Oggetto:
> [giap] Sulla caccia ai Rumeni
> Da:
> Wu Ming <wu_ming@???>
> Data:
> Thu, 08 Nov 2007 13:56:03 +0100
>
>
>
> Invitiamo tutti quanti a leggere e diffondere l'editoriale di Valerio
> Evangelisti pubblicato oggi su Carmilla:
> http://www.carmillaonline.com/archives/2007/11/002437.html
>
> Intanto diciamo due parole anche noi.
>
> Atmosfera da pogrom. Nel 1997 accadde qualcosa di molto simile con gli
> Albanesi - se non peggio, perché in quel caso non c'era nemmeno un
> omicidio con stupro a fare da detonatore, soltanto disperati che
> fuggivano in massa da un futuro di merda.
>
> Siamo andati a ripescare gli articoli di allora: governo Prodi,
> Veltroni vicepremier, fiumi di inchiostro sul popolo di sinistra che
> si scopre razzista e tutto sommato non diverso dall'elettorato della
> Lega Nord, un decreto xenofobo varato su pressione del centrodestra e
> condannato dalla comunità internazionale (in quel caso la possibilità,
> per la nostra Marina, di bloccare navi albanesi anche fuori dalle
> acque territoriali italiane), infine una strage (terribile, più di
> cento albanesi morti annegati nel canale d'Otranto, quasi certamente
> speronati da una nave italiana, caso immediatamente insabbiato e
> rimosso dalla coscienza collettiva).
>
> ***
>
> La sovrapposizione totale tra Rom e cittadini della Romania è un
> processo di "identificazione" che lascerebbe attoniti, se qualcosa
> fosse ancora in grado di attonarci.
>
> I Rom non sono tutti rumeni e non tutti i cittadini rumeni sono Rom. I
> Rom in Romania sono il 2,46% della popolazione. Il nome "Romania"
> deriva dalla storia delle conquiste imperiali romane, mentre il
> termine "rom" nella lingua romané (lingua di ceppo indo-ariano)
> significa "uomo", anzi, più precisamente significa "marito" (e "romni"
> significa "moglie"). Esistono individui di etnia Rom in quasi tutti i
> paesi dell'Europa sud-orientale, e molti vivono anche in altri
> continenti.
>
> L'identificazione surrettizia tra etnia e cittadinanza (oramai
> accettata anche "a sinistra") emana sempre un fetore nazista: gli
> ebrei non potevano essere tedeschi, polacchi, russi, italiani... erano
> ebrei e basta, quindi "allogeni", e il corpo sociale andava depurato
> da quella tossina. E una nazione che tollera un gran numero di
> allogeni non può che essere allogena essa stessa.
>
> Peccato che in Romania gli unici veri "allogeni" siano i padroni
> italiani che hanno chiuso baracca e burattini in Italia per andar là a
> sfruttare una manodopera sottopagata e priva di diritti. Categoria di
> cui si è fatto rappresentante, poche settimane fa, il demagogo Beppe
> Grillo.
>
> ***
>
> Sulla base di cosa, poi? Del fatto che i Rom/rumeni sono delinquenti,
> stupratori, assassini che hanno valicato i "sacri confini" della
> Patria e oggi seminano il terrore.
>
> Peccato che stupro e ginocidio (= assassinio di donne) siano una
> specialità molto italiana. Secondo dati ISTAT del 2005, nel 20,2% dei
> casi denunciati (che a loro volta sono solo il 43% dei casi segnalati)
> lo stupratore è il marito della vittima; nel 23,8% il colpevole è un
> amico; nel 17,4% è il fidanzato; nel 12,3% è un conoscente. Soltanto
> nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo.
>
> Lo ripetiamo perché suona vagamente importante: soltanto nel 3,5% dei
> casi denunciati il colpevole di stupro è un estraneo.
>
> E secondo il Soccorso Violenze Sessuali della Clinica Mangiagalli di
> Milano, il 50% delle vittime di stupri che avvengono in strada sono
> donne straniere.
>
> Ma ovviamente fa notizia soltanto il caso (terribile ma sporadico)
> della donna italiana aggredita dallo straniero, dal barbaro,
> dall'allogeno.
>
> Quanto agli omicidi, poco tempo fa il Procuratore di Verona Guido
> Papalia ha dichiarato: "Oramai uccide più la famiglia che la mafia."
>
> In Italia i carnefici delle donne sono sei volte su dieci italiani,
> italianissimi, e agiscono tra le mura domestiche, con armi da fuoco o
> coltelli da cucina, strangolando o picchiando a sangue, appiccando il
> fuoco o annegando nella vasca da bagno.
> La media italiana è di 100 uxoricidi all'anno.
>
> Però il problema sono i rumeni.
>
> Che razza di paese è quello dove il Palazzo e la Piazza si
> scontrano/incontrano/aizzano a vicenda sulla base della stessa
> condivisa ignoranza, senza pudore, senza rispetto, obnubilati da un
> razzismo e provincialismo ottuso, che fa sembrare Peppone e Don
> Camillo due illuminati cosmopoliti?
>
> E' l'Italia. Non c'è modo di definirlo. Questo posto è unico al mondo
> e non regge paragoni, fa categoria a sé, ogni aggettivo è inadatto,
> superato dalla notizia di domani.
>
> E nel frattempo?
> Aspettiamo la strage?
> Va bene, purché sia /Democratica/.
> ------------------
> "Un topo, credendo che la nave stesse per fare naufragio, si tuffò in
> mare. Ma la nave non affondava. Il topo la inseguì a nuoto,
> protestando, e già pensava di fondare un partito nuovo, ma un
> pescecane lo inghiottì."
> (Gianni Rodari)
>
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Carissimi,
> molti di voi mi hanno chiesto l'articolo uscito su il manifesto, anche
> a scopo di diffusione.
> Ecco il testo integrale del commento espresso con l'articolo <<Noi
> romeni e il razzismo. In attesa degli "europei">> pubblicato su "il
> manifesto" di martedì 6 novembre.
> Un abbraccio,Mihai Mircea Butcovan
l'Osservatore RomEno - novembre 2007
Noi romeni e il razzismo. In attesa degli "europei"
di Mihai Mircea Butcovan
/Come romeno che vive e lavora da oltre quindici anni in Italia, vorrei fare alcune considerazioni su quanto accaduto in questi giorni. Chissà che non vengano chiamate "qualunquiste" o "antipolitica"./
C'è stato un delitto. E la vittima, donna, ha nome e cognome. Italiano.
L'autore del reato, uomo, anch'egli ha nome e cognome, romeno. Se da qui si può desumere che in qualche modo è stato offeso l'intero popolo italiano e le donne non si può certamente ritenere che il delitto sia stato commesso dall'intero popolo romeno o da tutti gli uomini.
E l'uomo che si è macchiato di questo delitto non è rappresentante del popolo romeno, della Romania e nemmeno del popolo rom.
Questa facile equazione "romeni = delinquenti", dove la variabile /romeno/ non è incognita ma semplicemente soluzione di tutti i mali, non rende onore all'intelligenza delle persone che la praticano.
E nemmeno la rabbia, umana e più che mai legittima, non può trasformarsi in accuse ad un intero popolo, ad un'intera nazione. *C'è chi invoca "i roghi, i fucili, lo sterminio"...*
Per una volta vorrei "sprecare" una riga del già esiguo spazio editoriale assegnato agli immigrati per esprimersi. *Una riga di /silenzio/ a commento e sgomento di fronte a tali frasi* scritte sui forum del terzo millennio da persone che si ritengono dei bravi, quando non ottimi, cittadini.
E questa volta chi inneggia a "stermini, roghi, fucilazioni" non è cresciuto, per sua fortuna, in baracche come quelle che vorrebbe bruciare, non è vissuto in condizioni di miseria e degrado come quelle che ci mostra la televisione in questi giorni. No, da quelle situazioni non possiamo aspettarci grandi impianti filosofici, nemmeno programmi di politiche sociali.
Ma da chi invece è cresciuto in ambienti puliti, è andato a scuola in un paese democratico, ha studiato, ha fatto sport e viaggiato per diletto, da chi vota liberamente i suoi rappresentanti e può farsi eleggere come rappresentante, *non ci aspettavamo frasi razziste, disumane, che spesso fanno da anticamera o motore ad aggressioni tanto ingiustificate ed orrende quanto l'uccisione della signora Giovanna Reggiani*.
Persone che accusano i criminali primitivi cresciuti in situazioni di degrado e miseria si lasciano andare a dichiarazioni belliche altrettanto primitive e belluine. La differenza sconcertante sta nell'ambiente in cui sono maturate queste aggressioni, verbali e fisiche.
Un importante telegiornale si esprimeva così mentre descriveva i funerali di Giovanna: "*nella basilica tanti rappresentanti delle istituzioni ma anche tanta gente comune*".
Quale sarà la differenza tra i primi ed i secondi? I secondi, attraverso l'espressione del voto libero e democratico deliberano chi non debba essere più "gente comune" come loro e diventi rappresentante delle istituzioni, quindi del popolo, della gente comune. Oppure quel voto rinforza la - già fuori dal comune - condizione di quelli che poi diventano rappresentanti?
Da quel voto in poi il potere decisionale è delegato a loro, ai "rappresentanti".
"*Il marito di Giovanna arriva con una rosa*" prosegue il telegiornale nella descrizione dei funerali. E poi si precisa: "*i politici sfilano davanti alla bara*".
Al marito di Giovanna, gente comune, non rimane che la parola o il silenzio che può esprimere una rosa. *Ha perso la moglie eppure trova la forza per non lasciarsi andare in frasi di odio e si prodiga per fermare quella crescente ondata di razzismo che anche la sua Giovanna avrebbe
disapprovato.* E non si fa scappare facili equazioni del tipo "romeni = delinquenti".
I politici "sfilano". Termine che fa pensare ancora ad *una passerella funebre, utilizzata per esprimere un doveroso cordoglio ma che appare una cosa già vista troppe volte per credere che sarà seguita da impegni concreti, volti a cercare soluzioni ai problemi e non rattoppi, *più o meno virtuali. Nelle dichiarazioni che precedono la sfilata, ed anche in quelle che seguono, appaiono tardive ed hanno sapore di autoassoluzione certe esternalizzazioni della responsabilità e certe colpevolizzazioni.
Ma non si può lasciare un vuoto nel campo delle responsabilità. Ecco allora che si offre un'alternativa alla "gente comune", una soluzione facile-facile per i malanni di questa società: i rom, anzi i romeni, colpevoli ormai di tutto...
*L'assenza di provvedimenti lungimiranti* e non urgenti, quelli che non possono diventare merce di scambio per una manovra economica, è un'assenza per cui qualcuno, non certo gli immigrati, dovrebbe rispondere alla gente comune.
C'è chi dice: "non doveva accadere". Ed *alcuni giornalisti dicono che "la sicurezza resta terreno di scontro tra i poli". Su questo terreno di scontro non devono cadere vittime i migranti, tanto meno i romeni.*
"I rappresentanti delle istituzioni sfilano al funerale"...
Ora, i "cittadini comuni" danno il loro consenso a chi poi istituzionalmente amministra la cosa pubblica. Ed è sulla raccolta e sulla perdita di questi consensi che si basa la vita e l'attività di questi rappresentanti del popolo.
Eppure oggi qualcuno diceva ancora che "servono più forze di polizia".
Forse perché buona parte sono impegnate a scortare i tifosi ed a difendere le città ed i treni dalla furia distruttiva di certe tifoserie?
Ma *prospettare come soluzione uno stato di polizia non sarebbe risolutivo di un bel niente.*
Se c'è un problema chiamato "sicurezza", tanto grave da far scender in campo più forze dell'ordine, allora si predispongano le scorte, una volta al mese, per gli anziani che vanno a ritirare la pensione agli uffici postali. Li si consideri come dei tifosi legittimati a difendere la cifra della propria pensione dall'eventualità di un'aggressione di chicchessia.
Spiegare al marito, arrivato al funerale di sua moglie col silenzio di una rosa, perché non è stato possibile scortarla dalla stazione del pullman fino a casa, alla stregua dei tifosi violenti che mettono a ferro e fuoco le città in nome di una fede calcistica, non può essere compito della gente comune, tanto meno dei romeni.
Ma le forze dell'ordine da chi difendono i tifosi che scortano allo stadio? Dagli immigrati?
E non possono gli immigrati, i romeni, e nemmeno i rom spiegare alla gente comune il fallimento delle politiche dell'immigrazione e del decreto flussi dello scorso anno (e nemmeno quello dell'anno precedente).
Ed *ai rom si dovrebbe trovare un posto sotto questo sole del terzo millennio. È una questione romena, italiana o europea? Nessuno ha la soluzione in tasca ma la domanda bisogna porla.*
Troppo facile puntare il dito e sparare nel mucchio dei romeni, dei rom, e definirli tutti delinquenti. Come se tutti i mali dell'Italia provenissero dalla Romania. Noi, gente comune, se non vogliamo restare senza parole e doverci affidare ai fiori ed a qualche applauso, è a loro, ai rappresentanti delle istituzioni che dobbiamo chiedere conto della gestione della cosa pubblica.
Un anno fa a Milano un certo don Colmegna aveva sollecitato le istituzioni a prendere in considerazione la questione rom con progetti di inclusione sociale. Ed affermava: «/Gli sgomberi privi di un conseguente piano sociale non servono a nulla se non a spostare il problema da un'altra parte/». *Chi avrebbe dovuto raccogliere quel drammatico appello?*
La Casa della Carità di Milano, con l'impegno quotidiano di volontari e operatori, in concerto con alcune istituzioni, aveva attuato un progetto di inserimento sociale basato su convivenza, condivisione e costruzione di reciproca fiducia. Oggi i risultati dimostrano che in due anni, con il patto di socialità e legalità come strumento di relazione sociale e mediazione culturale, si è potuto ridare dignità ad alcune famiglie di rom provenienti dalla Romania, altrimenti destinate a situazioni di miseria e disagio come quelle che hanno generato il delitto di Roma.
Qualcuno, durante i presidi di gennaio contro il campo di Opera, alle porte di Milano, aveva gridato: «don Colmegna, vattene in Romania con i tuoi rom!». Frase ripetuta durante le manifestazioni al Parco Lambro di Milano. Don Colmegna in Romania? La Romania ne avrebbe sicuramente da guadagnare. Per la città di Milano e per i milanesi, ed anche per chi avrebbe potuto seguire il suo modello, sarebbe una grande, insostituibile perdita.
La situazione è delicata ma forse *i problemi dovrebbero essere affrontati con una progettualità lungimirante e non emergenziale, con proposte concrete e non attraverso contestazioni esclusiviste e politiche espulsive*.
Ma a sostenere i progetti, a spingere nella direzione di accordi bilaterali, ad approntare politiche di ampio respiro che affrontassero le situazioni oggi definite "disumane, inconcepibili, bestiali"... questo avrebbero potuto farlo soltanto i rappresentanti delle istituzioni.
Non si rendano responsabili anche dell'innesco di violenze e rappresaglie disumane. Ancora una volta non sarebbero soluzioni. Ed il giorno dopo ci sveglieremmo con gli stessi problemi di ieri ed uno in più.
Mi chiedo anche perché nel resto d'Europa non c'è ancora l'allarme romeni?
O tutti i delinquenti romeni sono in Italia e le eccellenze romene vanno altrove oppure...
Qui mi pare che si parli di "fuga di cervelli" per altrove.
Non è la gente comune, quella che vive senza scorta e senza sconti "onorevoli", a dover dare una risposta.
Perché sfilare ad un funerale può essere un segno, simbolicamente una presenza, di certo non è ancora una soluzione ai problemi della penisola.
"Non si dovrà ripetere mai più." Stesse parole sentite durante i roghi dei campi rom di un anno fa, stesse parole sentite in occasione del ritrovamento dei *17 morti del Mediterraneo - già dimenticati -, ultimi di una strage della traversata che non ha fine.* Forse non conosceremo mai i loro nomi.
Si chiamano invece Lorenzo, Roberto, Julio, Claudio, Chiara, Marisa, Adriano, Rosaria, Michela, Laura, Adeodato, Arnold, Tullio, Daniele, Melita, Rossella, Norman, per citare soltanto 17 delle persone che mi hanno espresso la solidarietà in questi momenti di "caccia al romeno".
Ringraziandoli ho ricordato anche a loro che il giudizio nei confronti di un popolo non deve fermarsi all'amicizia di una persona...
Semmai un primo incontro deve suscitare la curiosità per approfondire la conoscenza reciproca tra i popoli. E questo è un atteggiamento europeo di chi è "comunitario" da molto più tempo rispetto ad altri.
Un rappresentante delle istituzioni, in parlamento da oltre 20 anni, dichiara ai microfoni il giorno dopo il funerale di Giovanna Reggiani:
*"stanno arrivando da tutte le parti perché qui c'è maggiore tolleranza verso l'illegalità"*.
Egli si riferiva agli immigrati. Ma a questo punto non importa il soggetto di una frase di questo genere ma la subordinata affermazione su un dato di fatto che dovrebbe avere più responsabili tra i rappresentanti delle istituzioni, compreso il dichiarante, che non tra la gente comune, e nemmeno tra gli immigrati.
"Stanno arrivando da tutte le parti..."
"...Perché qui c'è maggiore tolleranza verso l'illegalità."
Detto da uno che da oltre vent'anni è nel parlamento italiano ha un certo significato.
La sicurezza non è solo una questione di luce nelle strade di periferia.
Ma *l'antirazzismo è questione di luce nelle menti delle persone. *Prima che cali un buio simile a quello dell'aggressore, romeno, rom, europeo, che dir si voglia... buio sicuramente maturato in una situazione di disagio e degrado di cui, vogliamo o no, dovremmo prendercene cura.
Ora *alcune persone inneggiano a roghi, fucilazioni, sterminio, espulsioni.*
Si dimenticheranno in fretta anche di noi... sappiamo che è consuetudine.
Altrimenti aspetteremo con fiducia i prossimi campionati di calcio. Gli "europei"...
In caso di vittoria l'oblio dei problemi, anche di questo delitto, anche dei morti nel mediterraneo, anche dei romeni, e pure dei rom, è assicurato.
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Stato etnico
Romeni e purosangue
Alessandro Portelli
Nella sua autobiografia, Black Boy, Richard Wright ricorda la paura con cui cresceva un ragazzo nero nel Sud razzista degli Stati uniti: ogni volta che succedeva qualche cosa, scrive, «non era un crimine commesso da un nero, ma dai neri». Tutti i neri erano colpevoli, qualunque nero andava punito, e la forma della punizione era il linciaggio. Ai linciaggi ci siamo arrivati. Il delitto di Tor di Quinto non è stato commesso da un rumeno, ma dai rumeni. E dieci cittadini italiani purosangue, con coltelli e bastoni, e incappucciati come il Ku Klux Klan, fanno giustizia a Tor Bella Monaca. Ed è inutile condannare queste cose a posteriori, bisogna pensarci prima alle conseguenze di certi discorsi. Ma è ben avviato sulla strada della punizione collettiva, a colpevoli e innocenti indiscriminatamente, anche lo sbaraccamento del campo di Tor di Quinto; è una punizione collettiva e preventiva il «trasferimento» dei rom oltre il raccordo anulare, spostare il problema un po' più in là, come la polvere sotto il tappeto. Perché è vero che il problema esiste, non nascondiamoci dietro un dito.
L'associazione che gestisce un campo sportivo accanto al terreno di Tor di Quinto da anni denunciava furti continui, scriveva al sindaco e non riceveva risposta. La Romania (ma non era l'Albania, fino a qualche mese fa?) europea e democratica liberatasi dal comunismo non ci ha mandato soltanto il meglio di sé, come d'altronde l'Italia dell'emigrazione non ha mandato e non manda soltanto il meglio di sé in America o in Germania. Le migrazioni sono fiumi che si portano appresso anche un sacco di detriti, e non c'è diga che tenga. Ed è vero che la sicurezza è un requisito importante della vita civile, un diritto democratico: di che altro parlavano le donne che, almeno trent'anni fa, prima che ci fossero albanesi o rumeni a Roma, manifestavano con lo slogan «riprendiamoci la notte»? Ha detto il segretario del Partito Democratico che la sicurezza non è né di destra né di sinistra. Giusto. Però sono di destra o di sinistra le definizioni che ne diamo, e le risposte che proponiamo. Tutte e tutti abbiamo il diritto di uscire da una stazione di sera senza avere paura; ma tutte e tutti abbiamo anche il diritto di non essere ammazzati in carcere a Perugia o a Ferrara, di manifestare senza finire torturati a Bolzaneto. Certo, per le persone ordinarie il rischio di strada è più immediato e concreto del rischio in carcere o in piazza; ma c'è uno scivolamento pericoloso, quando lo stato che chiamiamo a garantirci la sicurezza dai crimini dei marginali si considera al di sopra delle leggi e delle inchieste. Tanto che uno esita prima di dire che, in certi luoghi e in certi tempi, prima che i delitti avvengano, ci vorrebbe più polizia (polizia, dico: non vigilantes privati). Io non so se sarebbe stato di destra o di sinistra illuminare meglio quella strada e quella stazione (quelle stazioni: io e la mia famiglia frequentavamo quella successiva, a Grottarossa, e avevamo paura di scendere la sera, anche se non c'erano ancora rumeni nei dintorni).
Fra l'altro, sono convinto che l'abbandono è anche conseguenza (di destra o di sinistra?) della rinuncia a fare delle ferrovie urbane una seria alternativa al feticcio automobile, ma questa è anche un'altra storia. E non so se sarebbe di destra o di sinistra accorgersi prima che sia troppo tardi delle condizioni criminogene in cui vivono migliaia di nostri concittadini europei, e fare qualcosa per i diritti umani di quella maggioranza di loro che non è venuta qui per delinquere. Anche loro hanno diritto alla sicurezza. Dopo il linciaggio di Tor Bella Monaca, il ministro degli interni Amato dice, «è quello che temevo»; il prefetto di Roma, Mosca, dice, «era quello che temevamo». Bene: che cosa avete fatto per prevenirlo?
E poi, ovviamente, la punizione ci vuole: personale e col dovuto processo di legge, non collettiva e vendicativa; ma ci vuole. Stavolta, anche grazie all'aiuto di una donna del campo, il colpevole è già in prigione e sconterà la giusta pena, con la dovuta certezza. Ma gridare al «pugno duro» è infantile e strumentale. Sappiamo benissimo, e se ne stanno accorgendo persino gli Stati uniti, che nemmeno la pena di morte fa veramente da deterrente alla criminalità. Inseguire la destra sul piano della repressione è come la corsa di Achille e la tartaruga: loro stanno sempre un po' più in là, un po' oltre. Più parliamo il loro linguaggio, più facciamo propaganda alle loro idee, più gli prepariamo la rivincita. Se non vogliamo ritrovarci, come da più parti già si annuncia, con Fini sindaco di Roma, proviamo a fare nostre le sagge e preoccupate parole di Stefano Rodotà: «Serve davvero, con 'necessità e urgenza', un'altra forma di tolleranza zero. Quella contro chi parla di 'bestie' o invoca metodi nazisti. Non è questione di norme. Bisogna chiudere la 'fabbrica della paura'. È il compito di una politica degna di questo nome, di una cultura civile di cui è sempre più arduo ritrovare le tracce».