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cantieri sociali
Vorrei chiedere a Ferrero
Pierluigi Sullo - (da "Il
Manifesto", 8/11/2007)
Mi piacerebbe avere l'occasione di scambiare
due parole con il mio vecchio amico Paolo, nel frattempo diventato
ministro della solidarietà sociale. Gli vorrei chiedere se davvero
pensa quel che ha detto alla direzione del suo partito, per spiegare
come mai ha votato, nel consiglio dei ministri convocato d'urgenza, il
decreto sulle espulsioni. Decreto variamente qualificato come
«fascista», «razzista», «ammazza-poveri», «di stampo nazista» (questa
l'ha detta la responsabile immigrazione del Prc di Bologna). Ammettiamo
pure che questi aggettivi siano una esasperazione polemica, ma non ci
sono dubbi sul fatto che si tratta di un rospo impossibile da mandar
giù, non solo per una persona di sinistra, ma per un liberale, un
europeista, un democratico (se questa parola avesse ancora un valore,
dopo l'appropriazione indebita da parte del partito di Veltroni,
massimo ispiratore di quella sceneggiata). Le stesse modifiche che
Rifondazione ora chiede in modo fermo (speriamo) ne cambierebbero
abbastanza il senso. Secondo Liberazione, Ferrero ha detto: «L'ho fatto
per due ragioni. La prima derivante dal fatto che votare con una
campagna stampa di quel tipo significava l'impossibilità di gestire la
comunicazione di quella scelta... La seconda per una ragione politica:
ora, grazie a quel voto abbiamo la possibilità di modificare quel
decreto in parlamento. Votando no avrei spalancato la strada a un
accordo bipartisan tra Pd e destra».
A me, che non mi intendo di
politica, le ragioni che Ferrero elenca paiono contraddittorie,
illogiche. Prima di tutto, i media. Che certo sono potenti, creano un
clima, costringono i politici a discutere le priorità che essi stessi
stabiliscono. Ma appunto un partito come Rifondazione, e il suo
ministro, dovrebbero contraddire quelle priorità e stabilire canali di
comunicazione diversi con i loro elettori, con la società. A prendere
alla lettera quel che dice Ferrero, lui non potrà mai votare in modo
difforme, se i media del regime (liberista) aprono il fuoco con una
certa aggressività. Mi pare che la stessa direzione di Rifondazione
abbia discusso di questo problema: chi stabilisce l'agenda? Ecco la
risposta.
Dopo di che, votare sì a un provvedimento di quel genere come
premessa per poterne discutere poi è molto pericoloso, mi pare. Perché
presuppone che non possa fare argine dove la diga si rompe, ma si
accomoda a riparare il disastro quando è già compiuto. La campagna dei
media, di Amato, di Prodi e soprattutto di Veltroni, in quei giorni, ha
provocato disastri nell'opinione corrente, ben oltre la lettera del
testo del decreto. Non solo romeni e rom, o poveracci accampati sugli
argini del Tevere, sono diventati di per sé «delinquenti», ma il
segnale è stato subito preso al balzo da amministrazioni locali e
prefetti che non aspettavano altro che di convocare le ruspe. In Italia
c'è stato un pogrom su larga scala, altro che solidarietà sociale:
aggiustare il decreto ora è meglio che niente, ma la catastrofe è già
avvenuta.
Supponiamo invece che Ferrero avesse votato contro, quella
sera, tutto da solo. Certo sarebbe stato sepolto di insulti, e il suo
partito pure. Ma quando i Sergio Romano, i Gad Lerner, le Barbara
Spinelli, insomma i superstiti testimoni del liberalismo tollerante,
avessero, come hanno fatto, cominciato a scrivere di «xenofobia», a
proposito del decreto, e quando associazioni e reti sociali e gente di
Rifondazione avessero - come sta accadendo - preso a riparare la tela
strappata città per città, campo rom per campo rom, allora Paolo
avrebbe potuto dire: solo io avevo capito, ho tenuto fermo un principio
e ho avuto ragione.