URBAN STRIKE! SAPERI, PRATICHE, CONFLITTI
http://www.vag61.info/vag61/articles/art_1684.html
lunedì 29 ottobre
c/o Vag 61 in via Paolo Fabbri 110 (sotto il ponte di S. Donato)
a partire dalle ore 19 > mostra di materiali, proiezioni, aperitivo e cena sociale
ore 21 > dibattito
con Cristina Morini, tra gli ideatori di City of Gods; Gigi Roggero, ricercatore attivo nelle lotte universitarie e non solo; interventi in definizione di altre realtà antagoniste; e chiunque voglia intervenire
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Il 9 novembre, uno sciopero generale nazionale diffuso sul territorio, vedrà coinvolte centinaia di reti sociali e realtà lavorative. Questa importante scadenza politica può rivelarsi anche un' occasione utile per ripensare lo "sciopero" e le sue forme all'altezza del presente: un compito tanto più necessario di fronte alle impetuose trasformazioni degli assetti e della geografia della produzione capitalistica.
Quali forme può assumere uno "sciopero metropolitano"? Come bloccare i processi produttivi nello spazio urbano? Quali tattiche, oggi, potrebbero essere efficaci? Alcune recenti esperienze di lotta possono fornire preziosi elementi di risposta, o quantomeno utili indicazioni di metodo.
Nel 2006, in Francia, il movimento di lotta contro il CPE ha saputo produrre una paralisi quasi completa dei flussi di produzione e circolazione; allo stesso tempo ha saputo sperimentare pratiche "tradizionali" in contesti nuovi. Ripensare quelle lotte è più che mai tappa obbligata di ogni attuale tematizzazione dello sciopero.
Nel 2007, in Italia, durante la lunga vertenza contrattuale dei giornalisti e i duri e prolungati scioperi che l'hanno accompagnata, i creatori di City of Gods hanno approfittato del blocco della produzione di informazione per una vera e propria azione di "guerriglia informativa". È nato così un esperimento di comunicazione e conflitto che si prepara alla quarta uscita in vista del 9 novembre.
Anche le pratiche sperimentate negli scorsi mesi a Rostock-Heiligendamm e Copenhagen, sebbene non direttamente legate alla forma "sciopero", meritano di essere prese in considerazione: tanto la resistenza passiva e il blocco dei flussi sperimentati con successo in Germania, quanto la tattica delle 5 dita, ripensata a Copenhagen per lo spazio urbano, tracciano nuovi orizzonti per gli scioperi di domani.
Discuteremo insieme di queste pratiche e dei conflitti che hanno prodotto, ma anche delle esperienze soggettive di chi li ha attraversati: verso il 9 novembre e oltre...
> a cura di
network della comunicazione antagonista Malabocca
malabocca@??? -
www.inventati.org/malabocca
assemblea ogni giovedì alle 21 a Vag61- via Paolo Fabbri 110
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PERCHE' UN NETWORK DELLA COMUNICAZIONE ANTAGONISTA?
Negli ultimi anni, le società che abitiamo, le città che attraversiamo, si sono profondamente trasformate. Nuovi abitanti, nuovi linguaggi, nuove tecnologie, nuovi territori, nuova (vecchia) repressione: la vita quotidiana di tutti noi è costantemente intrecciata con l'impetuosa trasformazione del nostro mondo.
Le percezioni di questo presente sono spesso contraddittorie. Abbiamo, infatti, una quotidianità di tempi e di luoghi che sembra indicare passività, arretramento, subordinazione, in cui ci ritroviamo afasici, incapaci di farci sentire e di emergere fuori dai circuiti militanti; ma allo stesso tempo segnali di una ribellione che ancora percorre un mondo tutt'altro che ordinato. Da Seattle a Rostock sono passati 8 anni, e nel mezzo c'è stato tuttaltro che il vuoto.
Ciò nonostante, il futuro è più che mai incerto. Si fatica a intravedere spazi di crescita del movimento al di là di grandi appuntamenti, e non ci sono molte idee chiare su quello che occorre fare per rilanciare una prospettiva politica di lotte che sappia misurarsi con le sfide del presente e del futuro. Come rispondere a questa crisi e alle sue ambiguità? Converrà prima di tutto tracciare il perimetro delle nostre forze, dei nostri spazi, delle nostre possibilità immediate.
Comunicazione e movimento
Il rapporto tra comunicazione e movimento può essere tematizzato da differenti angolazioni: proviamo ad individuare le principali. Prima di tutto, è evidente che l'informazione e la diffusione delle news sono questioni di decisiva importanza.
Le mobilitazioni contro il G8 a Heilingendamm e il corteo contro la visita di Bush a Roma, sono state mobilitazioni importanti che hanno segnato belle vittorie contro una repressione inaudita, e lo hanno fatto con grande creatività e determinazione. In Italia, a Bologna, la copertura locale di queste situazioni politiche è stata pressoché nulla, se si eccettua il lavoro di Vagaboom e le agenzie e approfondimenti di Acab e Zic.it. Al di fuori della copertura del network Global Project, nessun media nazionale ha mostrato altro che vetrine rotte e silenzio.
Eppure è importante che quanto accade di positivo venga comunicato, a maggior ragione se si considera che oggi manca la copertura che, anche indirettamente, garantivano i partiti. Se ciò accade per i grandi eventi, la situazione è ancora peggiore se osservata su scala prettamente locale. L'informazione locale mainstream è interamente monopolizzata dalle campagne per la sicurezza e contro il degrado: tutto ciò che timidamente prova a muoversi, si infrange contro il muro di gomma dei media.
Eppure, Indymedia dovrebbe averci insegnato qualcosa a riguardo. Don't hate the media, become your media! : sono passati alcuni anni da quando questo slogan ha cominciato a circolare tra i compagni di mezzo mondo, ma non ha certo perso d'attualità.
La produzione e la diffusione di news su tutto ciò che si muove verso altro a Bologna e nel mondo, quindi, può essere un modo produttivo per tematizzare il rapporto tra comunicazione e movimento. A questa decisiva prospettiva è possibile aggiungerne anche un' altra. Se nel primo caso abbiamo parlato di comunicazione del/ per il movimento; nel secondo possiamo capovolgere il binomio, provando a considerare il movimento generale del lavoro in rapporto alla comunicazione.
Il terreno della comunicazione è sempre di più riconosciuto come decisivo nello sviluppo della produzione dei paesi più industrializzati dell'occidente capitalistico, ma anche nei cosiddetti paesi emergenti (ormai abbastanza emersi...) come India e Cina. Nella nostra economia, la produzione di informazioni e di simboli accomuna una serie sterminata di mestieri e professioni in costante sviluppo: da ormai alcuni anni, è il settore di nuova occupazione in maggiore espansione. Inoltre, la produzione di informazioni e di simboli ha una centralità politica negli assetti del governo della società evidente agli occhi di tutti. Si tratta dunque di un settore di notevole importanza tanto dal punto di vista economico quanto dal punto di vista politico oltre che, ovviamente, da quello culturale. A Bologna, poi, questo è ancora più vero: il mercato della cultura, dell'informazione e della formazione ha un'importanza che difficilmente si potrebbe sopravvalutare.
Dal punto di vista del lavoro, anche questo settore, come molti altri, è attraversato da impetuose dinamiche di precarizzazione: il rapporto 2006 sull' economia dell'EmiliaRomagna sostiene che quasi la metà (44%) delle nuove assunzioni complessive del 2006 sono state a tempo determinato, in linea con una progressione in atto da almeno 8 anni. Sempre più mestieri comunicativi, sempre più precari: è probabile che molti di noi saranno costretti ad attraversarne (se non stanno già attraversando) molti nel corso della propria vita lavorativa: dal freelance al tecnico del suono, dal cuoco all'insegnante, dal telefonista al bibliotecario. Insieme ai mestieri tradizionalmente operai, compongono la stragrande maggioranza del brulicante mondo di corpi, azioni, tecniche e merci con cui si sopravvive e si fa vivere un' area metropolitana.
Come è noto, si tratta di impieghi la cui condizione tende sempre più a livellarsi verso il basso, accomunati a moltissimi altri dalla totale subordinazione e ricattabilità, dal continuo degrado delle condizioni di lavoro e di vita. L'esperienza di ognun* di noi potrà confermare questa realtà. Allo stesso tempo, in modi differenti e spesso isolati, esistono tentativi di risposta e di autorganizzazione in molteplici situazioni, che tuttavia restano scollegati e silenziosi, incapaci di radicarsi e sedimentare continuità. Incapaci, prima di tutto, di comunicare e di comunicarsi.
Si tratta, dunque, di affrontare il rapporto tra movimento e comunicazione dal punto di vista del lavoro e della precarietà. Non certo per chiudere il nostro sguardo su una condizione lavorativa escludendo le altre, al contrario: avendo ben chiaro l'obiettivo di giocare la nostra parzialità, i nostri strumenti, le nostre competenze, le nostre limitate possibilità di azione a vantaggio di tutti i precari.
Esplorare le implicazioni politiche di questo rapporto, le possibilità di connessione di percorsi differenti e di lotta, le potenzialità di conflitto e di sovversione che può comportare: ecco un'altra tematizzazione del rapporto tra comunicazione e movimento, potenzialmente produttiva.
Un collettivo politico redazionale
Se queste prospettive generali possono essere produttive e feconde, è necessario capire quale strumento può essere adeguato per cominciare a muoversi praticamente nella direzione giusta. Innanzitutto, questa traccia di percorso dovrebbe essere in grado di misurarsi con i diversi spazi di intervento che si aprono attorno al rapporto tra comunicazione e movimento.
Dopo mesi di riflessione e discussione, ci siamo convinti che la costituzione di un collettivo politico redazionale possa rappresentare una risposta efficace tanto ai problemi di ordine generale quanto ai problemi particolari.
Questo lavoro andrebbe articolato lungo alcune direttrici politiche fondamentali: incrementare e sperimentare nuove pratiche della comunicazione antagonista, ma anche provare a interagire e a connettere le situazioni e le esperienze di lotta dei precari, a partire dalla propria parzialità, dal proprio saper-fare e dalle proprie competenze. A partire dalla posizione che occupiamo soggettivamente nell'insieme della produzione metropolitana, comunicare, connettere e organizzare conflitto.
Proviamo a sviluppare, in modo più chiaro e sistematico, alcune delle possibilità di azione di questo collettivo politico redazionale.
La memoria, il presente, il futuro della lotte
Prima di tutto la comunicazione delle lotte. Si tratta di un ambito di azione molto più vasto e complesso di quanto potrebbe apparire: coinvolge, infatti, molteplici dimensioni spaziali e soprattutto temporali.
Innanzi tutto è in gioco la nostra storia di battaglie e di invenzioni: in questi nostri anni, è furibondo lo scontro politico sulla memoria delle secolari lotte del lavoro contro il capitale, e passa proprio dalla comunicazione del passato. Al nostro presente smarrito e in cerca di riscatto dobbiamo ricordare e raccontare che si tratta di una lotta lunga e ancora in corso, che non partiamo da zero anche se siamo ripartiti da una sconfitta. Che le battaglie del presente sono anche quelle per difendere la nostra storia dalla violenza dell'oblio.
Inoltre, come abbiamo visto, è decisivo dare voce ad un' altra attualità, seguire e diffondere gli eventi e le situazioni politiche di lotta che si determinano tanto a livello globale e nazionale quanto a livello locale e cittadino. Accanto a questo occorre promuovere occasioni di conoscenza e riflessione su temi e realtà centrali ma oscurate dal discorso mediatico ufficiale: le migrazioni e i migranti, la guerra, la precarietà, la repressione, le esperienze di trasformazione dell'esistente praticate in altri paesi e in altri continenti.
Infine, è fondamentale utilizzare le molteplici risorse comunicative a disposizione del collettivo redazionale per promuovere attivamente, connettere e rilanciare - con le nostre forze, partendo dalla nostra parzialità e dalla nostra condizione - situazioni e percorsi di conflitto in città, sperimentando, quando ciò è possibile, forme e strumenti nuovi.
Si tratta, insomma, di rilanciare la comunicazione antagonista a Bologna. Si tratta di provare a funzionare davvero come mediacenter per il conflitto sociale.
La comunicazione contro il degrado
La precarietà è una condizione sempre più diffusa e ormai difficilmente relegabile a fenomeno generazionale. Spesso, attraverso questo nome si indicano una serie di fenomeni e condizioni diversi ma accomunati da un unico orizzonte esperienziale: il degrado delle condizioni di lavoro e di vita, lo stato di passività e subordinazione, la permanente ricattabilità, l'insicurezza che grava sul presente e sul futuro delle proprie vite.
Su questa drammatica esperienza collettiva il silenzio è pressoché totale, coperto dalle urla stridule e imbecilli della televisione e dalle grottesche campagne contro il degrado, divenuto ormai principale valvola di sfogo della profonda insicurezza e della crisi sociale e con cui si è aperto questo secolo, oltre che continuo veicolo di repressione.
Purtroppo, non si riescono ancora ad intravedere risposte convincenti per uscire da questa situazione di generale sfruttamento e violenta oppressione. Tuttavia, molti esperimenti sono stati tentati e molti sono attualmente in corso, anche a Bologna, nella convinzione che una ripresa sia possibile, necessaria, urgente. Il nostro compito deve essere innanzitutto di dare voce e possibilità a questi esperimenti, seppure non necessariamente condividendone strumenti e strategie, quando sono diretti verso il comune obiettivo della ripresa di parola, della costruzione di un' efficace difesa collettiva contro la violenza del capitale, del rilancio del conflitto sociale. Sostenere le lotte, connetterle, diffonderle come virus potenti nel corpo sociale: questa è l'unica possibile comunicazione contro il degrado.
Allo stesso tempo non vogliamo rinunciare ad agire la nostra parzialità soggettiva e il nostro posto nella produzione. Manipolatrici della comunicazione, tecnici del sapere, capacità mobili per necessità e intelligenze in fuga per desiderio: organizzare la nostra forza e connetterla alla rivolta del lavoro contro la precarietà, è un orizzonte che possiamo provare a immaginare, un cammino che possiamo provare a percorrere.
Per questo occorre guardare avanti schivando pericolose ambiguità e contraddizioni improduttive. Da quale punto di vista alcune contraddizioni si possono definire improduttive? La risposta è semplice: dal punto di vista del «movimento reale per l'abolizione dello stato di cose presente», come si diceva una volta. Non sono le contraddizioni tra i vissuti, tra le sensibilità, tra i desideri e le passioni, tra le esperienze quelle che consideriamo improduttive; lo sono quelle tra istituzioni e movimento, tra movimento e sinistra radicale di governo etc. In altri termini, sono improduttive tutte quelle contraddizioni che risultano un freno o addirittura un ostacolo alla presa di parola radicale e all'azione dal basso per la trasformazione del presente.
Per far questo ci rivolgiamo a chi voglia promuovere iniziativa politica facendo comunicazione e fare comunicazione promuovendo iniziativa politica: c'è cospirare, attraversare reti, produrre e moltiplicare le lotte; e istante per istante comunicarle. Ci rivolgiamo a chi pensa che un'informazione partigiana, in senso gramsciano, sia non solo giusta ma necessaria; perché spesso chi dice non volere linee politica una linea ce l'ha già. Ci rivolgiamo a chi ritiene che l'eterogeneità è un valore se non soffoca la progettualità, e sa che possiamo autodotarci degli strumenti che trasformano le differenze in ricchezza, coesione e coerenza. Ci rivolgiamo a chi ha letto nelle giornate del Block G8 e nel NoBushNoWarDay che il movimento si autogestisce e si rappresenta, senza bisogno di deleghe; a chi non attende buone nuove da partiti, sindacati verticali e istituzioni "un po' meno cattive", e vede nell'autorganizzazione e nell'azione dal basso l'unica via percorribile. Con coscienza, gioia e un'irrinunciabile tendenza all'insubordinazione.
Luglio 2007
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PERCHE' MALABOCCA?
Malabocca era il soprannome di un antifascista italiano che nel corso della guerra civile spagnola si era specializzato come speaker della "guerra di parole", combattuta da fronte a fronte a suon di altoparlanti. Un 'veneziano blasfemo che con i suoi insulti contribuì alla vittoria di Guadalajara'.
"Era un italiano piccolo, una specie di gnomo, sempre infreddolito e molto competente in fatto di calcio. E, secondo Carranza, il suo potere l'aveva nella lingua, sapeva insultare come nessun altro, non riusciva a pronunciare mezza dozzina di parole senza infilarci una parolaccia. Tant'è vero che i suoi compagni lo chiamavano Malabocca. (...)
Fumava dei sigari orrendi che si disfacevano al solo guardarli tanto erano secchi, benchè la pioggia e l'umidità impregnassero il bosco. Malabocca mangiava come un disperato e spiegava il perchè: 'Bisogna sempre mangiare come se fosse l'ultima volta'.
Era seduto in un capannello all'esterno mentre il commissario del battaglione interrogava i primi prigioneri fascisti. Lì lo vide Carranza. E poi insieme andarono in mezzo ai prigioneri e Malabocca strappò loro tutte le informazioni apparentemente più inutili che potè: il nome della madre del capitano della seconda compagnia, la via dove viveva il comandante...
Tutto ciò gli sarebbe poi servito nella guerra di parole. (...)
Da Madrid era arrivata al fronte una camionetta con due grandi altoparlanti sul tetto che prima serviva per la pubblicità di un circo, la macchina arrivava con tutto l'equipaggiamento, compreso lo speaker che manteneva il suo stile: dieci elefanti, dieci... mentre insegnava agli italiani a utilizzare il congegno.
Malabocca si accostò al commissario e gli chiese di lasciarlo lavorare, che lui era stato annunciatore alla radio. Per un po' lesse i comunicati. Poi cominciò a improvvisare. (...)
Era proprio scatenato, sembrava sapere i nomi di tutti gi ufficiali e soldati che si trovavano nelle fila nemiche, sembrava conoscere di ognuno qualche storia tremenda. (...)
Alcune ore dopo, un commissario politico italiano, giunto da un altro settore del fronte, gli diede una bella lavata di capo. (...)
Questo fu il momento culminante della guerra di parole.
E Malabocca lesse in quei giorni comunicati ufficiali, esortazioni alla resa, offerte di cento di pesetas a ogni disertore e, se voleva, la promessa di assegnarlo all'esercito repubblicano, richiami all'appartenenza di classe dei soldati delle divisioni fasciste; ma ogni volta che poteva, la sua lingua tagliente prendeva l'iniziativa. (...)"
(Paco Ignacio Taibo II, "Arcangeli. Storie non molto ortodosse di rivoluzionari del xx secolo")