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LA MUSICA DI DIO
di marcello faletra
tratto da Cyberzone 21-2007
all'ombra di Dio


«Il rock l’ho messo all’inferno perché il rock è il
nemico…
Il rock se non è proprio il male è comunque
espressione del male»

Non siamo negli anni sessanta quando il rock esplodeva
con la sua
carica
di ribellione,
ma nel 2007 dove il rock è addomesticato come una
ninna nanna
collettiva, e le parole
sono dell’alto prelato Monsignor Frisina - direttore
del centro
liturgico del Vicariato di Roma.
Monsignor Frisina ha rilanciato il pensiero-Ratzinger,
il quale qualche

anno fa affermò che il rock sarebbe:
«espressione di passioni elementari, che nei grandi
raduni di musica
hanno assunto caratteri cultuali,
cioè di controculto, che si oppone al culto
cristiano». Perché per i

gerarchi della chiesa il rock è associato al male?
La cosa sorprende, soprattutto se si tiene conto che
il rock non è
più
una forma di ribellione o di protesta che mette
in discussione l’ordine del mondo stabilito dal Dio
dei cattolici e
dal
capitalismo, ma un modo d’esistere convenzionale
e altamente proficuo per l’industria della musica.
Perentoriamente
Ratzinger contrappone il culto cattolico
al culto della musica rock. Evidentemente questa
opposizione non è
ingenua.
Culto cattolico e rock hanno in comune l’ascolto delle
masse, o
un’economia politica dell’ascolto.
Il forte richiamo ad un altro ascolto cui mirava la
musica rock della
prima generazione guardava all’utopia
di un cambiamento possibile del mondo. L’indisciplina
che annunciava
preconizzava già quel rumore di fondo
che animava l’intera società. Come in un gioco di
specchi il rock
rifletteva i tumulti che animavano il mondo.
Così come Mozart e Bach annunciavano con la loro
libertà musicale la
libertà della società borghese nascente,
allo stesso modo gli assoli di chitarra di Hendrix, la
voce felina di
Janis Joplin o le epiche musicali dei Doors
ci parlano del sogno libertario degli anni Sessanta e
Settanta molto
più
di qualsiasi rendiconto sociologico redatto
da giornalisti embedded o da imbonitori universitari.
I gerarchi della
chiesa temono il rock. Effettivamente hanno fiuto,
sanno che la musica è sempre un annuncio del mondo che
viene. Su
questo
non gli si può dare torto, portano acqua al loro
mulino.
Per Nietzsche la musica era “parola di verità” e
Dioniso era il
suo
profeta: i suoni che alimentavano la danza bacchica
erano
un preludio al divenire animale dell’uomo. Sileni e
satiri erano le
figure attraverso cui la molteplicità cancellava il
blocco statico
dell’identità.
Per Freud la musica era un testo da decifrare; le note
coagulano i
nostri affetti come minerali seppelliti in zolle di
terra.
Per Marx era “specchio del mondo”, la musica come
annuncio del
mondo in
atto, società e musica si specchiano l’una nell’altra.
Se chiudiamo gli occhi e apriamo le orecchie, abbiamo
una percezione
del
mondo secondo i suoi tumulti sonori.
La lotta per avere le orecchie delle masse in tal
senso è decisiva. I
suoni o i rumori del potere vanno distillati come le
favole ai bambini. Attraverso i suoni il mondo dei
vincitori impone le
proprie idee e il proprio dominio. Melodie,
dissonanze,
armonie e rumori dello spettacolo si dividono le
orecchie degli
ascoltatori addestrati per questo fin dalla nascita.
Qualsiasi musica, o qualsiasi organizzazione dei suoni
è suscettibile
di
trasformarsi in strumento di potere e di violenza,
poiché il suono non è soltanto ascolto beato di
ammorbanti scolature
melodiche, ma anche espressione di potere.
Nel passato le guerre venivano fatte precedere da
squilli di tromba o
da
vibranti percussioni di tamburo.
Oggi, le cose non sono cambiate di molto. I marines in
Iraq prima di
attaccare si impasticcano le orecchie di certa musica.
ILa musica dunque rinvia, nell’universo sonoro, a
un’eco della
pratica
sacrificale della violenza: le dissonanze vi sono
eliminate
per evitare che il rumore si spanda; in tal modo essa
mima, nello
spazio
sonoro, la ritualizzazione dell’omicidio.
E la musica rock, nelle sue versioni più radicali, ha
conosciuto
questa
discesa del suono al rumore, quale momento
rituale di sacrificio collettivo, fino alla sua
materializzazione con
le
morti di Hendrix, di Janis Joplins, di Jim Morrison.
Tutto ciò per i gerarchi della chiesa è
insopportabile.

L’assolo di batteria o di chitarra s’impossessa delle
orecchie
distogliendole dalle laconiche e ammorbanti omelie dei
preti,
che non possono reggere il confronto. Le chiese si
svuotano, dice
Ratzinger, addossando la colpa al demonio musicale.
Gli manca quell’immaginazione che lo porta a vedere
San Francesco,
che
radunava folle immense scatenando l’invidia del papa,
cantare come Jim Morrison o Nusrat Fateh Ali Khan, di
fronte a cui
anche
Dio, circondato da passeri, si siede e ascolta.
L’Alleluia e l’Amen, non sono più di questo mondo, Dio
lo sa che
ha
concesso agli uomini l’assolo di chitarra di Jimi
Hendrix
o le note farmaceutiche del Blues, così come mille
anni fà ispirò la

musica di Hildegarda di Bingen, per ornare lo spirito.
Il canto e la musica nate assieme alla vita e alla
morte – per
sedurre e
per esprimere il dolore – sono molto più vicini allo
spirito
degli uomini di quanto possa esserlo lo spirito dei
gerarchi della
chiesa ossessionati dalla fobia di trovare un nemico
per giustificare
il proprio fallimento evangelico. In questo stupido
mondo – dove
trionfano la corruzione politica, la guerra, lo
sfruttamento intensivo
dei paesi poveri e il cinismo neoliberista, i gerarchi
della chiesa non

hanno altro da fare che lamentarsi del rock,
dell’esistenza dei gay
o delle coppie di fatto. Le masse giovanili che escono
dalle chiese
sono
quelle che entrano nei concerti rock.
E di questo i gerarchi della chiesa non si danno pace.
Alle loro
ipocrite litanie i giovani preferiscono il
sacro-selvaggio del rock che

scompone,
destruttura, inclina l’essere verso l’altro.

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