Martedì 23 ottobre 2007 15:29
G8 Genova | Processo ai 25 manifestanti
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I Pm chiedono 225 anni per gli imputati
Udienza numero 130, quasi
tre anni e mezzo di dibattimento.
I Pm hanno terminato la requisitoria
con la richiesta di una pena complessiva di circa 225 anni di
reclusione, da un massimo di 16 anni a un minimo di 6 anni, per i 25
manifestanti accusati di devastazione e saccheggio.
Il Tribunale,
secondo i PM, deve tenere conto del concorso morale degli imputati.
Il
PM Canciani ha voluto sottolineare che se alla Diaz c'è stato un
massacro, nelle strade di Genova c'è stata devastazione e saccheggio.
Gli avvocati della Difesa inizieranno le loro conclusioni il prossimo 6
novembre.
La corrispondenza dal Tribunale di Genova.
questo di
seguito è il link alla pagina speciale su globalproject.info con audio
e trascrizioni
http://www.globalproject.info/art-13673.html
www.
supportolegale.org
www.veritagiustizia.it
http://www.altreconomia.
it/noidelladiaz/
>>>>>>>
L'appello che segue e' stato reso
pubblico sabato 20 ottobre a
Genova, presso il Teatro degli Zingari
della Comunita' San Benedetto al
Porto, durante l'incontro pubblico
con Porota e Cela delle Madri di
Plaza de Majo e a loro consegnato
direttamente in attesa dell'adesione
di Hebe de Bonafini.
NOI, QUELLI
DI VIA TOLEMAIDE
E' vero, vi è una storia delle lotte, dei movimenti,
delle persone e una storia del potere.
Su questo non vi è dubbio e
Genova lo conferma.
La storia del potere è spesso scritta per via
giudiziaria.
I pubblici ministeri che hanno accusato di devastazione e
saccheggio 25 manifestanti e che mantengono, per ora, nei loro cassetti
centinaia di procedimenti aperti contro altrettanti partecipanti alle
manifestazioni contro il g8, sintetizzano bene nelle loro requisitorie
questa pratica. Riscrivere, modificare, stravolgere ciò che è accaduto
per tentare non solo di cambiarne il senso, ma anche per rimuovere
quelle anomalie che rappresentano il segno tangibile della crisi di un
sistema. Riscrivere la storia a proprio uso e consumo, infatti, non è
solo un vecchio vizio di chi comanda, è anche la misura di quanto
questa democrazia, in crisi profonda e irreversibile, abbia la
necessità di creare artificiosamente attorno a sé quella legittimazione
che non c'è più.
Le roboanti parole, scelte con sapienza da questo o
quel servitore dello Stato, pronunciate nelle aule di un Tribunale,
dovrebbero coprire quello che centinaia di migliaia di persone hanno
vissuto, e che in milioni già
conoscono.
Quelle parole, diventeranno
storia ufficiale quando saranno scritte nero su bianco, in calce a
condanne ad anni di carcere per chi ha avuto la sfortuna di essere
stato scelto come capro espiatorio e la colpa di essere stato a Genova
il 19, 20 e 21 luglio del 2001 a contestare il G8. L'archiviazione
dell'omicidio di Carlo Giuliani, è stato il primo capitolo della storia
di Genova, scritta per il potere dai tribunali.
Tuttavia commetteremmo
un grave errore a pensare che la questione si esaurisca così, in
maniera semplificata. Nella requisitoria dei pubblici ministeri, e
nella gestione del processo di Genova, traspare ben di più che la sola
conferma di un vecchio assunto, con cui tutti i movimenti di lotta
hanno avuto a che fare.
Innanzitutto per un fatto molto semplice: la
storia del potere e quella "sociale", non viaggiano parallele, ma si
scontrano, confliggono. Ed è la forza con cui avviene questo impatto,
che determina il risultato.
Se si lascia spazio a ciò che il "sistema
democratico", dal parlamento ai tribunali, vuole produrre su Genova,
ecco che il risultato sarà sempre a favore del mantenimento del potere
e di chiusura per i movimenti, quelli di allora, e soprattutto quelli
che verranno.
Il secondo grave errore sarebbe pensare che anche la
storia di movimento sia scritta nero su bianco. Sia statica,
depositata, perenne. Non è così. Questa storia è viva, a differenza di
quella scritta dai tribunali, e
cresce, oppure diventa invisibile,
carsica, frantumata, insieme a chi l'ha vissuta.
Dopo le giornate di
Genova, nessuno di noi, di quelli che in maniere diverse hanno
contribuito a costruire quella straordinaria insorgenza, che come tutte
le cose vere ha fatto i conti anche con le tragedie, ha
saputo
riprendere parola con forza. Alcuni perché, dopo quell'esperienza di
rivolta, molto semplicemente
hanno preferito tornare, o saltare, nel
solco della "politica ufficiale", nei parlamenti e nei partiti.
Altri
perché, a volte, la pratica dei movimenti, ti porta in strade nuove,
difficili da sperimentare, piene di dubbi ed incertezze. In generale
non siamo stati capaci di assumere i processi contro alcuni di noi,
come fatto politico fondamentale, e abbiamo troppo spesso permesso
quindi, che la nostra storia fosse scritta da altri.
Ma cosa significa
riprendere la parola con forza? Crediamo che abbia poco a che fare con
il semplice parlare, denunciare, testimoniare. Questo, certo, è il
minimo, ma come abbiamo visto, se non vi è qualcosa in più, qualcosa
che diventi motore di tutto il resto, anche quello che si da per
scontato, viene inghiottito in una routine che diventa in fretta
incapacità. E' un'idea forza che ha prodotto Genova, non la sommatoria
di chi vi partecipava. Ed è dalla nostra idea forza, quella di Via
Tolemaide, che noi vogliamo
contribuire a rimettere al centro ciò che
Genova ci ha consegnato.
In questi giorni i pubblici ministeri hanno
chiarito bene qual è la chiave che lo stato vuole usare per la
criminalizzazione del movimento di Genova. Il nodo di via Tolemaide,
che è stato anche il corteo più partecipato di quei giorni, è
l'anomalia che chi riscrive la storia dal punto di vista del potere,
deve attaccare.
Attorno alla moltitudine degli oltre ventimila di via
Tolemaide e del Carlini, a ciò che ha generato l'attacco dei
carabinieri, ruotano tutti i fatti del 20 di luglio, compreso
l'omicidio di Carlo.
Quella moltitudine aveva fatto una scelta precisa:
disobbedire all'imposizione della zona rossa, che era il simbolo
concreto di tutto il potere esercitato dal G8 in quei giorni.
Questa
scelta era stata resa pubblica.
La disobbedienza, la violazione della
legge, era divenuta spazio pubblico e direttamente costituente per una
enorme comunità di soggetti, singoli e collettivi. Vedendo oggi ciò che
stanno facendo i compagni di Copenhagen, o quello che è successo a
Rostock, si ha la dimensione, spaziale e temporale, di quanto quella
scelta, rinnovata ed arricchita, sia divenuta pratica di movimento. E
non si tratta della "forma di lotta", anche se le tecniche, ad esempio
quella degli scudi, le abbiamo viste ormai ovunque utilizzate, ma del
paradigma della disobbedienza. La scelta di violare la zona rossa, di
dichiararlo pubblicamente e quindi di non "clandestinizzare" né le
pratiche né il processo di costruzione di questo percorso, è parte di
questa anomalia attaccata dai tribunali e dallo stato.
I ventimila di
via Tolemaide sono stati possibili grazie a questo.
E questa scelta,
l'essere in tanti e costituirsi a partire da una pratica condivisa e
non da altro, oggi la ritroviamo in molte esperienze di resistenza che
accompagnano movimenti veri che si battono contro le
basi o contro il
tav. Ma aver trasformato il proprio obiettivo in uno spazio pubblico
costituente, porta ad un'altra incompatibilità per lo stato, che poi i
giudici nei tribunali tentano di criminalizzare: il consenso.
Il corteo
di via Tolemaide, e l'esperienza del Carlini, potevano contare di un
appoggio, anche solo in termini di opinione, che andava molto oltre il
numero dei partecipanti.
E' possibile per il potere ammettere questa
stranezza? Si può essere cattivissimi, ferocissimi, ma bisogna essere
pochi, isolati da tutti, costituenti solo della propria sconfitta:
questo è compatibile. Anzi, al di là della volontà dei protagonisti,
alcune volte generosi e riempiti di anni di carcere, lo stato assegna
un ruolo a tutto ciò, come lo assegna alla testimonianza e alla
denuncia. L'importante è che il risultato finale rafforzi le
istituzioni, e il loro precario legame con legittimità e consenso. Ma
se il consenso si incardina per un attimo a qualcosa che prelude a una
non accettazione delle leggi, dell'ordine costituito, e lo pratica
collettivamente?
Via Tolemaide era anche questo.
Un altro nodo,
fondamentale, è ciò che è accaduto dopo l'attacco dei carabinieri.
L'esercizio di un diritto di resistenza, spontaneo, diretto, diffuso.
La disobbedienza non si è trasformata in un gioco di ruolo, appunto.
Nelle distorsioni spesso operate da chi, anche all'interno di quel
percorso, parlava di disobbedienza ma pensava al governo, la
disobbedienza ha rischiato di morire rinsecchita varie volte.
Prima
perdendo la sua originalità legata al contesto che l'aveva prodotta, e
richiamandosi a modelli "storici": come dire che la nonviolenza dei
movimenti birmani è la stessa cosa di quella propagandata da certi
parlamentari italiani, che votano le guerre tra l'altro. Poi rischiando
di diventare un feticcio, un'identità chiusa e pesante, fondata sulle
tecniche di lotta più che su un sentire comune.
Via Tolemaide, con
l'esercizio da parte della disobbedienza, del diritto di resistenza, ha
spazzato via tutti i tentativi di questo tipo. La disobbedienza non
poteva più essere considerata né un modello, né una
forma. Oggi in
Italia ed in Europa ci sembra dimostrato che si tratta dell'assunzione
di un percorso, che può avere forme e modi diversi ed articolati, e
trova il suo fondamento in alcune linee di tendenza. Dal Carlini si è
partiti con un obiettivo: agire con la disobbedienza. Ci si è ritrovati
a resistere, con ogni mezzo possibile, alla furia cieca e di
annientamento, che nessuno aveva potuto prevedere in quei termini, che
carabinieri e polizia hanno scaricato contro quel corteo. Questo è
stato un passaggio naturale, ed è per questo che la resistenza di quel
corteo, rivendicata collettivamente fino in fondo, è per lo stato, i
tribunali e le istituzioni, difficile da digerire. Ed è in quel
contesto che va letto l'omicidio di Carlo. In assenza quindi di facili
strumentalizzazioni possibili, in quel caso lo stato ha scelto
l'archiviazione.
E' questo il nodo che si tenta di annullare con il
processo di Genova. Perché parla agli altri movimenti, quelli di oggi e
quelli di domani, e lo fa con speranza e determinazione, con rabbia e
lucidità. Via Tolemaide ha messo in difficoltà il potere, e per questo
bisogna tentare di riscriverne la storia, facendola rientrare in un
contesto compatibile. A Genova con l'assunto: "In Via Tolemaide erano
tutti violenti", a Cosenza con l'imputazione di "associazione
sovversiva composta da oltre ventimila aderenti". Con questa idea forza
dobbiamo riprendere la nostra corsa che è stata interrotta lì, in
quella via di Genova, in quella piazza poco distante bagnata del sangue
di uno di noi. Altri hanno ripreso a correre, in Germania, in
Danimarca, in Val di
Susa, a Vicenza. Sappiamo da dove partire per
raggiungerli. Dalla difesa di tutti i compagni sotto processo, dal
riconoscere ciò che ci ha consegnato Genova, da Via Tolemaide.
Sottoscriviamo quanto sopra per prendere un impegno, quello di
organizzare, durante il ritiro in camera di consiglio dei giudici del
processo di Genova, una mobilitazione. La sentenza, cioè il tentativo
di riscrivere la storia dal punto di vista del potere, deve trovare un
contrasto diretto da parte di tutti coloro che in quei giorni del 2001
scesero in strada nonostante le minacce, l'arroganza, la violenza
scatenata contro chi voleva cambiare. Iniziamo noi, con i nostri nomi e
cognomi, perché innanzitutto qui vi è la scelta, personale e politica,
di continuare a batterci per una verità che non sia addomesticata, che
non sia occasione per chiudere ulteriormente gli spazi dei movimenti e
del dissenso in questo paese. Ma facciamo da subito appello a tutti,
singoli e realtà collettive, perché aderiscano alle iniziative che si
proporranno.
Perché tutti i compagni processati a Genova siano liberi,
perché la storia del potere non sia un ostacolo alla corsa di tutti,
quelli che c'erano e quelli che verranno, verso la libertà.
Con Carlo
nel cuore.
Don Andrea Gallo (Fondatore Comunità San Benedetto al
Porto-Genova), Associazione Madri di Plaza de Mayo, Valeria Cavagnetto
(Genova), Vladia Grillino (Genova), Milena Zappon (Genova), Domenico
Chionetti (Genova), Simone Savona (Genova), Luciano Bregoli (Genova),
Luca Oddone (Genova), Paolo Languasco (Genova), Matteo Jade (Genova),
Luca Daminelli (Genova), Maurizio Campaga (Genova), Luca Casarini
(Marghera–imputato a Cosenza), Tommaso Cacciari (Venezia), Michele
Valentini (Marghera), Max Gallob (Padova), Vilma Mazza (Padova), Duccio
Bonechi (Padova-imputato a Genova), Federico Da Re ( Padova-imputato a
Genova), Cristian Massimo (Monfalcone), Donatello Baldo (Trento),
Domenico Mucignat (Bologna), Gianmarco De Pieri (Bologna), Manila Ricci
(Rimini), Daniele Codelupi (Reggio Emilia), Claudio Sanita
(Alessandria), Luca Corradini (Milano), Silvia Liscia (Milano),
Francesco Raparelli (Roma), Francesco Brancaccio (Roma), Emiliano
Viccaro (Roma), Luca Blasi (Roma), Antonio Musella (Napoli), Nicola
Mancini (Senigallia), Sandro Mezzadra (Università di Bologna), Gennaro
Varriale (Formia–LT), Peppino Coscione (Genova), Franco Borghi (Cento),
Giacomo Verde, Cristina Stevanoni (Università di Verona), Giovanni
Battista Novello Paglianti (Università di Padova), Mimì Capurso
Bisceglie (Bari), Arianna Ballotta (Ravenna), Annalisa Rosso (Genova),
Simona Pittaluga (Genova), Mimmo Lavacca (Monopoli–Bari), Minuto
Edoardo (S. Benedetto del Tronto AP), Enrico Bandiera (Ivrea), Renato
Goffredi (Castel San Giovanni–Piacenza), Giuseppe Coppola (Mestre),
Alessio Olivieri (Genova), Giovanni Vassallo (Imperia), Marco Rocchi
(Viareggio), Valerio Guizzardi (Bologna), Francesco Aliberti (Salerno),
Luigi Narni Mancinelli (Salerno), Fernanda La Camera (Genova), Silvia
Aquilesi (Padova), Francesca Moccagatta (Firenze), Gabriele Mainetti
(Padova), Andrea Fumagalli, Valerio Monteventi (Bologna), Sandro
Chignola (Verona), Sandro Badiani(Roma), Giuseppe Palumbo (Catania),
Marco Manetto (Torino), Marina Costa (Roma), Lucia Altamura (Lucca),
Francesca Moccagatta (Firenze), Marina Costa (Roma), Sergio Zulian e
Monica Tiengo (Treviso), Marco Maffeis (Nave–BS), Claudio Orale (Roma),
Paolo Do (Università Queen Mary di Londra), Giuliano Santoro (Roma),
Pietro Rinaldi (Napoli), Roberto Giordano (Roma), Matteo Dean (Città
del Messico), Francesco Cirillo (imputato a Cosenza), Alessandro Metz
(Trieste), Lorenzo Santinelli (Genova), Enrica Paccoi (Associazione
italia/senegal Yakaar–Roma), Attilio Ratto (RdB /CUB Federazione
Regionale della Liguria), Alfonso De Vito (No Border–Napoli), Pietro
Rinaldi (Napoli).
PER ADESIONI:
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