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From: Alex Foti <alex.foti@???>
Date: Nov 15, 2007 10:56 AM
Subject: ciclostyle medley dal manfo
To: "critical mass milano - crew :::
http://www.inventati.org/criticalmass/ ::: la rivoluzione non sara'
motorizzata !!!" <cm-milano@???>
per memoria, prima che il web se l'inghiotta, lx
Il ciclista campa dove l'auto crepa
La bicicletta è l'invenzione del futuro. Bella, egualitaria, stilosa,
anti-age, ecologica e sovversiva, eppure nel nostro paese governato da
vecchi auto-lesionisti non se ne accorge nessuno. In Europa la bici si
fa strada, in Italia le auto continuano l'esproprio illegale di spazio
urbano, i ciclisti muoiono e chi sopravvive pedala ai margini o
rischia di essere relegato in piste per cittadini di serie B
Franco La Cecla
Nelle attuali condizioni generali delle città, chiunque inviti con
allegria ed eco consapevolezza gli utenti della città a servirsi della
bici è un istigatore al suicidio.
Hanno un bel parlare i sindaci, le amministrazioni illuminate, perfino
quelle che si lanciano verso la bici come servizio pubblico con un
sistema di locazione superaccessibile ed ubiquo. Le cifre parlano
chiaro. Il numero dei ciclisti uccisi o feriti nel traffico urbano è
andato negli ultimi anni aumentando vertiginosamente.
Lo spazio urbano è di tutti
Non ci sono santi. Il ciclista ed il pedone ancor più di lui, sono
esposti al pericolo maggiore: i loro corpi sono troppo fragili per
circolare in mezzo ad un ammasso di ferraglia cittadina lanciata a più
di trenta chilometri orari (che è la velocità oltre la quale qualunque
impatto di un veicolo con un corpo umano genera quasi sempre la morte
di quest'ultimo). E' inutile e perfino criminale spingere i cittadini
a servirsi delle bici come scelta ecologica, è ridicolo pensare che le
piste ciclabili siano al riparo dei pericoli della strada. Fin quando
la città, fin quando le città italiane saranno il luogo dove alle
automobili è permesso il privilegio anacronistico di circolare avremo
solo una ecologia alla Montezemolo o alla Pecoraro Scanio, cioè una
ecologia dell'aggiustamento e della negoziazione che come effetto ha
di far pagare i costi dell'inquinamento agli eco-consapevoli. E'
ridicolo pensare che la bici sia una questione di minore inquinamento,
come se la questione ecologica fosse oramai solo in mano a centraline
di controllo e a fisici dell'ambiente. Ma è possibile che nessuno si
accorga che è una questione di normale equità di accesso alle risorse?
Lo spazio urbano è una risorsa a cui tutti devono accedere in maniera
democratica ed egualitaria.
E' ormai noto che le automobili occupano uno spazio che viene concesso
loro con un esproprio illegale e generalizzato delle zone pubbliche
della città. Le strade sono di tutti i cittadini e nessuna tassa di
circolazione dovrebbe consentire l'esproprio da parte del più forte
dello spazio che è di tutti. Le automobili non solo inquinano, ma
devastano lo spazio della democrazia, del diritto generale di
godimento di una città. In più sono assolutamente anacronistiche. Se
Diderot dovesse scrivere oggi la voce Stupidità Umana su una appendice
alla Encyclopédie sicuramente descriverebbe un ingorgo normale alle
ore di punta in qualsiasi città europea.
Chi oggi ha il coraggio di sostenere che l'automobile è un mezzo per
circolare, per spostarsi? Non lo dicono nemmeno più i pubblicitari, le
puttane dell'ebbrezza a basso costo su una Suv. Se c'è un motivo per
cui la gente oggi compra ancora le Suv e le grosse cilindrate e ci
circola in città (vorrei sapere se Walter Veltroni o qualunque altro
sindaco illuminato ha mai fatto una ordinanza che proibisce
categoricamente alle Suv di circolare in città) è che è un modo di
occupare lo spazio altrui - una Suv occupa lo spazio di venti persone
in piedi e di dieci sedute. Ve lo dicono anche le sciure milanesi che
vi spiegano che così si sentono protette dal caos e dalla violenza
cittadina. Insomma a pensarci bene le Suv e le automobili sono oggi
giustificabili solo dalla guerra urbana. Non è un caso che le Suv
nascano proprio come veicoli di guerra e abbiano tanto successo nella
Mosca dei nuovi ricchi. Si tratta della guerra per accaparrarsi la
città e per dimostrare a tutti che la sicurezza è proporzionale alla
dose di prepotenza gestibile.
La politica sotto ricatto
E' possibile che amministrazioni democratiche accettino questo
ricatto? E' possibile che oggi, ad una distanza limitatissima dalla
fine delle risorse petrolifere e sull'orlo della crisi ambientale
permanente non sia immediato, banale, qualcosa che il più stupido dei
sindaci può fare, semplicemente proibire alle auto lo spazio della
città? Vorrei proprio vedere chi avrà la onestà banale di farlo per
primo. Ma in realtà la città è in mano ancora a ben altri interessi.
In Italia esiste ancora una associazione che si chiama scandalosamente
Automobil Club Italiano (una associazione tra le automobili!) e che ha
acceso a fondi pubblici. Questa società, alla sua nascita, deplorava
il numero alto di incidenti in cui erano coinvolti bambini pedoni e
chiedeva una più rigorosa regolamentazione della strada che obbligasse
mamme e bambini a non intralciare il flusso automobilistico. I codici
della strada sono stati concepiti, almeno da noi, per decenni come
regolamenti per difendere i veicoli dall'ingombro dei pedoni e per
affermare un principio mai dimostrato e cioè che le strade urbane sono
delle automobili.
Spacciatori di eco menzogne
Forse un giorno i nostri discendenti resteranno sconvolti vedendo foto
delle nostre strisce pedonali, l'invenzione più ipocrita del secolo,
che disegna sulla strada un ponte fittizio e precario dove possono
passare a singhiozzo i fragili corpi degli esseri umani. E penseranno
a noi come a degli esseri in una perenne guerra civile. D'altro canto
è una guerra che abbiamo esportato. Ad Hanoi, in Vietnam, ci sono
stati più morti nel traffico negli ultimi dieci anni che tutti i morti
della guerra: l'effetto dell'arrivo del traffico motorizzato in città
abituate a vivere per strada, ad usare la strada come primo teatro
della vita e dell'incontro. Insomma stupidità e guerra, le
premonizioni presenti nelle scene di traffico dei film di Godard o di
Fellini, nelle descrizioni della autopista di Cortazar. Ma sono
passati cinquant'anni, sembra che nessuno si accorga che siamo alla
fine, che ci trasciniamo verso una conclusione ridicola e disumana.
Sarebbe difficile pensare ad una civiltà che si rende la vita più
difficile di come facciamo noi. Ma come, il futuro che ci aspetta è
tutto urbano e stiamo ancora imbottigliati nella squallida latta di
lusso? Ma come?
L'Italia, un paese boccheggiante che potrebbe fare del suo patrimonio
urbano una risorsa inesauribile di turismo e contemplazione, ha invece
negli ultimi anni aumentato esponenzialmente il numero di automobili
vendute. E' così che l'economia tira? Ma via! Chi ci crede ancora? Il
re è tenebrosamente nudo e nessuno ha il coraggio di dirlo? Invece si
continua a spacciare l'idea che le Smart sono la soluzione o che lo è
il nuovo motore che inquina un po' meno di quello precedente. Non so
dove sta andando il movimento ecologista italiano, forse davvero da
nessuna parte, forse è un modo simpatico di creare entourage affiatati
intorno a ministri fotogenici, ma oggi non è più tempo di messe in
scena, di buone figure, di biospacciatori. E' ancora tempo di
imbroglioni che vogliono venderci il nucleare come energia pulita, di
filosofi che sostengono che il catastrofismo è fascista.
Buone piste per zombi ciclabili
Siamo sicuri di volerci credere? Siamo sicuri che non basterebbe un
ritorno banale all'evidenza? Chiunque sale in bici se ne rende conto,
chiunque passeggia per strada lo sa. La bicicletta non è la soluzione
al problema ecologico della città, ne è solo la spia di una
impossibilità. Nessun mezzo può circolare in presenza di altri mezzi
che vanno molto più veloci. La velocità di un mezzo uccide la
possibilità di mezzi meno veloci di circolare. Ce lo ha insegnato Ivan
Illich moltissimi anni fa. Lo abbiamo imparato a nostre spese. Bene, è
arrivata l'ora di finirla. Qualunque amministrazione che prometta o
realizzi piste ciclabili rende i ciclisti degli zombi da zoo urbano,
come rende i pedoni birilli di un bowling tragico.
Quanti anni ci vorranno ancora perché il diritto alla sicurezza nelle
aree urbane significhi questo, semplicemente, diritto a non essere
investiti? Ma fin quando nessun sindaco si farà carico di questo
avranno ragione gli sceriffi della Lega a spacciare la sicurezza come
il diritto ad investire con i Suv gli immigrati agli incroci.
Le sottoculture in sella al Bicycle Film Festival
Intervista a Giovanni Pesce, tra gli organizzatori del Bff in Italia -
stasera ultime proiezioni a Roma, a Milano dal 16 al 18 novembre. «I
ciclisti urbani sono come pirati che amano affrontare di petto la
città, per cui sono interessanti da filmare»
Luca Fazio
Poche storie e niente sindaci tra i piedi a rubare la scena, il
festival del cinema più cool anche quest'anno è il Bicycle Film
Festival. Un'invenzione newyorkese che ormai ha fatto il giro del
mondo e che quest'anno sbarca anche a Roma (cinema Olimpio, questa
sera ultime proiezioni) e Milano (cinema Mexico dal 16 al 18
novembre). Ne parliamo, pedalando perché non sta mai fermo, con
Giovanni Pesce, uno degli organizzatori più convinti.
Che film vedremo?
La direzione del festival di New York riceve centinaia di film da
tutto il mondo. Anche quest'anno il direttore, Brendt Barbur, ha
privilegiato film ad ambientazione urbana. La città e la bici sono un
ottimo campo di sperimentazione per un filmmaker: le strade sono piene
di scenari e storie interessanti. Molti film vengono da sottoculture
urbane legate alla bici: i cultori delle bici a scatto fisso, i bike
messengers, critical mass, la bmx. Un'ondata di pionieri che sta
riforgiando la personalità della bici, persone che spesso si
autocostruiscono il mezzo, lavorando in cantina o in garage. Nelle
città ipermotorizzate, i ciclisti urbani sono come dei dissidenti, dei
pirati, amano prendere il vento in faccia e affrontare di petto la
città. Come tutti i dissidenti, i ciclisti sono interessanti.
Ma stiamo parlando di veri film o di filmati amatoriali?
Ognuno li chiami come vuole. Di fatto oggi chiunque può fare film, la
videocamera è come la chitarra punk, basta uscire in strada e mettere
su «on». Noi abbiamo molte piccole produzioni di non professionisti,
ciclofilmmaker appassionati, spesso geniali. Le bici non sono un
oggetto facile da riprendere, perché si muovono in mezzo al traffico,
agili come gatti randagi. I nostri filmmaker si ingegnano in tutti i
modi: si appendono dietro agli autobus, riprendono da sopra lo skate,
montano videocamere sul casco. La sottocultura della bici è tenuta
insieme da un fitto intreccio di relazioni internazionali, un continuo
scambio di immagini da una parte all'altra del globo. Oggi questo
scambio avviene perlopiù su YouTube. Dopo averli visti sugli schermi
del computer in versione ridotta, una volta all'anno, in 16 città di
tutto il mondo, quegli stessi video li si va a vedere in versione
integrale, in alta definizione al Bicycle Film Festival. A Milano ci
sarà anche una grande festa in un ex deposito ferroviario, una specie
di rave ciclistico, con dj set, bar, rampe bmx, un delirio di bici e
musica, fino all'alba.
E le pellicole vere come sono?
Super. Molti dei nostri film sono girati in super8 e poi
digitalizzati. Il super8 sta tornando molto in voga tra i filmmaker,
ha un effetto visivo sporco che piace. Poi abbiamo anche un film in
35mm, Tour des legends di Erik van Empel, un documentario sul famoso
tour del 1948, quello del trionfo di Bartali e dell'attentato a
Togliatti.
Gli organizzatori del festival vengono dall'attivismo anti-auto. Che
nesso c'è con quell'esperienza?
La cultura dell'auto si regge su un'imponente macchina da guerra
comunicativa. Milioni di euro all'anno spesi in pubblicità che
costringono gli editori a non parlar male delle automobili, al massimo
si può dire che inquinano, così l'industria può puntare sull'auto
«ecologica», anche se la Commissione europea ha vietato alle case
automobilistiche di usare il termine ecologico applicato alle auto.
Nel nostro piccolo con il BBF vogliamo contribuire a creare un
contraltare a tutto questo. E lo facciamo usando l'arma persuasiva più
potente: le immagini.
Dagli attivisti arriva molto materiale?
Altroché. Spesso filmati troppo declamatori, bisogna selezionare.
Quest'anno abbiamo Still We Ride, un documentario sugli arresti alla
critical mass di New York del 2004. Il mio preferito è Warriors, una
parodia irriverente de I guerrieri della notte, una corsa dal Bronx a
Coney Island fino all'alba, hanno partecipato 800 ciclisti divisi in
80 gang.
Anche in video le buone notizie vengono dall'estero. Le produzioni
italiane come sono?
Buone. Il mio preferito è il video sulla Balorda, la gara meno
salutista del mondo, che si svolge ogni anno a Sozzigalli, in Emilia:
5 lentissimi chilometri alimentati a Lambrusco, un mix tra sagra
paesana e Burning Man. Ma comunque il festival è nato a New York, per
cui è ancora sbilanciato verso gli Usa, anche se dal 2006 fa tappa in
Europa, quindi la contaminazione è già cominciata.
Siete super sponsorizzati, state facendo i soldi?
I marchi che abbiamo scelto, perlopiù streetwear, sono alleati
preziosi, perché hanno capito il nostro spirito. Vogliono anche loro
creare un'epica urbana della bici. Inutile fare gli snob, se la bici
diventa di moda perché qualcuno ha interesse che sia così, ben venga.
E poi naturalmente ci coprono i costi, che sono molti, finiamo sempre
a malapena in pareggio.