL CONFLITTO SOCIALE NON SI ARRESTANon gli è bastato assassinare Carlo Giuliani; hanno dovuto archiviare 
il processo ai suoi assassini.
Non sono bastate la mattanza della Diaz, l’orrore delle torture 
di Bolzaneto, la macelleria cilena delle strade di Genova: devono far cadere in 
prescrizione i reati commessi dalle cosiddette forze dell’ordine e garantire, 
con centrodestra e centrosinistra in sintonia, la continuità del comando della 
polizia e la promozione di De Gennaro.
Oggi 25 compagni/e a Genova e 13 a Cosenza rischiano di pagare 
carissima, con secoli di galera e milioni di euro di multa, la rivolta, 
praticata insieme ad altri 300.000, contro la calata dei padroni del mondo a 
Genova per il G8 del luglio 2001.
A Napoli sono già stati pesantemente condannati alcuni attivisti 
per una iniziativa di protesta contro il carovita alla Ipercoop di Afragola, 
mentre su altri 19 incombe il processo per una iniziativa analoga a Roma il 6 
novembre del 2004. Diventa sempre più frequente che i protagonisti dei conflitti 
sociali finiscano seppelliti dalle condanne piuttosto che vedere una risposta 
alle legittime esigenze popolari che pongono.
La magistratura genovese non ha esitato a sostenere contro i 
processati incredibili e pesantissimi capi di imputazione, devastazione e 
saccheggio (a Genova) e cospirazione contro i poteri dello stato (a Cosenza), 
che fanno accapponare la pelle a qualsiasi sostenitore dello stato di 
diritto.
Quello stato di diritto che viene ridotto a brandelli in questi 
giorni da una isteria securitaria, che, incubata dalla propaganda razzista e 
fascista durante il governo Berlusconi e poi accelerata dall’ossessione del 
controllo e dell’ingabbiamento sociale da parte dei sindaci-sceriffi del 
centrosinistra con le ordinanze repressive contro lavavetri e writers, oggi 
sfocia nel decreto del governo di chiara matrice razzista e xenofoba, con il 
“dolce” Veltroni a menare le danze contro romeni e rom.
Il tutto mentre governo, Confindustria, Cgil-Cisl-Uil procedono 
nella demolizione dei diritti sociali con il protocollo del 23 luglio che 
massacra la previdenza pubblica e rende eterna la precarietà, con una 
Finanziaria che dà soldi solo al padronato e immiserisce salari e servizi 
sociali, che aumenta ancora le spese militari e addirittura vede il 
centrosinistra compatto nello stanziamento di 30 milioni di euro per riportare 
in Italia (alla Maddalena) il G8 nel 2009.
I processi di Genova e Cosenza costituiscono una ignobile 
operazione liberticida, che non solo mette terribilmente a repentaglio la 
libertà degli imputati/e, ma rappresenta un monito minaccioso contro tutto il 
movimento antiliberista e no-war, contro tutte quelle lotte sociali che 
fuoriescono dalle compatibilità capitalistiche, contro tutti/e coloro che 
continuano a battersi per un altro mondo possibile e indispensabile.
Si processano i nostri compagni/e perché si vuole delegittimare 
e cancellare ogni traccia di conflitto sociale.Ma il movimento non si fa 
processare: per questo saremo tutti/e a Genova, nel ricordo di Carlo Giuliani, 
per richiedere l’assoluzione di tutti gli imputati/e di Genova e Cosenza, Lo 
faremo nella continuità ideale e concreta con le lotte di quest’anno, dal 9 
giugno allo sciopero del 9 novembre, perché il conflitto sociale non può essere 
ingabbiato, perché non permetteremo che siano i tribunali a riscrivere la storia 
dei movimenti e di chi si ribella ai padroni del mondo, al dominio spietato del 
profitto, della guerra, della mercificazione totale dell’esistente.
prime adesioni: Cobas, RdB-Cub, SdL, Sinistra Critica, PCL , 
Rete dei Comunisti, Global Network, Action, Rete semprecontrolaguerra , Rete 
nazionale Disarmianoli, Partito dei Comunisti Italiani 
(Campania)
PERCHE' DICIAMO NO ALLA 
COMMISSIONE DI INCHIESTA E SI' A UNA MANIFESTAZIONE DI 
MASSASupportolegale è un collettivo che da 
quattro anni si occupa di seguire i processi relativi ai fatti del G8 composto 
da persone che sono state protagoniste, insieme ad altre migliaia, di tutti gli 
eventi che hanno reso Genova un nodo delle nostre vite e della nostra storia. 
La giornata del 17 novembre ha mosso i suoi primi passi 
anche e immodestamente vogliamo dire soprattutto da un appello generico alla 
mobilitazione sui processi genovesi che abbiamo pubblicato come Supportolegale 
su Liberazione e Manifesto nelle scorse settimane. Supportolegale ha deciso 
di partecipare come promotore e organizzatore della giornata proprio per 
contribuire a focalizzare l'attenzione di tutti sulla necessaria difesa di 25 
manifestanti usati come capro espiatorio di un episodio che non può che essere 
visto e vissuto se non come un pezzo della nostra storia collettiva. 
L'operazione in corso nei tribunali di Genova - e di Cosenza - è un'operazione 
che mira a terrorizzare le forme più decentralizzate e spontanee di 
partecipazione alla vita politica e sociale da parte delle persone. Per 
questo l'appello che avevamo fatto e la giornata intera si è giustamente 
intitolata "La Storia Siamo Noi", perché pensiamo che siano i protagonisti 
stessi degli eventi a dover ricostruire insieme la verità e la complessità su 
quelle giornate: solo le 300.000 persone che erano in piazza in quei giorni 
possono essere in grado di raccontare agli altri e a se stessi ciò che è 
avvenuto in quei giorni senza pruriti giustizialisti o moralisti, ma con il 
desiderio di capire il più possibile quello che è accaduto.E' questo il 
motivo per cui, al contrario di altri promotori, noi non siamo d'accordo e non 
lo siamo mai stati con una commissione di inchiesta parlamentare in cui una 
parte di coloro che gestiscono e amministrano il potere cerchino di 
ufficializzare una propria verità. Ed è anche per questo che il tema della 
commissione parlamentare non è uno degli elementi centrali dell'invito alla 
mobilitazione.Come tutti gli altri promotori anche noi auspichiamo una 
manifestazione pacifica e di massa, in cui la nostra voce e le nostre idee 
possano tornare a farsi sentire, e speriamo nell'ospitalità della città di 
Genova e dei genovesi, che in moltissime altre occasioni hanno dimostrato amore 
e rispetto per i movimenti sociali e politici protagonisti della storia del 
nostro paese e non solo. Supporto Legale
http://supportolegale.org
IL G8 DI GENOVA, LA 
DEMOCRAZIA SOSPESAA Genova, 
nel luglio del 2001, per più giorni fu abiurato lo stato di diritto. Le regole 
di base della democrazia furono ripetutamente calpestate.Sono passati più di 
sei anni e le ferite di quei giorni sono ancora aperte.Non abbiamo avuto un 
processo per l'uccisione di Carlo Giuliani, precluso da un'inaccettabile 
archiviazione. Ministri e presidenti del consiglio non hanno mai chiesto scusa 
alla cittadinanza e alle vittime delle violenze e degli abusi - per strada, alla 
Diaz, a Bolzaneto, al Forte San Giuliano - compiuti dalle forze dell'ordine, 
nonostante ricostruzioni ormai inoppugnabili e alcune sentenze del tribunale 
civile che hanno obbligato lo stato a risarcire cittadini ingiustamente 
aggrediti durante le manifestazioni.
Gli operatori e i funzionari coinvolti in queste operazioni non 
sono stati sospesi; i massimi dirigenti sotto processo sono stati addirittura 
promossi.Il parlamento ha finora rinunciato a istituire una commissione 
d'inchiesta, che peraltro sarebbe ormai depotenziata, né si è messa in cantiere 
una riforma democratica delle forze di sicurezza, che appare sempre più 
necessaria.
A Genova sono in corso alcuni processi, uno contro contro 25 
persone accusate di devastazione e saccheggio, altri contro decine di 
appartenenti alle forze dell'ordine, per le torture nella caserma di Bolzaneto, 
il sanguinoso raid alla scuola Diaz e altri episodi. I pm hanno chiesto pene 
severissime - dai 6 ai 16 anni - per i 25 imputati, in applicazione di una 
figura di reato, devastazione e saccheggio, mai applicata prima del G8 di Genova 
alle manifestazioni di piazza e che può prestarsi, come evidenziato da studiosi 
e giuristi, a pericolose limitazioni della libertà d'espressione e di 
manifestazione. Crediamo nell'indipendenza della magistratura e siamo convinti 
che ciascuno sia responsabile delle proprie azioni, e proprio per questo 
riteniamo che le pene richieste siano del tutto sproporzionate rispetto agli 
episodi contestati.
Per i processi contro oltre settanta agenti, funzionari e 
dirigenti della polizia di stato e delle altre forze dell'ordine, le sentenze di 
primo grado sono attese per l'anno prossimo, ma la prescrizione interverrà prima 
della sentenza definitiva. Le vicende giudiziarie seguite al G8 rischiano dunque 
di concludersi senza colpevoli sia per Bolzaneto, sia per la Diaz, in aggiunta 
al mancato processo per l'uccisione di Carlo Giuliani; solo il processo contro i 
25 arriverà fino al terzo grado.
Siamo convinti che il risarcimento per le violazioni 
costituzionali compiute nel luglio 2001 sia solo in parte competenza dei 
tribunali: è sotto il profilo etico, culturale e politico che dovrebbero 
arrivare i segnali più importanti. Le istituzioni, finora, hanno fallito questo 
loro compito: le mancate scuse alla cittadinanza, le promozioni accordate agli 
imputati, il silenzio del parlamento sono lì a testimoniarlo.
Perciò riteniamo indispensabile proseguire ed intensificare il 
nostro impegno per la verità e la giustizia, per la difesa delle garanzie 
democratiche, per il diritto alla libertà d'espressione e di 
manifestazione.Non possiamo accettare che la sospensione dello stato di 
diritto sia archiviata con tanta leggerezza.
Perciò saremo a Genova: sabato 17 novembre parteciperemo alle 
manifestazioni e sabato 24 promuoveremo un incontro pubblico sul tema "Genova 
G8, democrazia alla prova".
Comitato verità e giustizia per Genova
www.veritagiustizia.it
GENOVA 2001 - GENOVA 2007. LA MEMORIA 
SPEZZATA
225 anni di galera. C’è voluta la scossa delle richieste del PM 
al processo contro 25 di coloro che, nel luglio del 2001, manifestarono a Genova 
contro il G8, perché si tornasse a parlare di quei giorni, perché scattasse la 
voglia di reagire, di andare in piazza in solidarietà ai compagni che rischiano 
lunghi anni di detenzione.Quello che accadde è ormai parte della memoria 
collettiva: migliaia e migliaia di persone che scendono in piazza, la 
repressione feroce, il massacro della Diaz, le torture di Bolzaneto, 
l’assassinio di Carlo Giuliani.I più sono convinti che di quei giorni si 
sappia ormai tutto, che la verità su quello che accadde, che qualcuno vorrebbe 
relegata alle aule di tribunale o alle commissioni parlamentari, sia un 
patrimonio ormai acquisito. Eppure non è così. In questa storia vi è un 
convitato di pietra: un movimento che voleva mettere in discussione l’ordine del 
mondo e che è naufragato sul lungomare di Genova. Un naufragio che si è 
consumato a lungo, attraversando l’11 settembre, la guerra permanente, le leggi 
speciali, per giungere a questi giorni di follia e crudeltà, giorni di fascisti 
scatenati e di un governo che stringe il cappio della legge al collo dei poveri, 
degli immigrati, dei pochi che ancora si oppongono concretamente alla marea 
scura che avanza.Il 19 20 21 luglio del 2001 venne elaborata la favola 
consolatoria di un movimento segnato da aurorale innocenza, vittima della 
violenza dello Stato, che massacra gli inermi e “lascia fare” chi attacca 
banche, supermercati, carceri. Il Blocco Nero in particolare e poi gli anarchici 
in generale sono trattati come corpi estranei, protetti dalla polizia, agiti da 
infiltrati che li guidano tra i non violenti per farli caricare.Eppure erano 
ormai anni che i movimenti contestavano i vertici dei potenti dando vita a 
manifestazioni in cui convivevano anime diverse, che in piazza avevano 
differenti approcci. Ricordo i cortei tematici dei cortei praghesi o le zone 
delle manifestazioni canadesi. Tanti volti, tanti modi di esprimere la propria 
opposizione, ma un unico movimento. Anche a Genova avrebbe dovuto essere così: 
tante piazze tematiche, tanti luoghi perché ciascuno potesse manifestare come 
preferiva.La gran parte degli anarchici italiani, riuniti sotto il cartello 
“anarchici contro il G8”, decise di evitare il teatrino mediatico, l’assedio 
alla zona rossa e scelse di manifestare nel ponente genovese, a Sanpierdarena, 
storico quartiere operaio, mirando a coinvolgerne la popolazione.Tutti gli 
altri optarono per la contestazione del vertice, cercando di violare le barriere 
della zona rossa. Ciascuno a suo modo. La risposta violenta delle forze del 
disordine statale avrebbe dovuto essere prevista.Non molto prima in Svezia 
al vertice di Goteborg, per poco non c’era scappato il morto: un ragazzo di 19 
anni aveva lottato per giorni tra la vita e la morte per le tre pallottole che 
un poliziotto gli aveva piantato in corpo. Solo nelle favole sulla 
democrazia si racconta che assediare per giorni i padroni nel mondo 
asserragliati nei loro palazzi, circondati da uomini armati, sia una pratica 
indolore. Sebbene si rimanesse sul piano simbolico, poiché le varie strategie di 
piazza – da quelle non violente a quelle di attacco – avevano necessariamente 
una mera valenza comunicativa, tuttavia rendevano visibile una crisi di 
legittimità ampiamente condivisa. A Genova accadde quello che era già 
accaduto altrove, solo su scala più ampia: la democrazia reale, non il fantasma 
che ci mostrano negli spot elettorali, si dispiegò davanti a decine migliaia di 
manifestanti, picchiando di santa ragione tutti quelli su cui riuscì a posare i 
propri manganelli, calci di fucile, scarponi. Gasò senza pietà i buoni e i 
cattivi, i moderati e gli estremisti. Sarebbe stata una buona occasione per 
guardare in faccia il potere e per capire che di poteri buoni non ce ne sono. 
Un’occasione perduta.A Genova il movimento si spaccò e rapidamente si 
estinse nelle inutili passeggiate romane contro la guerra. Più facile accusare 
il Blocco Nero di connivenza con la polizia che guardare negli occhi la 
bestia.A sei anni da quel luglio si torna a Genova e sulla nostra strada ci 
sono molte più macerie di allora: milioni di morti in Iraq e Afganistan, la 
tortura come arma di guerra riconosciuta, le deportazioni degli indesiderabili, 
secoli di galera per chi si oppone. A Genova, come a Milano, come a Torino. Per 
tutti la stessa accusa: “devastazione e saccheggio”.Nei prossimi mesi si 
giocheranno molte partite importanti: dal blocco della nuova base USA a Vicenza 
alla lotta contro le mille nocività che ci affliggono, dall’opposizione alle 
leggi razziste, alla lotta contro la precarietà per legge.Sarà un banco di 
prova per tentare ancora di vincere la scommessa forte di ogni movimento che 
voglia vincere e non solo testimoniare: saldare radicalità degli obiettivi, 
radicamento sociale e capacità di mettere in rete solidale i tanti che, oggi 
come le luglio 2001, si oppongono all’ordine feroce del mondo.Ripartendo da 
Genova, dalla solidarietà ai 25 compagni sotto processo, dalla riconquista di 
una memoria spezzata.
da Umanità Nova n. 37 2007
GENOVA: LA NOSTRA 
STORIA 
Il processo di Genova dal punto di vista concreto, materiale, 
comporta la prospettiva di pene detentive per 225 anni di carcere. Da sei a 
sedici anni per una rappresentanza, una piccola campionatura, di quelle 
centinaia di migliaia che si opposero alla illegittimità del G8 nel 2001. Ma più 
di ogni altra cosa la requisitoria dei pm Canepa e Canciani rappresenta la 
determinazione a riscrivere la storia a uso e consumo del potere. Perché la 
storia di Genova è la nostra storia.Rendere la manifestazione del 17 
novembre un momento non simbolico, non una sorta di commemorazione, ma farne una 
scadenza effettivamente rappresentativa della complessità senza precedenti che 
diede vita alle giornate di sei anni fa è indispensabile per tutelare il destino 
giudiziario di 25 capi espiatori. Davanti all’aberrazione delle richieste 
dell’accusa deve costituire uno strumento forte di pressione e orientamento nei 
confronti del tribunale e contestualmente di paralisi dell’operazione di 
riscrittura della storia che il potere, con grosse difficoltà, sta tentando di 
portare avanti.
Una storia che ha una svolta decisiva nelle giornate di Seattle 
del novembre 1999, quando la terza riunione del WTO, l’organizzazione mondiale 
del commercio, fallisce rovinosamente in ragione dell’opposizione che una 
moltitudine senza precedenti mette in campo, utilizzando come arma 
esclusivamente i propri corpi. Smascherando la falsificazione che consente a 
pochi potenti di riunirsi periodicamente per varare regole a loro piacimento e 
vantaggio, decidendo e influenzando l’andamento delle politiche e dei mercati 
mondiali. Svelando un sistema criminale di regole inique, che opera con 
procedure assolutamente antidemocratiche attraverso il Fondo Monetario 
Internazionale, la Banca Mondiale, una esigua congrega di amministrazioni 
nazionali a vantaggio delle società transnazionali e a discapito delle genti e 
dei paesi più poveri. Il conflitto sociale che affolla strade e piazze, che 
attacca nei simboli e nella materia i luoghi del governo e del dominio mette in 
corto circuito la regia della concertazione capitalistica, che riesce solo a 
consegnare agli eserciti e alle polizie la gestione di questo nuovo e originale 
conflitto.
Quest’eco informa le chiavi di lettura e le pratiche di 
opposizione dei movimenti europei in occasione della riunione del Fondo 
Monetario Internazionale a Praga, nel settembre 2000. Un movimento enorme e 
composito assedia i delegati attraverso pratiche di disobbedienza e di 
resistenza contro forze di polizia ormai trasformate in esercito da guerra 
interna. Gli strumenti di difesa si aggiornano: dai caschi, agli scudi, ai 
gommoni, alle protezioni più disparate.A Napoli, nel marzo 2001, il Global 
Forum sulla e-governance si conclude con un’ anticipazione in sedicesima di ciò 
che attende i movimenti a Genova: polizia, carabinieri e 
guardia di finanza creano una vera e propria trappola per i manifestanti, li 
aggrediscono con cariche e lacrimogeni scatenandosi in una caccia all’uomo che 
dura ore, ostacolando i soccorsi ai feriti persino negli ospedali, infliggendo 
ai fermati violenze fisiche e psicologiche.A Goteborg, nel giugno 
successivo, la contestazione del Consiglio Europeo vede nuovamente in campo 
pratiche di disobbedienza volte a delegittimare il vertice. Nuovamente la 
polizia si accanisce violentemente contro manifestanti inermi: un ragazzo viene 
ferito gravemente alla schiena da un colpo di pistola sparato da un 
agente.
Quello che è avvenuto a Genova lo sappiamo. L’ esplosione di un 
movimento enorme e determinato a contestare i potenti in maniera radicale, 
unendosi e dando continuità a un movimento globale che da Seattle in avanti ha 
percorso tutto il mondo e l’Europa, ha segnato un’epoca, ha indicato una 
direzione. Un movimento che ha creato le basi per nuove esperienze e nuove 
pratiche di conflitto che hanno come risultato tangibile il cambio dei governi 
in America Latina; che ha fatto assumere la globalizzazione come il terreno da 
rovesciare per costruire la globalizzazione della comunicazione, della 
cooperazione, dei diritti.Contro l’impero.Da Genova è partito un modo 
nuovo di affrontare il terreno della democrazia, della lotta per la democrazia 
diretta contro quella fasulla che divora gli spazi della nostra vita: la 
democrazia della casta globale. Genova ha reso visibile il rifiuto di un sovrano 
determinato dal mercato e da questo autorizzato a decidere della vita e della 
morte di miliardi di persone in questo pianeta. Ha affrontato il tema del 
conflitto in maniera attuale, contemporanea, non caricaturale, non 
ideologica.
Ora la sentenza del tribunale può decidere di seppellire sotto 
due secoli di galera una manciata di quei soggetti che ha sedimentato nella 
coscienza collettiva il diritto alla resistenza contro la violenza omicida delle 
polizie/esercito. Ora questa determinazione giudiziaria si rivolgerà a tutti i 
movimenti in lotta, dalla Val di Susa a Vicenza passando per i centri di 
permanenza temporanea sparsi per tutto il paese.Per questo è imperativo 
essere a Genova il 17 novembre.Per tutti quelli che c’erano il 19, 20, 21 
luglio del 2001.Per tutti coloro che credono che cambiare il mondo non solo 
sia giusto, ma sia doveroso e possibile.Per tutti quelli che lottano per i 
loro bisogni, nei posti di lavoro, nei quartieri, nelle università, nelle 
scuole.Per tutti quelli che si battono contro la devastazione dei territori 
e dei beni comuni.Per tutti quelli che intendono impedire che vengano chiusi 
gli spazi di movimento di oggi e di domani.Per tutti c’è ancora qualcosa da 
fare prima del 17.Allargare la partecipazione.Garantire il diritto a 
manifestare.Garantire il diritto a raggiungere Genova.
Liberitutti GLOBAL 
NETWORK
TORNARE A GENOVA PER CHIUDERE I CPT E CANCELLARE 
IL DECRETO SULLA SICUREZZA
Saremo a Genova il 17 novembre. Cammineremo di nuovo su quelle 
strade come il 19 luglio del 2001, quel giorno una grande manifestazione per i 
diritti dei migranti attraversò la città e apri le giornate di contestazione al 
g8 con le stesse parole d'ordine che ci uniscono ancora oggi. Sono passati 
alcuni anni da quel giorno, sono cambiati i governi, abbiamo continuato a 
lottare e abbiamo sentito molte promesse, ci hanno raccontato che i Cpt potevano 
essere " superati" e " umanizzati". Ma i Cpt, nelle loro varie forme e 
sperimentazioni, non solo continuano ad esistere ma la logica della detenzione 
amministrativa e del controllo sociale continua ad espandersi fuori le mura di 
quelle strutture inumane. I migranti continuano a essere reclusi in quelle 
galere etniche, continuano a essere trattati come una questione di "ordine 
pubblico" e a morire. Una sorta di "diritto speciale" contro la libertà di 
circolazione dei migranti. Così come il recente decreto sulla sicurezza varato 
dal governo che permette deportazioni di massa, assegna poteri eccezionali ai 
prefetti e criminalizza intere comunità. Non si può emendare il razzismo e la 
xenofobia. C'è un filo che lega la legislazione d'emergenza contro i migranti e 
la volontà di ricostruire nelle aule dei tribunali, con centinaia di anni di 
carcere, la storia dei movimenti sociali. La libertà di movimento e il conflitto 
sociale devono essere controllati, disciplinati, confinati e infine repressi. 
Facciamo appello a tutte le reti e associazioni dei migranti e antirazziste ad 
essere a Genova per far sentire la nostra voce, per dire che i cpt vanno chiusi 
e il decreto sulla sicurezza cancellato.
Assemblea nazionale delle Reti migranti e 
antirazziste
BLOCCO ANTAGONISTA A GENOVA 
IL 17 NOVEMBRE: QUELLI DELLA LOTTA STRADA PER STRADA
In queste settimane volge al termine il primo grado del processo 
che vede imputati 25 compagn* che hanno partecipato alle manifestazioni contro 
il G8 di Genova il 19, 20 e 21 luglio 2001. Attraverso le richieste di condanna 
a 225 anni complessivi di carcere lo stato italiano intende formulare un 
giudizio storico e politico su quelle giornate, facendo pagare ad alcuni di noi, 
scelti nel mucchio come capri espiatori, il prezzo della paura che quelle 
giornate hanno saputo provocare ai potenti della terra. Ma, nella fase politica 
presente, le istituzioni repressive intendono anche lanciare un segnale preciso 
ai potenziali soggetti sociali conflittuali presenti e futuri, e ai movimenti 
che sul terreno dell'opposizione alle grandi opere, della lotta alla precarietà 
e della difesa e conquista di spazi sociali hanno praticato terreni di 
contrapposizione e rottura negli ultimi anni.
Il G8 ha catalizzato nel 2001 istanze di lotta composite e 
diversificate in quanto vertice dell'oppressione, della guerra, della 
devastazione ambientale, del razzismo. Le decisioni prese a Palazzo Ducale in 
quei giorni hanno avuto effetti sulle condizioni di vita di tutte e tutti, hanno 
dettato le linee dell'esproprio della dignità, della libertà, dell'intelligenza 
e fatica di tutti coloro che in ogni parte del globo sono costretti a vendere la 
loro forza-lavoro, patiscono l'insufficienza dei mezzi necessari per vivere, gli 
effetti delle carestie e delle speculazioni finanziarie, sono vittime delle 
guerre, della violenza razziale, dell'oppressione di classe.
Contro tutto questo abbiamo invaso in centinaia di migliaia da 
ogni parte del pianeta la città militarizzata, abbiamo portato a Genova la 
rivolta e il protagonismo sociale e politico, abbiamo messo in atto mille 
diverse forme di protesta e di azione, abbiamo raggiunto con il nostro messaggio 
di ribellione e speranza gli sguardi di milioni di persone che, ovunque nel 
mondo, hanno compreso e condiviso le nostre grida e le nostre scritte, hanno 
riconosciuto negli scontri e nella protesta la loro stessa rabbia, hanno avuto 
ancora una volta la conferma che il rifiuto dell'oppressione dell'uomo sull'uomo 
e dell'uomo sulla donna travalica qualsiasi distanza e qualsiasi confine. Nelle 
immagini della protesta che hanno fatto il giro del mondo si è costituita una 
silenziosa e minacciosa amicizia politica globale.
I funzionari della repressione armata hanno scatenato per questo 
contro di noi la violenza più brutale e la ferocia più vigliacca, facendo di 
Genova il teatro di un'esperienza che ha segnato i ricordi di tutti. Donne e 
uomini pestati sull'asfalto da polizia, carabinieri e guardia di finanza, 
arresti di massa, inseguimenti e colpi di arma da fuoco. Sulle strade è rimasto 
il sangue, mentre nella caserma di Bolzaneto le torture fasciste degli uomini in 
divisa erano preludio del massacro preordinato alla scuola Diaz.Nei giorni 
successivi, in molti hanno preferito prendere le distanze, dividere il movimento 
a partire dalle diverse sensibilità e pratiche di lotta, contrapporre 
astrattamente istanze e comportamenti che avevano avuto un obiettivo comune. 
Diversi soggetti politici presenti in piazza in quei giorni amministrano adesso 
le scelte di guerra, promulgano decreti repressivi e razzisti, sposano politiche 
sul lavoro che colpiscono i bisogni dei soggetti giovanili e precari 
metropolitani. Noi siamo quelli che non ora, ma già allora diffidarono 
profondamente di partiti e personaggi che ambivano ad attraversare il movimento 
con mire che divergevano evidentemente dall'urgenza di antagonismo che andava 
manifestandosi in tutti i grandi assedi ai vertici internazionali.
Dopo quelle memorabili e drammatiche giornate, quasi tutti hanno 
fatto il possibile per scongiurare il ripetersi di forme di contrapposizione 
politica verace e diffusa: le mobilitazioni contro le guerre globali degli anni 
2000 hanno così patito un evidente difetto di incisività, e solo il movimento 
notav ha riaperto in Italia, nella pratica concreta ed efficace di un 
antagonismo di fatto, un discorso possibile di ricomposizione e progettualità 
che sappia interpretare le forme contemporanee di alterità politica e la loro 
nuova dimensione europea.Il 17 novembre saremo ancora a Genova per chiedere 
la fine delle persecuzioni giudiziarie contro i 25 compagn* sotto processo. Non 
manifesteremo per ricordarci o per ricordare, ma per rivendicare a testa alta la 
nostra colpevolezza e consapevolezza. Noi siamo stati quelli della battaglia 
strada per strada, della resistenza di massa a pubblico ufficiale, dell'azione 
diretta, dell'insubordinazione capillare.Le barricate, le fiamme, gli 
attacchi ai simboli concreti del modo di produzione e accumulazione capitalista 
messi in atto a Genova sono parte di una storia molto più grande, che da Seattle 
e Praga avrebbe raggiunto Parigi, Copenhagen e Rostock, in un disegno 
imprevedibile e spettrale che scompare e riappare, nelle sue variazioni e 
differenze, come un indice puntato verso il futuro. Là si concentrano tutti i 
nostri progetti rivoluzionari, là cospirano tutte le paure dei nostri 
nemici.
Abbiamo urlato, agito e viaggiato ben oltre Genova, siamo stati 
nei gesti di liberazione delle popolazioni sotto attacco nella guerra globale, 
nei processi di trasformazione in movimento in Asia e in America Latina, nelle 
lotte lontane del continente africano.Oggi lo stato italiano si affretta ad 
archiviare con queste sentenze qualcosa che non si può archiviare, né fermare o 
scongiurare. Con queste richieste di pena si vuole criminalizzare l'immagine di 
un movimento che ha devastato e saccheggiato. Ma dalla Val di Susa a Vicenza si 
alza la resistenza di chi sempre oserà rispondere: "Chi devasta? Chi saccheggia? 
Devastatore è il capitalismo!". E' la resistenza di cui vorrebbero farci 
vergognare, quella resistenza deliberata e attiva che ci rende caro il ricordo 
di Carlo Giuliani, quella resistenza che sempre si rivolgerà, ancora e ancora, 
contro i suoi assassini in doppio petto e contro quelli in divisa.
Le decine di migliaia di persone che in quei giorni hanno 
camminato, protestato, cantato e hanno osato resistere e contrattaccare hanno 
trasformato Genova in una promessa, in qualcosa che è ancora da realizzare: 
l'apertura di nuovi spazi di movimento e conflitto sociale metropolitano in 
Europa e nel mondo, per la fine di un modello di accumulazione e potere vecchio 
e reazionario, per l'inizio della possibilità, per tutte e tutti, di progettare 
il nuovo.Manifestare a Genova vuol dire promettere a nostra volta, 
rilanciare la mobilitazione e la critica, ricordare a chi ci ha dato la caccia 
che non si uccidono i fantasmi della crisi delle forme istituzionali della 
rappresentanza e del prodursi di sempre nuovi percorsi di opposizione 
sociale.Non ci ha fermato la vostra violenza, non ci fermano i vostri 
processi: non ci avete fatto abbastanza male per impedirci - ovunque - di 
pensare, di decidere, di tornare.
L'AREA ANTAGONISTA
NETWORK ANTAGONISTA TORINESECSOA ASKATASUNACSA 
MURAZZICOLLETTIVO UNIVERSITARIO AUTONOMO -TORINOCRASH! LABORATORIO DEL 
PRECARIATO SOCIALE - BOLOGNAMAO - MOVIMENTO AUTORGANIZZATO OCCUPAZIONI - 
BOLOGNACOLLETTIVO UNIVERSITARIO AUTONOMO - BOLOGNACSOA EX CARCERE - 
PALERMOSPORTELLO ANTISFRATTO - PALERMOCOLLETTIVO UNIVERSITARIO AUTONOMO 
- PALERMOCSA "GASTONE DORDONI" - CREMONACAM - COLLETTIVO AUTOGESTITO 
MODENESECOSENZA ANTAGONISTACPOA RIALZO - COSENZACOLLETTIVO 
KONTROVERSO - COSENZALA KASBA - COSENZAREBEL FANS! ULTRAS ANTIFA - 
COSENZACSA MATTONE ROSSO - VERCELLICDA SENZA TREGUA - VERCELLICSOA 
"A. CARTELLA" - REGGIO CALABRIAE-RETICOLLETTIVO - ORBASSANO 
(TO)COLLETTIVO AUTONOMO "PECORE NERE" - ASTISARE ANTIFAXISTA - BILBAO 
(EUSKADI)
Per aderire all'appello: news@???
DALLA 
PARTE DELL'INDIGNAZIONE. IL MOVIMENTO ROMANO VERSO GENOVA 
A Genova sei anni dopo le giornate di luglio. A Genova per 
gridare che l´unica verità è quella dei movimenti e dei conflitti, per affermare 
e difendere il diritto di resistenza, per rovesciare le sorti del processo che 
chiede 225 anni per 25 compagni e compagne.
Già nelle scorse settimane avevamo definito la necessità di 
cogliere il nesso tutt´altro che marginale tra le spinte sicuritarie giunte a 
maturazione normativa con il pacchetto sicurezza e quanto si sta determinando 
nelle aule di tribunale. Impossibile, infatti, non afferrare il nocciolo duro 
del proceso genovese: non solo e non tanto la chiusura giudiziaria di un ciclo 
di movimento passato, quanto un´ipoteca sui conflitti a venire; non solo un 
problema di memoria, ma una questione di futuro.
La richiesta di condanna non si scosta molto dal clima generale 
che informa la politica italiana, dai sindaci al viminale: più controllo, 
militarizzazione dello spazio pubblico, misure preventive, centralità della 
pena, riduzione delle libertà. Altrettanto non si allontana dal senso del 
pacchetto sicurezza che definendo i nuovi perimetri della devianza prepara la 
strada ad una progressiva criminalizzazione della società e del 
dissenso.
Dopo i fatti di domenica la nostra analisi non può che trovare 
ulteriori e drammatiche conferme. Due spari a braccia tese uccidono un giovane 
tifoso della Lazio, i media "sequestrano" la notizia, risolvendola in uno 
sbrigativo «scontro tra tifosi», l´attenzione pubblica viene concentrata sul 
calcio, lo stadio, i violenti. Nessuna parola, per un´intera giornata, sulla 
responsabilità di chi, dall´altra parte della strada, senza neanche capire cosa 
stesse succedendo, ha deciso di fare fuoco e di uccidere.
Un fatto sconvolgente che non riguarda solo il calcio, ma che 
riguarda tutti. E´ impossibile, anche in questo caso, non cogliere il nesso tra 
l´insopportabile vento sicuritario e l´abuso e la prepotenza di chi indossa una 
divisa e spara, dalla "parte della legge". E poi la rivolta e l´indignazione di 
tanti giovani, gli arresti, l´aggravante di terrorismo. Non si tratta di solo 
calcio, non si tratta neanche e semplicemente di appartenenze politiche. Si 
tratta di una questione assai più ampia, si tratta della prepotenza e della 
violenza delle isituzioni: questo è il tema che in forma drammatica e di massa 
ci ha riguardato nel "laboratorio di repressione" genovese; questo il tema che 
oggi si estende alla società tutta.
Un´estensione che vede coinvolti i migranti, con i Cpt e le 
espulsioni di massa; che riguarda il proibizionismo nei confronti dell´uso di 
sostanze, lo stesso proibizionismo che arresta e uccide in modo efferato (è il 
caso di Aldo Bianzino, ucciso nel carcere di Perugia nella notte tra il 13 e il 
14 ottobre); che riguarda le condizioni di precarietà sul lavoro, condizioni di 
cui si muore sempre più facilmente; che riguarda le sperimentazioni sicuritarie 
negli stadi.
I fatti di domenica danno forza e centralità ancora maggiore 
alla scadenza di sabato 17 novembre. Tornare a Genova significa difendere i 
movimenti e il protagonismo che hanno avuto in questi anni, andare a Genova 
significa resistere e opporsi al pacchetto sicurezza e alla spirale 
sicuritaria.
A Genova andremo in treno e diciamo fin da ora che non 
accetteremo prepotenze da parte di nessuno e che rivendicheremo il nostro 
diritto a manifestare, dunque a viaggiare con tariffe sociali.
I centri sociali e le reti di movimento 
romane