[Incontrotempo] volantino per il 9 novembre

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9 novembre: un vero patto contro la precarietà per
opporsi al governo Prodi-Veltroni.

L’accordo sul welfare del 23 luglio, siglato dal
Governo e dalle cosiddette “parti sociali”,
rappresenta un ulteriore attacco ai lavoratori, in
perfetta continuità con le politiche antiproletarie
dei precedenti esecutivi. Il protocollo Damiano,
infatti, prevede l’innalzamento dell’età pensionabile;
un taglio ulteriore alle pensioni; incentivi alle
imprese per aumentare l’utilizzo degli straordinari;
un’ulteriore subordinazione dei livelli salariali ai
premi di produzione; la conferma integrale della legge
30 e della liberalizzazione dei contratti atipici. I
sindacati confederali hanno abilmente fatto ricorso al
referendum, spacciando il protocollo come un accordo
voluto dai lavoratori, potendo contare sulla maggiore
agibilità di cui godono nei posti di lavoro le sigle
che detengono il monopolio della contrattazione. Ma
non hanno potuto impedire la vittoria del NO
all’accordo nei luoghi che negli ultimi anni sono
stati attraversati dalle lotte e dal protagonismo dei
lavoratori, come gli stabilimenti Fiat di tutta Italia
e l’Atesia di Roma (ma gli esempi sono tanti). Ora, è
chiaro che questo dissenso radicale rispetto alla
linea delle grandi confederazioni sindacali può
costituire una base per le mobilitazioni future. Ma
c’è un problema da non sottovalutare, rappresentato
dalla piazza romana del 20 ottobre, indetta dalla
sinistra alternativa mirando anche a canalizzare il
dissenso che si è espresso nei luoghi di lavoro
rispetto al protocollo. Nonostante l’elevato numero di
partecipanti, quel passaggio va ritenuto in
contrapposizione ad una vera lotta contro la
precarietà. Come ha riferito il segretario di
Rifondazione Comunista Giordano, il 20 ottobre non è
stato altro che “un incentivo a Prodi a lavorare
meglio”: l’ennesima conferma, dunque, del vero ruolo
della sinistra radicale, stampella dell’esecutivo. Mai
come oggi, la strategia della “correzione da sinistra”
della linea governativa rivela un potere negoziale
prossimo allo zero: d’altronde è privo di senso
lottare per qualche emendamento in un contesto in cui
le logiche confindustriali imperano. Si pensi al
dibattito in corso rispetto al mercato del lavoro. Il
senatore Treu e l’economista Boeri hanno di recente
ipotizzato un contratto di ingresso caratterizzato
dall’assenza, per tre anni, dell’articolo 18, cioè
della giusta causa per il licenziamento. La proposta,
tra le più radicali nella direzione dello
smantellamento dei diritti residui, è stata accolta
con entusiasmo da Veltroni, sindaco di Roma e attuale
premier ombra. E’ evidente che questo leader politico
non avverte il “fiato sul collo” della sinistra
radicale, di cui, anzi, da amministratore capitolino
ha conosciuto la estrema docilità. In questa
situazione, quindi, acquista ulteriore importanza lo
sciopero generale del 9 novembre. Indetto da tutto il
sindacalismo di base e sostenuto dalle forze
dell’antagonismo sociale, esso si articola in vari
cortei locali, schierandosi nettamente contro le
politiche del lavoro del governo Prodi. Certo, il
segnale avrebbe potuto essere più forte, se non fosse
venuta meno la possibilità di una manifestazione
nazionale entro novembre, persa per strada per
responsabilità di forze che non vogliono recidere i
legami con Rifondazione Comunista. Nonostante ciò, lo
sciopero del 9 rappresenta un momento significativo
all’interno del percorso di lotta contro la
precarietà. Sostanzialmente esso costituisce il
secondo segnale di questa stagione in un’ottica priva
di ambiguità, dopo quello dato il 27 ed il 28 ottobre
dagli immigrati, con le manifestazioni di Brescia e di
Roma. In quei cortei, è stata denunciata con
chiarezza la politica dell’attuale Governo,
“migliorista” rispetto alle leggi Bossi-Fini e
Turco-Napolitano, rivendicando con forza un permesso
di soggiorno sganciato dal contratto di lavoro. E’
significativo che gli immigrati, dando prova di uno
spirito unitario che spesso manca nell’area
antagonista, abbiano deciso di sostenere lo sciopero
generale. Proprio partendo dal loro esempio, occorre
lavorare per costruire una mobilitazione permanente
contro tutte le politiche padronali e antiproletarie.
In quest’ottica, è importante sostenere
collettivamente tutte le vertenze in atto, come quella
di Atesia che prosegue in tribunale: il 22 novembre
prossimo si terrà, infatti, una nuova udienza del
processo per il licenziamento di tre membri del
Collettivo Precari Atesia avvenuto nel luglio 2005 in
seguito ad un’assemblea organizzata all’interno
dell’azienda. Ora, sono proprio momenti come il 22
novembre ad indicare il terreno su cui dovrebbe
misurarsi una ipotesi come quella del “patto contro la
precarietà”, formulata in recenti assemblee di
movimento. Il patto contro la precarietà non può
limitarsi alla convocazione dei grandi appuntamenti
nazionali, pur necessari per lanciare segnali di
carattere generale. Esso dovrebbe definirsi in modo
più chiaro in quanto ambito operativo, capace di
sostenere, nelle sue articolazioni territoriali, le
vertenze in atto, al di là di ogni logica di bandiera
e di appartenenza sindacale.

Corrispondenze Metropolitane – collettivo di
controinformazione e d’inchiesta
(riunione ogni martedì, ore 21, presso il Comitato di
Quartiere Alberone, in via Appia Nuova 357)




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